
“Chiunque entri in Piazza Taksim questa notte sarà trattato dalla polizia come un terrorista” ad affermarlo, ieri, è stato il ministro turco per gli affari europei Egemen Bagis.

L’europarlamentare Claudia Roth all’interno del Divan Hotel attaccato,ieri sera, dai gas lacrimogeni.
E’ difficile, in questi giorni, rimanere indifferenti a quanto accade in Turchia, a Istanbul, ad Ankara e in un piccolo parchetto alla fine di İstiklal Caddesi, Gezi Park. Se lo sgombero di quest’ultimo ha trasformato la protesta in aperta rivolta (un paio di sindacati KESK e DISK hanno già proclamato uno sciopero per domani), la vera battaglia, in Turchia come altrove, sarà quella di controllare la narrazione tanto delle proteste quanto delle feroci repressioni che avverranno.
Ultime foto di questa notte.
Tuttavia la Turchia, ça va sans dire, non è l’unico Paese in cui accadono fatti rilevanti. Proponiamo qua sotto un articolo di Pierluigi Sullo che chiarisce bene il concetto.
Una volta, chi voleva fare un colpo di Stato occupava la televisione e impediva la distribuzione dei giornali. Nel 1970, in Italia, un tentativo di golpe tanto maldestro quanto preoccupante – in un paese che aveva cominciato ad assaggiare le bombe nelle banche, nelle piazze e sui treni – aveva per obiettivo la Rai di via Asiago, a Roma. Quel tempo è lontano. Adesso i colpi di stato avvengono senza che ci sia bisogno di schierare carri armati per le strade. Sono sufficienti una legalità addomesticata e un diktat finanziario.
E se in Turchia l’organismo che vigila sui media ha deciso di multare le televisioni che avevano aperto qualche finestra su quel che accade in Piazza Taksim e a Gezi Park, a Istanbul, e in molte altre città del paese, in Grecia il governo destra-sinistra di Samaras ha pensato bene di prendere due piccioni con una fava, come si dice, spegnendo da un momento all’altro, intorno alle 23 di martedì, i tre canali della televisione pubblica, la Ellinikí Radiofonía Tileórasi (Ert). (Le opposizioni ellenniche parlano chiaro: “colpo di Stato” e non è detto che si tratti semplicemente di un’esagerazione.) In questo modo, il governo toglie di mezzo una tv che, nonostante la crisi, ha continuato a dire almeno qualcosa di quel che accade in Grecia, e ha soddisfatto l’ultima richiesta – ossia ordine – della “troika”, ovvero la Commissione europea, la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale: licenziare subito 2 mila dipendenti pubblici. I dipendenti di Ert sono, anzi erano, 2.656, quindi c’è un saldo positivo, dal punto di vista della troika – che in questo momento ha una sua delegazione che ad Atene spulcia i bilanci dello Stato – di qualche centinaio. (Dietro alla scusa ufficiale della corruzione si celano le ragioni della Troika, che chiede di non avere problematiche né sommosse sociali nel poter licenziare 15 mila impiegati statali da qui al 2014. La sensazione, infatti, è che senza le tv, le sinistre, non possano più mobilitare quelle migliaia di cittadini che piazza Syntagma aveva richiamato.)
Quel che è avvenuto a Ert, hanno detto in diversi al quotidiano francese Le Monde, che non si era mai visto, nemmeno sotto la dittatura dei colonnelli, negli anni sessanta, quelli dei carri armati per le strade. Né d’altra parte si era mai visto che i media turchi fossero intimiditi perché riprendevano le scene di violenza di cui la polizia si è resa colpevole in Piazza Taksim. Nella notte tra martedì e mercoledì ci sono stati centinaia di feriti, alcuni dei quali molto gravi, grazie all’abitudine dei poliziotti di sparare lacrimogeni mirando alla testa (e una ragazza è in coma da una decina di giorni). Quelli di Occupy Gezi compilano liste da cui cancellano le televisioni e i giornali che progressivamente spariscono dai dintorni. E il governo ha più volte fatto arrestare persone colpevoli di aver scritto dei “tweet” che raccontavano gli eventi: istigazione a delinquere, si direbbe in gergo giuridico italiano (e mercoledì migliaia di avvocati hanno fatto un corteo, a Istanbul, per protestare contro l’arbitrario arresto di quaranta di loro, tra cui uno dei responsabili di Amnesty Turchia, per aver protestato contro le violenze della polizia).
Che nesso c’è, tra la vicenda greca e quella turca? Molti, in effetti. Ma uno ben visibile riguarda l’informazione, la comunicazione. Se non ci fossero i “social network”, e la rete, che Erdogan ha infatti cercato in ogni modo di spegnere, da quaggiù non sapremmo nulla di quel che accade a Istanbul.(Secondo una statistica della CNN turca il 69% dei cittadini è venuto a conoscenza delle proteste tramite news sui social media, il 15% tramite amici, l’8% tramite news alternative e solo il 7% dalla televisione) E ora i greci non sapranno quasi più nulla di quel che nel loro paese succede. La morale è che il neoliberismo del rigore finanziario (la Grecia) o dei tassi di crescita accelerati del Pil e della gigantesca speculazione immobiliare (la Turchia), tuttora raccontato come il regno della libertà, ha l’atteggiamento di una giunta militare, quando occorre.
E noi, che crediamo di vivere immersi nella libertà di stampa (anche se le classifiche internazionali dicono che in questo campo siamo oltre il sessantesimo posto nel mondo), quando apriamo il sito internet di una grande giornale ci troviamo in generale Grillo, Letta e Renzi in ordine variabile a seconda della giornata. Se volete leggere qualcosa di sensato su Piazza Taksim (come ieri sulla madrilena Puerta del Sol o lo Zuccotti Park di New York), dovete cercare appunto sui “social network” o sui media inglesi (il Guardian) o spagnoli (El Diario, El Pais), che, se non altro, non sono ipnotizzati dal loro ombelico. Ed anzi, come nel caso del giornale britannico, talvolta rivelano come l’informazione circoli in quantità enorme, ma a senso unico: dalle mail o dai cellulari o dalle carte di credito dei cittadini statunitensi verso le banche dati della National Security Agency.
(Qua)
Da noi sui giornali si discute di Imu, Iva come se fossero la panacea di tutti i problemi del Paese, viene da domandarsi cosa succederà quando tra pochi mesi si dovranno trovare i famosi 40 miliardi per la prima rata del Fiscal Compact, 40 miliardi all’anno per vent’anni. Nel mentre a Milano sfilano autorizzati i nazi-fascisti ma in quella città si discute di gelati e la tragicommedia del M5s riempie i Tg….
Per aggiornamenti in diretta dalla Turchia:
http://gezipark.nadir.org/index_ita.html

Piazza Taksim: perché ci basta respirare per sanguinare? da Baruda
Fascism is now.
Posted on 16 giugno 2013
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