Venti di guerra, surrogati socialisti e democrazie del manganello.

Posted on 7 marzo 2014

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Macché Est. Questo dove mi trovo è il Centro. La pancia, l’anima del Continente. e quest’anima sta tutta fuori da quell’impalcatura burocratica che si chiama Unione Europea. anche geograficamente è così: sul Tibisco, in Ucraina, ho trovato un obelisco austroungarico che segnava il baricentro di terraferma tra l’Atlantico e gli Urali, il Mediterraneo e il mare di Barents. Già allora si sapeva che la Mitteleuropa non sta affatto nei caffè viennesi ma molto più a oriente, anche di Budapest e Varsavia. Il cuore batte qui, centinaia di chilometri oltre l’ex Cortina di ferro, tra le betulle e i grandi fiumi divaganti, in una “terra incognita” fatta di periferie dimenticate.

Paolo Rumiz, Trans Europa Express  

Per diverso tempo siamo stati abituati a pensare che i territori oltre l’ex Corina di ferro potessero offrire uno sguardo tanto privilegiato quanto disincantato sul futuro dell’Occidente. Ne siamo ancora convinti e ciò che “ci arriva” da quelle terre non è che un macabro presagio. L’Ucraina, benché distante, non è affatto un’estranea come ci ricorda Rumiz, anzi, è situata esattamente in quella “terra di mezzo” che è passione, esaltazione e dannazione di quel maledetto concetto che prende il nome di geopolitica. L’Ucraina di oggi, ma non da oggi, è una faglia sulla quale si stagliano differenti imperialismi. Da un lato, l’espansionismo UE che guarda l’Est con la lente dell’affarista in cerca di partner per grossi profitti a “basso rischio” (lungimiranze), avventure che “inciampano” inevitabilmente sulle “interferenze” statunitensi interessate tanto alle questioni europee (Fuck the Ue!) quanto all’orso putiniano, dall’altro c’è proprio quest’ultimo a guida di una Russia neo-zarista che da sempre considera l’Ucraina come il proprio cortile di casa.

Di buono nell’imperialismo non vi è nulla e il rischio concreto è che si legga la crisi ucraina con i paraocchi dettati dalle fantasie delle varie sinistre nostrane che proiettano laggiù tutto quello che manca dalle nostre parti. Lo diciamo subito onde evitare fraintendimenti qua non si tratta di scegliere da che parte stare perché a questa macabra “festa” gli unici non invitati sono proprio gli ucraini (e così come loro russi ed europei) esasperati da una crisi che non accenna a placarsi e che forse ora mostrerà loro (ucraini) un punto ancora più oscuro. Le maschere da indossare in questa fiera geopolitica le possiedono un po’ tutti a cominciare da Putin che può giocarsi la carta della retorica antifascista (perché i nazi non mancano di certo nel nuovo governo autoproclamatosi a Kiev) e di difesa delle popolazioni russe che abitano le regioni orientali del paese. Lo stesso dicasi delle nostre latitudini capaci di rappresentare la rivolta di Euromaidan come una semplice “liberazione” del popolo ucraino da un satrapo orientale. bugiemedia1C’è qualcosa che non torna laddove i rivoltosi di Kiev, sebbene alle volte armati di fucili veri e propri (lo si sa da settimane), vengono dipinti come vittime inermi mentre qui, in Italia, chi incendia una betoniera è accusato di terrorismo. Il torbido è ovunque in questa vicenda complice un informazione mainstream supina agli interessi momentanei quando non proprio estranea ad ogni minima forma di professionalità. Emblematico, in questo senso, il caso del presunto cecchino pestato per ore dai manifestanti di Maidan che in realtà era il segre­ta­rio del Par­tito Comu­ni­sta Ucraino della città di Lviv. Cecchini eh? Magari sconvolge sapere oggi che il massacro di piazza Maidan non era stato compiuto dagli uomini di Yanukovich, ma dai cecchini della nuova coalizione che ha appena preso il potere a Kiev almeno stando a quello che rivela una telefonata tra il ministro degli esteri estone e la sua omologa dell’Unione Europea Catherine Ashton.

Si gioca sporco come in ogni guerra dove la prima vittima è sempre la verità. Un po’ come le fosse comuni libiche, in realtà false e fabbricate ad arte, che per qualche settimana sconvolsero le coscienze dei cittadini tanto da fornire la base “morale” per l’immediato intervento armato, ops umanitario.

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Oggi sappiamo che nel cuore di Maidan non pulsava alcuna assemblea né altri strumenti di decisione collettiva. […] il potenziale di autorganizzazione a Maidan è interamente annullato e sostituito dalle strutture organizzative delle forze politiche di destra. Sono Svoboda, il Settore di Destra e Spilna Spravaa occupare gli edifici e a organizzare la vita quotidiana. E anche l’opposizione parlamentare ha una sua voce in capitolo; in ogni caso, tutto o quasi dipende dai leader – leader di strutture politiche già costituire. […]  Qua.

Come chiamare dunque la detronizzazione di Yanu­ko­vich, personaggio squallido, ma eletto nel 2010 con ele­zioni cer­ti­fi­cate come “democratiche” e targate dai bollini della Ue, dell’Osce e dell’Onu? Rivoluzione forse? Oppure “putsch rivoluzionario”, regime change, colpo “di mano” o di Stato come lo definisce Putin? Dobbiamo forse cominciare a pensare che non vi sia più alcun recinto di “difesa legale” ai governi quando una massa di scontenti assalta i palazzi del potere? Permetteteci di dubitarlo, almeno quando questa “massa” di scontenti non è eterodiretta da interessi stranieri e da finanziamenti ben precisi.

Ma sono anche altre le domande che è necessario porsi, vale a dire perché si è andati verso un’escalation internazionale di questa portata? Perché l’accordo del 20 feb­braio che impe­gnava Europa, Rus­sia e Stati Uniti e che pre­ve­deva già un’uscita di scena di  Yanukovich  mediante una tran­si­zione con ele­zioni con­cor­date è stato superato a Kiev da una prova di forza che ha visto protagonista la destra estrema nazio­na­li­sta, xeno­foba, neo­na­zi­sta? Domande alle quali ovviamente non siamo in grado di rispondere ma che danno l’idea del marcio che circonda questa crisi.DSC_9939

Quale legittimità possiede il nuovo governo insediatosi a Kiev a parte l’appoggio stolto ed incondizionato della stragrande maggioranza dei paesi occidentali? Un governo il quale non ha perso tempo per incendiare un’aria già di per sé molto tesa, dapprima minacciando di cancellare il bilinguismo in un paese dove il 30% della popolazione parla russo (e parliamo di quasi 10 milioni di persone) successivamente presentando un disegno di legge (n. 4327) che prevede “l’istituzionalizzazione” delle squadracce che agivano nella cosiddetta “autodifesa di maidan” cosa che richiama sinistri presagi novecenteschi data la natura di formazioni quali Svoboda e Pravy Sektor.

Che nessuno si sia indignato “a occidente” ad avere simili “compagni di viaggio” è abbastanza preoccupante anche se del tutto comprensibile, quando entra in gioco la “dannata Realpolitik” non vi è più trippa per gatti. “Chi dice umanità cerca di ingannarti” sosteneva Carl Schmitt nel suo “concetto discriminatorio di guerra” riprendendo una frase di Proudhon e sarebbe saggio anche oggi seguire il suo consiglio. Inutile stracciarsi le vesti perché la Russia ha inviato contingenti militari in Crimea terreno sul quale, tra l’altro, possedeva già diversi contingenti essendo sede della base navale della Flotta del Mar Nero oppure gridando al mondo che Putin “è fuori dalla realtà” come ha  recentemente affermato frau Merkel o ancora che la “Russia è dal lato sbagliato della storia” come dichiarato da Obama. Nemmeno quell’ubriacone di Boris Eltsin che “agli occidentali” ha ceduto di tutto si sarebbe mai sognato di abbandonare quella penisola, figuriamoci Putin! Propagande a parte in questa partita geostrategica c’è da registrare la pochezza dell’imperialismo a noi più vicino, quello che subiamo tutti i giorni nella sua composizione, nel suo strutturasi al suo interno, quello dell’Unione Europea.

Man mano che aumentava la tensione era sempre più chiaro chi fosse il protagonista rimasto col bastoncino più corto in mano. ucrainapipeline Con un ipotetico conflitto che comunque tale sarà già, dato un paese diviso e sull’orlo del collasso economico, chi ha più da rimetterci in questa crisi, ucraini esclusi? Ciò che si prospetta è un conflitto che non è alle porte dell’Europa ma già al suo interno vista la natura storico-culturale del Paese in questione. Non solo, anche solamente una minaccia di una guerra con la Russia non farà altro che irrigidire e precarizzare i rapporti economici che intercorrono tra quest’ultima e l’Ue, con Germania e Italia in cima alla lista, senza contare un ulteriore indebolimento della sua già fragile economia e della sua totale inconsistenza politica come Unione. Tutto ciò a vantaggio degli americani che sono lontani e che non si presentano di certo come la terra promessa alla quale aderire. E il gas per l’Europa? “Che si fotta l’Ue!” tanto per tornare alla battuta dell’ambasciatrice americana.

Sul terreno di questo Risiko, per ora, giacciono solo due feriti: un Ucraina arrabbiata e con le “casse vuote” che ha già detto addio all’offerta russa di 15 miliardi di euro per tappare le falle dei suoi debiti nonché i maxi-sconti sui prezzi di gas e petrolio che per la sua popolazione non erano di certo poca cosa.

Gubarev leader separatista pro-Russia anch'esso di estrema destra.

Gubarev leader separatista pro-Russia anch’esso di estrema destra.

L’altro è Bruxelles con la sua tecnocrazia finanziaria suicida che, mentre affossa la Grecia coi bombardamenti dell’austerità, avanza a Est con una politica aggressiva in grado di scatenare conflitti dalle conseguenze incalcolabili e che rischiano seriamente di esplodergli tra le mani (la Jugoslavia in confronto potrebbe essere conflitto di portata minore). Chi avrà il coraggio di dirlo agli ucraini che l’Ue non ha né i soldi né la forza per salvarli perché in sé non ha alcun progetto per questo allargamento che non sia esclusivamente di carattere mili­tare guidato secondo logiche della Nato e non europee.

E che progetti avranno quei pazzi che ci governano con logiche marziali e seicentesche sulle 15 centrali nucleari che l’Ucraina ha disseminate tra le sue černozëm (terre nere) dal momento che la Russia bloccherà fin da subito le forniture di combustibile  per le centrali ucraine le cui scorte dureranno giusto fino alla fine di aprile? O ancora cosa potranno mai offrire quegli “scienziati” francesi alla Bernard-Henri Lévy  che dopo aver benedetto, dall’alto della sua cattedra da pseudo-filosofo, la tragedia Libica, la guerra neocoloniale in Mali, gettato parole su un possibile intervento in Siria ora parla di esportare la democrazia in Ucraina mentre con una mano il “suo” governo fa la voce grossa e con l’altra vende due navi da guerra a Putin?

Purtroppo però occorre notare come ci siano spettri meno visibili ma più inquietanti sullo sfondo di questa crisi ucraina. Spettri che ci appartengono più da vicino e che sarebbe meglio non sottovalutare riguardanti principalmente l’atteggiamento con cui l”establishment europeo vi si interfaccia.

Svoboda

Svoboda

Quando il candidato alla presidenza del Parlamento Europeo il “socialista” Schultz non ha timore a schierarsi (riconoscendoli come interlocutori) con i neo-fascisti ucraini del movimento Svoboda abbiamo l’indicatore che qualcosa si è inceppato nel meccanismo formale di riproduzione dei  concetti democratici, tanto sbandierati all’esterno dall’Unione quanto vilipesi al proprio interno. E’ un po’ come se il Pse stesse celebrando un’antica liturgia di coerenza storico-ideologica a cent’anni esatti da quel 1914 che vide i campi socialisti suicidarsi sull’altare del nazionalismo e del primo conflitto mondiale. Allora le voci Liebknecht, di Rosa Luxembourg e di Lenin non vennero ascoltate e la Seconda Internazionale crollò proprio con il voto favorevole alla Grande Guerra dato dal partito socialdemocratico tedesco che portò alla morte di sedici milioni di persone tra guerra e carestie e sancì di fatto il suo definitivo tradimento dell’internazionalismo proletario. La vendetta vera e propria nei confronti della ragione si ebbe non troppo tempo dopo, nel gennaio del ’19 quando, agli ordini del socialdemocratico Ebert e del Ministro degli Interni Noske, un gruppo di freikorps assassinò Rosa e Liebknecht.

Non siamo fautori delle sgangherate alleanza per le urne che spesso si rivelano passioni tristi e che alla volte inghiottono le energie migliori ignorando la politica dal basso e tutti quei progetti concreti che in sostanza sono la vita delle persone. Non crediamo nemmeno come Habermans che questa Unione Europea possa essere riformabile men che meno con un voto. E’ certo però che l’urgenza delle domande che si affacciano sull’orizzonte meritano risposte anche parziali. La recente creazione della lista Tsipras per le imminenti elezioni europee è un modello, “calato dall’alto”, del tutto sbagliato e che sta riproponendo molti degli errori inqualificabili di quella che fu quella schifezza tutta italiana di “Rivoluzione Civile”. Populismi legalitari ereditati dall’accecamento collettivo di vent’anni di berlusconizzazione procedono come un moto d’inerzia tuttavia se l’unico obiettivo dovesse essere “portare i conflitti sociali nel Tempio dei capitali” l’esercizio potrebbe essere gratuito, il crederci realmente a somma zero. Le urgenze bussano ai campanelli dell’Europa. La massima “socialismo o barbarie” è sempre più d’attualità.


Pubblichiamo qua a fondo l’appello dei familiari dei quattro NoTav arrestati per terrorismo.
 
In queste settimane avete sentito parlare di loro. Sono le persone arrestate il 9 dicembre con l’accusa, tutta da dimostrare, di aver assaltato il cantiere Tav di Chiomonte. In quell’assalto è stato danneggiato un compressore, non c’è stato un solo ferito. Ma l’accusa è di terrorismo perché “in quel contesto” e con le loro azioni presunte “avrebbero potuto” creare panico nella popolazione e un grave danno al Paese. Quale? Un danno d’immagine. Ripetiamo: d’immagine.L’accusa si basa sulla potenzialità di quei comportamenti, ma non esistendo nel nostro ordinamento il reato di terrorismo colposo, l’imputazione è quella di terrorismo vero e volontario. Quello, per intenderci, a cui la memoria di tutti corre spontanea: le stragi degli anni ’70 e ’80, le bombe sui treni e nelle piazze e, di recente, in aeroporti, metropolitane, grattacieli. Il terrorismo contro persone ignare e inconsapevoli, che uccideva, che, appunto, terrorizzava l’intera popolazione. Al contrario i nostri figli, fratelli, sorelle hanno sempre avuto rispetto della vita degli altri. Sono persone generose, hanno idee, vogliono un mondo migliore e lottano per averlo. Si sono battuti contro ogni forma di razzismo, denunciando gli orrori nei Cie, per cui oggi ci si indigna, prima ancora che li scoprissero organi di stampa e opinione pubblica. Hanno creato spazi e momenti di confronto. Hanno scelto di difendere la vita di un territorio, non di terrorizzarne la popolazione. Tutti i valsusini ve lo diranno, come stanno continuando a fare attraverso i loro siti. E’ forse questa la popolazione che sarebbe terrorizzata? E può un compressore incendiato creare un grave danno al Paese?
Le persone arrestate stanno pagando lo scotto di un Paese in crisi di credibilità. Ed ecco allora che diventano all’improvviso terroristi per danno d’immagine con le stesse pene, pesantissime, di chi ha ucciso, di chi voleva uccidere. E’ un passaggio inaccettabile in una democrazia. Se vincesse questa tesi, da domani, chiunque contesterà una scelta fatta dall’alto potrebbe essere accusato delle stesse cose perché, in teoria, potrebbe mettere in cattiva luce il Paese, potrebbe essere accusato di provocare, potenzialmente, un danno d’immagine. E’ la libertà di tutti che è in pericolo. E non è una libertà da dare per scontata.
Per il reato di terrorismo non sono previsti gli arresti domiciliari ma la detenzione in regime di alta sicurezza che comporta l’isolamento, due ore d’aria al giorno, quattro ore di colloqui al mese. Le lettere tutte controllate, inviate alla procura, protocollate, arrivano a loro e a noi con estrema lentezza, oppure non arrivano affatto. Ora sono stati trasferiti in un altro carcere di Alta Sorveglianza, lontano dalla loro città di origine. Una distanza che li separa ancora di più dagli affetti delle loro famiglie e dei loro cari, con ulteriori incomprensibili vessazioni come la sospensione dei colloqui, il divieto di incontro e in alcuni casi l’isolamento totale. Tutto questo prima ancora di un processo, perché sono “pericolosi” grazie a un’interpretazione giudiziaria che non trova riscontro nei fatti.
Questa lettera si rivolge:
Ai giornali, alle Tv, ai mass media, perché recuperino il loro compito di informare, perché valutino tutti gli aspetti, perché trobino il coraggio di indignarsi di fronte al paradosso di una persona che rischia una condanna durissima non per aver trucidato qualcuno ma perché, secondo l’accusa, avrebbe danneggiato una macchina o sarebbe stato presente quando è stato fatto.
Agli intellettuali, perché facciano sentire la loro voce. Perché agiscano prima che il nostro Paese diventi un posto invivibile in cui chi si oppone, chi pensa che una grande opera debba servire ai cittadini e non a racimolare qualche spicciolo dall’Ue, sia considerato una ricchezza e non un terrorista.
Alla società intera e in particolare alle famiglie come le nostre che stanno crescendo con grande preoccupazione e fatica i propri figli in questo Paese, insegnando loro a non voltare lo sguardo, a restare vicini a chi è nel giusto e ha bisogno di noi.
Grazie.
I familiari di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò