Donald Trump sotto la Ghirlandina.

Posted on 2 marzo 2017

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pavese

Si sa che su certi giornalacci di casa nostra l’agitare con veemenza il volto malvagio del nuovo Presidente degli States serve in qualche modo a mitigare i silenzi e le indulgenze circa le gravi storture democratiche che parallelamente si vanno diffondendo in Italia. Un esercizio che simboleggia il vano tentativo di preservare una facciata democratica nell’ora tarda in cui ci troviamo dove tanto la sua finzione quanto la sua avversione procedono di pari passo; così aprendo La Repubblica del 5 febbraio ’17 si potevano leggere cosucce di questo tenore:

il repubblicano Doug Ericksen dello stato di Washington ha depositato una proposta per creare una nuova forma di reato, quello di “terrorismo economico”: 5 anni di carcere a chiunque venga riconosciuto colpevole di “aver causato danni economici”. Vetrine infrante dunque, ma anche blocchi stradali o ferroviari, e comunque tutto quello che fa perdere soldi a qualcuno.

Mentre in Indiana, lo stato iper-conservatore da cui proviene il vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pence, si vogliono inasprire le condanne per chi blocca autostrade ed aeroporti[…] Così ora si pensa a punizioni esemplari, con condanne di almeno 5 anni di carcere. Non solo: l’ipotesi è anche quella di proteggere per legge un eventuale guidatore che “senza averne l’intenzione” investirà un manifestante perché “esasperato”. (Qua)

Oltreoceano, queste precise parole non possono che ricordare nitidamente l’omicidio  di Abd Elsalam Ahmed Eldanf (settembre 2016) investito da un camion durante uno sciopero o quelle del responsabile del magazzino “esasperato”: “andate avanti, andate avanti, asfaltatelo come un ferro da stirocome se le proposte degli iper-conservatori americani avessero trovato nella quotidiana materialità delle cronache nostrane un terreno già fertile sul quale coltivare simili veleni. Ma non solo.

Sembra che “aver causato danni economici” sia il metro su cui tarare le decisioni circa l’agibilità dello spazio pubblico da parte delle autorità o perlomeno a Modena funziona così dato che, negli ultimi anni, il centro cittadino è sempre stato negato per le manifestazioni adducendo come motivazione l’intento di non intralciare lo shopping e ciò che sarebbe stato normale fino a poco tempo fa (una manifestazione in centro) pian piano si è trasformato in eccezionalità.

retate

Se un Donald Trump sbarcasse in terra emiliana ce ne accorgeremo di sicuro. Non è così?

“Perché bisognerà pur dirselo, va bene che lo shopping è un diritto ma non vale neppure un’unghia dell’impegno per il bene comune. Non dico in termini morali, ma di reale corrispondenza a se stessi e ai propri talenti. Che invece lo shopping sia una “libertà” voglio sperare che risulti equivoco per chiunque.”  Pierpaolo Ascari

Ma non basta ancora perché il modo di ragionare di questi fascisti d’oltreoceano non è molto dissimile da quanto abbiamo osservato quaggiù a Modena in questo mese di febbraio, dall’arresto del sindacalista Aldo Milani alla macchina del fango, dalla chiusura totale di ogni di ogni spazio di agibilità politica fino al campo del surreale (vedi tirare in ballo il terrorismo per una manifestazione sindacale) o menzogne vere e proprie scagliate con la tipica arroganza di chi se lo può permettere. Ma andiamo con ordine e torniamo a inizio mese.

Il 4 febbraio, proprio a seguito dell’arresto di Aldo Milani, il SiCobas lancia una manifestazione nazionale a Modena. Sui quotidiani locali, anche a spulciarli, non si trova nessun accenno alla giornata salvo poche righe stringate la mattina stessa del corteo.quest Il Questore Paolo Fassari vieta la manifestazione. Cosa che di per sé sarebbe già un fatto grave se non fosse che si sta trattando di vietare una manifestazione sindacale di lavoratori, chiamata per tempo e a livello nazionale. A memoria non si ricordano decisioni analoghe in tempi recenti e il divieto a manifestare imposto ad un sindacato ricorda chiaramente altre epoche attraversate da questo Paese.

“La mossa del questore rivela il carattere squisitamente di supplenza politica che svolgono in questo paese gli apparati di polizia. Le lotte della logistica sono da tempo nel mirino degli apparati repressivi. Si può leggere nella “Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza” relativa al 2014 che “Nel quadro delineato ha continuato a distinguersi il crescente fermento espresso dal comparto della logistica, le cui maestranze, in gran parte di origine extracomunitaria, sono considerate un ambito di potenziale consenso proprio da quei settori dell’antagonismo che guardano alle vertenze in un’ottica di classe”. Precarizzazione, lavoro sottopagato e privo di tutele adeguate, in uno scenario di crescente malessere, potrebbero generare “un innalzamento del livello della protesta” in quei contesti aziendali più colpiti dalla crisi e suscettibili “di estemporanee degenerazioni, anche violente”, spiegavano gli esperti di Aise e Aisi. In realtà, l’illegalità nel comparto è figlia della deregulation degli appalti, della rincorsa padronale alla compressione dei salari sulla spinta delle politiche governative e della collusione tra borghesia “pulita” e borghesia criminale. L’Emilia Romagna è la regione con la più alta infiltrazione delle mafie nel tessuto economico e quello di Modena è il distretto della macellazione più importante d’Europa. (Da qua)

La manifestazione si svolge comunque. Piove, ma a dispetto del divieto della Questura e del silenzio stampa dei giorni precedenti la partecipazione è ampia. Lentamente il concentramento in piazza Sant’Agostino si ingrossa così come cresce sotto gli ombrelli la rabbia dei lavoratori verso quel cordone di celere schierata a mo’ di barriera al centro città. La tensione è palpabile ma è solo un piccolo distillato delle ingiustizie subite. Già ingiustizie, una parola quasi dimenticata dal lessico odierno eppure tanto presente quanto sepolta nelle viscere dell’inconscio. Il contatto con i militari non c’è e la tensione accumulata lungo quei metri sembra trasformarsi in slogan, interventi e consapevolezza. Una consapevolezza tipica ci chi lotta per i propri diritti e che solo in questa maniera può essere acquistata al pari della conoscenza delle meschinità del potere e del lezzo emanato quando quest’ultimo si schiera a difesa del vuoto meccanico della riproduzione del profitto a discapito della vita.

“Padroni, mafia. Polizia, mafia.”

Parole chiare, così com’è chiara la volontà di manifestare. Parte il corteo che si allontana dal centro e sfila lungo i viali. Mille, 1.5oo persone (i giornali parleranno di 600) in un lungo serpentone che a Modena non si osservava da anni. treni Dai viali alla stazione dei treni è un attimo e ben presto il corteo si ritrova sui binari a bloccare la circolazione ferroviaria. La dinamica è quella di un cortège de tête alla francese, di quelli andati in scena durante le proteste contro la loi travail, solo che a differenza dei cugini d’oltralpe in questo caso il sindacato in questione è il SiCobas e non la CGT (l’equivalente francese della nostra Cgil). Non a caso da noi il Jobs Act è passato liscio come “innovazione” e senza troppi “disguidi” di ordine pubblico mentre in Francia le mobilitazioni sono durate mesi. La “tattica” sarà quella di bloccarlo attraverso lo strumento del referendum in un Paese che ha già più volte dimostrato di infischiarsene degli esiti referendari. Lungimiranza, non c’è che dire. La celere arriva ai binari dopo una mezz’ora. Nel piazzale antistante alla stazione le forze dell’ordine prima vengono accerchiate poi caricano ma il cortège de tête prosegue verso il centro città. img_20170204_174704 Ormai è sera e prima di raggiungere Piazza Grande il corteo viene nuovamente intercettato dalla celere lungo la via Emilia. L’arrivo in piazza rappresenta una liberazione dagli assurdi divieti della Questura e la riappropriazione di ciò che dovrebbe essere la normalità per uno Stato democratico che si fa eccezione in uno Stato di polizia.

Il giorno seguente, mentre in Questura “volano gli stracci” per la gestione della giornata (il questore Fassari sarà costretto a specificare che non si tratta di vittoria dei manifestanti, vedi foto sotto) a mezzo stampa si annunciano denunce.

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Oltre a queste ultime arrivano anche, nero su bianco, le motivazioni del Questore per il diniego della piazza. In pratica, oltre a tirare in ballo addirittura il terrorismo (vedi sotto) si  ammette candidamente (qua l’intervista completa) che il corteo viene vietato come ritorsione per la durezza degli scioperi che si tennero nei giorni precedenti. Dunque che scioperare per i propri diritti e per la propria vita e per la propria dignità diventa di fatto un abuso. Dove si ferma la Questura poi arriva la Procura che con stremo zelo annuncia indagini e denunce ai manifestanti. Uno zelo di cui non si trova traccia invece quando gli illeciti, le illegalità, le compiono le aziende come più volte denunciato sia dai SiCobas che dalla Cgil. Fase cooperative, bilanci truccati e buste paga anomale sembrano non trovare spazio per le attenzioni della Procura, eppure non mancano certo le inchieste e le denunce sulle quali indagare. Per capire, basterebbe dare un veloce sguardo a questa inchiesta di La Repubblica “I forzati del mattatoio” giusto per farsi un’idea.

“In generale – argomenta il comandante provinciale Pasquale Russo – possiamo dire che nelle cooperative risultate ‘spurie’, 7 soci lavoratori su 10 sono falsi soci lavoratori. Tra il 2014 e il 2015 abbiamo riscontrato evasioni pari a 20,5 milioni in materia di Irap, 10,5 milioni per le imposte indirette, 10 milioni in termini di Iva, ritenute fiscali non versate per 1,5 milioni”.

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Ma di lacrimogeni sui lavoratori, di manganelli o piazze vietate la città non si interessa. Tanto sono quasi tutti stranieri e quella, si sa, è carne che vale meno. Poi magari, con rara ipocrisia, abbiamo le Istituzioni cittadine che commemorano l’eccidio delle Fonderie del 9 gennaio 1950, dove anche allora un Questore negò la piazza alla manifestazione sindacale minacciando infine i delegati con un’inquietante quanto premonitore:  “vi stermineremo tutti”, un po’ come oggi si minacciano arresti e repressione a tutto spiano.

“È evidente che un sindacato come il SI Cobas che ha scoperchiato una tale trama affaristica nel regno del malaffare e dell’evasione fiscale, sia diventato il nemico numero uno dei padroni della logistica: in questi anni sono piovute sulla nostra testa e su quella di centinaia di lavoratori una sfilza interminabile di denunce, fogli di via, provvedimenti amministrativi e non poche manganellate durante gli scioperi. In un tale contesto avevamo già messo nel conto che qualora non riuscissero a distruggere il SI Cobas con gli strumenti repressivi tradizionali, avrebbero tirato fuori dal cappello qualche teorema giudiziario in grado di scriditare e infangare la nostra lotta. Possiamo dire che hanno scelto la modalità più subdola: sporcare la credibilità e l’onorabilità del nostro coordinatore nazionale Aldo Milani, affibbiandogli l’infamante accusa di estorsore. I fatti contestati riguardano un importante e durissima vertenza tutt’ora in atto nel settore della macellazione carni di Modena, in due cooperative in appalto per il gruppo Levoni (Alcar Uno e Global Carni). […] In realtà il cuore tutto politico di questa operazione si sostanzia leggendo le carte dell’accusa e le stesse dichiarazioni dei PM: per la Questura di Modena la “pistola fumante” non è tanto il passaggio di denaro dei Levoni a Piccinini, quanto il fatto che Milani, a nome del SI Cobas, rivendicasse dei benefici economici (non per se ma per i lavoratori licenziati, non in contanti ma attraverso bonifici tracciati e causali dimostrabili a norma di legge, ma tutto questo per la Questura è ovviamente irrilevante…), minacciando in caso di rifiuto…. lo sciopero! Il fatto che con questo teorema si intenda colpire non tanto la persona di Aldo Milani quanto l’esercizio del diritto di sciopero nel nostro paese, è dimostrato dalle dichiarazioni rese all’Ansa dal PM all’indomani della recente sentenza del Tribunale del riesame di Bologna che ha negato la richiesta di revoca dell’obbligo di dimora ad Aldo. Nel commentare la sentenza, la principale preoccupazione del PM è stata quella di augurarsi che i licenziati la smettano finalmente di scioperare davanti ai magazzini del gruppo Levoni!!! Un gruppo, lo ricordiamo, che attraverso le sue cooperative d’appalto è stato oggetto di numerose denunce e segnalazioni per evasione fiscale, sfruttamento e inottemperanza alle più elementari norme di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro.” (Da qua)

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“Sei stato tu, con il tuo sasso!!” Cazzo mettetevi d’accordo col Questore almeno prima di sparare balle a salve! Pietre bastoni? Si fosse nel SiCobas sarebbe già partita la querela per diffamazione nei confronti di questo Sindaco piccolo, piccolo.

Pietre e bastoni scagliati nel dibattito pubblico con un’arroganza impareggiabile. Un Sindaco che mentre coccola la sua polizia (la municipale), come se quest’ultima avesse salvato la città dalla calata degli Unni, non ci pensa due volte a gettare fango e discredito sui lavoratori scesi in piazza. Sono questi personaggi che poi magari celebrano il 9 gennaio come se nulla fosse. Figuri come Muzzarelli assemblato, come il suo collega di Bologna con gli occhiali, come un androide patogeno piazzato in quella poltrona per preservare e perpetuare una politica nociva  e cementificatrice, garante di interessi mercantili da servire con piglio decisionista e securitario. Un volto davanti a un ruolo che non emana più nemmeno quella dignità riservata solitamente alla cattiveria. Un mero esecutore automatizzato per conto terzi dietro al quale non vi è che il vuoto. Muzzarelli e i politici prodotti in serie come lui hanno quella sapidità che assume il cielo di Modena in inverno: un grigio anonimo senza vita, molto più artificiale che naturale e dalla tossicità estremamente elevata.

denunceCinque giorni dopo il corteo dei SiCobas arriva con tempistica disarmante l’unica risposta che il potere concede: la repressione. All’alba del 9 febbraio la Digos notifica a dieci persone assurde misure cautelari (8 obblighi di firma e 2 di dimora) per gli sgomberi dell’11 maggio scorso,  quello delle feroci cariche in Piazzale Redecocca, quello dove Francesca (allora quindicenne) rischiò di perdere un occhio per un paio di colpi con un manganello tenuto al contrario, quello delle ambulanze fermate per un quarto d’ora e della violenza che scosse una buona fetta di città. Una tempistica che sembra suggerire più il sapore della vendetta che quello dell’ordinarietà (come notato anche dall’opposizione Cgil). Tra l’altro misure cautelari giustificate con motivazioni di questo tipo: “Nonostante la formale incensuratezza degli indagati[…] Considerato che trattasi di soggetti particolarmente attivi come gruppo “Guernica”, presenti in goni occasione di manifestazione di qualsivoglia forma di dissenso all’autorità pubblica, le predette esigenze cautelari devono considerarsi certamente attuali.” Senza considerare le ulteriori denunce che hanno il concorso MORALE come principale argomento di accusa. (Da qua)

Una Procura che, sotto l’azione del procuratore capo Lucia Musti, pare essersi infilata l’elmetto e che, nonostante la stessa Mussi abbia già denunciato carenze di organico, sembra voglia indirizzare le scarse risorse disponibili verso quella corsia preferenziale che vede nel contrasto al conflitto sociale e ai movimenti una priorità su tutto il resto.

A Torino, una decina di giorni fa ha fatto scalpore il caso dello stupro su una bambina di sette anni caduto in prescrizione dopo un processo durato 20 anni. Tutto ciò non è casuale. La procura di Torino è la stessa che ricorre in Cassazione per accusare i Notav di terrorismo così come è la stessa che ha creato un pool specifico per la repressione del movimento ed è la stessa che mentre si accanisce sui NoTav tralascia tutto il resto: criminalità organizzata e altri processi di ben più grave allarme sociale. Se a quella Procura sono serviti 20 anni per un processo per stupro ad una bambina a quella stessa Procura ne sono bastati 2 per un processo contro i NoTav.

Se la Val Susa in questi anni è diventata un laboratorio di dispositivi repressivi (ultima in ordine di tempo la Sorveglianza Speciale) il rischio è che anche a Modena ci si incammini esattamente su questa strada.

Un’ultima nota la si riserva alla stampa modenese abilissima nel mappare biografie, reti e buone pratiche che si sviluppano in città quanto zoppicante nel cogliere gli scricchiolii delle storture democratiche applicate in questi tempi come se mancasse una grammatica politica anche minima per decifrarli. Ma forse si vuole essere solo ingenui.

In città, a parte il Carlino (sigh!), è rimasta la Gazzetta di Modena allineata all’Amministrazione mentre l’unico giornale che tentava, in qualche maniera, di interpretare la spina nel fianco al Pd locale, Prima Pagina ha chiuso i battenti lo scorso autunno. Insomma non proprio una sufficiente pluralità informativa con tutto ciò che ne consegue.

Follow the money.

Un paio di articoli che intrecciano le vicende di Prima Pagina (Qua e qua). Buon divertimento!

“È di alcuni giorni fa la notizia dell’aggiudicazione, a Modena, di un appalto da 35 milioni di euro ad un pool di imprese, tra cui compare anche la Piacentini Costruzioni Spa. […] Il bando di gara da 35 milioni, in fase di definitiva assegnazione, riguarda un progetto per il recupero di un’area (ex Amcm, ndr) di pregio a ridosso del centro storico di Modena. Per il quale, dopo un prima gara andata deserta, a seguito di un ulteriore bando, è pervenuta all’Amministrazione Comunale di Modena una sola offerta: quella di un gruppo di imprese, nelle quali ritroviamo alcuni dei principali attori locali nel mondo dell’edilizia. Dalla cooperativa ‘rossa’ Cmb di Carpi, alla confindustriale AeC Costruzioni – recentemente balzata agli onori delle cronache per una indagine sul presunto utilizzo di cemento depotenziato nella ricostruzione di una scuola nelle zone colpite dal terremoto del 2012 – passando per Politecnica Ingegneria – cooperativa della quale è stato presidente per 32 anni l’attuale assessore ai lavori pubblici del Comune di Modena Gabriele Giacobazzi e che dal 2011 è presieduta dalla vicepresidente di Legacoop Estense Francesca Federzoni – finendo al consorzio Coseam, nel quale la Piacentini Costruzioni Spa ha il 48,4% del capitale, per un controvalore a bilancio pari a 8 milioni di euro. Se, come pare certo, una volta ultimati i necessari iter burocratici, per la gara da 35 milioni verrà indicato come vincitore l’unico gruppo di imprese in corsa, per la Piacentini sarà una salutare boccata d’ossigeno. Perché la società di cui è patron Dino Piacentini, leopoldino della prima ora e già editore, fino a fine ottobre dello scorso anno, di un piccolo quotidiano modenese (Prima Pagina, ndr) assai ostile al Pd locale, ha chiuso gli ultimi due esercizi in perdita: 2,7 milioni nel 2015 e poco più di 350 mila euro nel 2014. […] Le vicende imprenditoriali nel campo dell’edilizia corrono poi parallele, per Piacentini, a quelle editoriali. A novembre, nel giro di sette giorni, chiudeva infatti il quotidiano modenese Prima Pagina Modena, vera e propria spina nel fianco del potere locale.” (Da qua)

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Il cielo di Modena spegne anche il sole.