
Dove si era rimasti?
Nel mentre, il 28 maggio avremmo i due referendum su voucher e appalti promossi dalla Cgil (ce n’era anche un terzo, il più importante, quello sull’Articolo 18 che guarda caso presentava vizi di forma stranamente non notati dagli estensori e che dunque è stato respinto dalla Consulta) per continuare a fingere che la partita capitale/lavoro in Italia si giochi ancora su un terreno di scontro “democratico”.
(Se l’interregno è già parte del peggior domani.)
Si era rimasti ad un voto referendario prima scippato poi sbertucciato senza pudore. Si era rimasti che questa domenica si sarebbe dovuto votare sull’abolizione dei voucher. Votare? Un altro referendum? Ma non scherziamo su!
Occorreva tutta la sfacciataggine truffaldina della politica italiana sommata alla prolungata eclissi di materia grigia dei governati e dei loro finti rappresentanti per produrre un tale risultato di arroganza governamentale. Non è nemmeno più necessario fingerlo il carattere democratico perché lo si può tranquillamente bypassare con un’alzata di spalle. Per paura di un’altra sonora scoppola referendaria il governo Gentiloni li aveva prontamente cancellati allo scopo di scongiurare un voto che li avrebbe di certo seppelliti ma come in un gioco delle tre carte, abra kadabra, vengono reintrodotti proprio lo stesso giorno in cui si sarebbe dovuto votarne l’abolizione. Gente fetente che non si preoccupa nemmeno più del lezzo che emana da ogni direzione. Dopotutto il profondo divorzio tra Capitalismo e democrazia non è di certo una novità a livello storico e i segnali della separazione a ripetersi cominciano ad essere davvero tanti.
Se ne stanno accorgendo anche i più imbalsamati, coloro i quali avevano investito sul piano simbolico del referendum gli ultimi residui di credibilità spendibili sul piano reale e che ora rimbalzano la testa sul portone serrato della mediazione politico-sociale con la stessa disinvoltura con la quale ne avevano ignorato consapevolmente il costante e progressivo restringimento (talvolta persino favorendolo) come se manganellate sui precari, lacrimogeni sugli scioperi, fogli di via e accanimenti giudiziari fossero reperti del secolo trascorso e non la maledetta quotidianità.
Lo scorso anno, mentre i lavoratori francesi si battevano contro l’approvazione della loi travail (approvata, lo ricordiamo, senza alcun voto del Parlamento in base all’articolo 49.3 della Costituzione francese), la CGT, l’equivalente francese della Cgil, lanciava campagne di questo tenore a fronte di un conflitto aspro, durato mesi, e che l’aveva coinvolta suo malgrado. All’aumentare delle mobilitazioni aumentavano in proporzione i dispositivi di repressione neoliberale, con lo stato d’eccezione dell’état d’urgence (molto più funzionale a reprimere la propria popolazione che a servire contro il terrorismo) a sospensione dello Stato di diritto.
Anni luce dall’Italia dove il Jobs Act è passato liscio come l’olio e lontanissimo dalle 12 giornate di mobilitazione nazionale promosse in Francia. Hai voglia ad indignarti ora per lo schiaffo ricevuto! Fantascienza. Nel Bel Paese la Cgil fatica persino a esprimere solidarietà alle lotte dei lavoratori figurasi giocare un ruolo anche minimo in una qualche battaglia che non sia funzionale al disciplinamento e alla sua specifica riproduzione.
Avere di fronte tuttavia una classe dirigente di siffatto calibro la cui impresentabilità si muove di pari passo alla proporzionalità dell’inquinamento del discorso pubblico, tra false flag, finti bersagli, dicotomie create ad hoc, razzismo imperante e feroci polemiche teleguidate dai grandi media mainstream ad uso e consumo del teatrino della classe politica, ecco tutto ciò, può risultare un serio rischio per tutti, soprattutto nella misura in cui, anche i vuoti di legittimità, come quelli politici, prima o poi andranno riempiti.
Alle falle si mettono le toppe e la supplenza, in questi casi, la mette gente in divisa cresciuta in ambienti militari, cani da guardia del sistema che non si fanno troppi scrupoli nel violare anche i più elementari diritti dei cittadini. Il tentativo esplicito è la riduzione di chiunque lotti sui propri territori a capro espiatorio di tutti i mali del Paese come se mafie, sfruttamento, corruzione, dissesto ambientale e finanziario, centri di potere e privatizzazione dell’interesse pubblico non esistessero. Agnelli sacrificali immolati sull’altare di una pax securitaria atta a nascondere tutto sotto il tappeto e tutta tesa a tirare un’improbabile volata politica di nuovo conio con protagonisti e contenuti riciclati. Un progetto che non guarderà in faccia nessuno e che tratterà alla stessa maniera chiunque osi mettersi di traverso alla normalizzazione neoliberale siano essi movimenti, corpi intermedi, grandi sindacati o pezzi di politica istituzionale. (Il manifesto della CGT, in questo caso non è che il monito di un futuro già imposto e programmato)
È il Diritto penale del nemico di Jakobs quello che abbiamo di fronte. Un tipo particolare di diritto, differenziale, un binario parallelo che non distingue tanto tra i delitti (magari anche non commessi o semplici comportamenti) quanto piuttosto tra gli autori. Un diritto che separa il cittadino dal nemico (all’interno della stessa società e della stessa cittadinanza) e che vi riserva trattamenti molto diversi, che compie sostanzialmente una distinzione fondamentale tra il delinquente che conserva i suoi diritti e il «nemico» (feind) che li perde. Chi commette un reato verrebbe dunque trattato come persona titolare di diritti soltanto nella misura in cui esso rimanga in qualche modo «fedele all’ordinamento» al contrario, «chi non offre simile garanzia in modo credibile» perderebbe, di fatto, la sua qualifica di cittadino (bürger) e non potrebbe più pretendere di essere trattato come tale. Quest’ultimo sarebbe «il deviante in via di principio», cioè «colui che nega in via di principio la legittimità dell’ordinamento giuridico», intaccandone le fondamenta e, proprio per questo, non può più essere trattato come un cittadino, «ma deve essere combattuto come un nemico».
In questo senso risultano esplicite le recenti dichiarazioni del capo della polizia Franco Gabrielli a margine della manifestazione contro il G7 di Taormina. Badare bene, un capo della polizia che si esprime in questa maniera nel merito di una manifestazione politica non è soltanto un qualcosa di inconsueto ma di strettamente fascista. A fronte di pullman fermati e perquisiti più volte, di manifestanti identificati, schedati, fotografati, filmati, offesi senza alcun motivo e infine gasati; con perquisizioni che, tra l’altro, hanno avuto tutte esito negativo ma che hanno prodotto ugualmente fogli di via pure in totale assenza di reati (una testimonianza da leggere!) dichiarazioni del genere lasciano poco spazio ai dubbi. Il finale poi è da brividi e suona più o meno come una minaccia malcelata, notare le pause, la postura, il ghigno: “mff ehm vista la sproporzione di forze potevamo sicuramente fare di peggio.”
Chissà se il “sincero democratico” Gabrielli riserva i suoi sprezzanti giudizi anche a manifestazioni come queste oltre a autopromuoversi a pieni voti? Chissà se l’informazione mainstream porrà mai qualche domanda circa i dispositivi repressivi mostrati prima a Roma poi a Taormina oltre ad incensare acriticamente l’uomo forte del governo, il boia Minniti. Chissà se d’ora in poi la riuscita o meno delle manifestazioni sarà diramata direttamente dalla polizia e se la loro legittimità sarà decisa esclusivamente nelle stanze del Ministero dell’Interno come quando c’era lui.
In fin dei conti, sotto l’etichetta della sicurezza e del suo partner specifico per le città, il degrado occorre nascondere sempre più cose: il disagio sociale, l’impoverimento di settori sempre più vasti della popolazione, la precarizzazione del lavoro, la devastazione dei territori, la riduzione delle risorse destinate alla salute e ai servizi al cittadino, il privilegio della classi dirigenti nonché il malaffare che le circonda. La strategia più efficace per mantenere un barlume di consenso è sempre la stessa, valida per ogni tempo, vale a dire, fornire un nome alla frustrazione al posto del problema e gettarlo in pasto alla gente con l’ausilio del tritacarne dei media embedded. Il migrante. L’ospite. L’ultimo arrivato. Il figlio di papà dei centri sociali. Lo sciopero di venerdì. Lo sfaccendato in piazza. Chi osa alzare la testa…. E non si creda, varrà per tutti.
Forse, oltre a vaccini/anti-vaccini, Tar del Lazio, Ong e omeopatia in Italia cominciamo ad avere un serio problema di tenuta sostanziale di regime democratico.
Posted on 30 Maggio 2017
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