
La radio racconta della guerra feroce che sta uccidendo a caso
quattro o cinque persone al giorno
e trasmette la voce di esponenti politici italiani
perfettamente consci del fatto
che annegare un po’ di gente
gli porterà dei voti. […]
L’ignoranza non è biasimevole la miseria morale non è una colpa
semmai una contagiosa malattia.
La chiamano tristezza, la chiamano Europa, la chiamano estate
l’estate più calda di tutti i tempi (ma la prossima sarà peggiore).
Alcuni lo chiamano inferno, l’inferno liberale che è lotta per la vita.
Altri la chiamano disoccupazione, democrazia in pericolo altri la chiamano cambiamento climatico.
Alcuni la chiamano Macron.
Io lo chiamo nazismo. Anche se questa parola
non si dovrebbe pronunciare acuir leggero e questo lo so
lo chiamo nazismo perché è mio compito riconoscer i sintomi
e non censurare il nome della malattia.
Franco Berardi Bifo
Mentre, in Italia, la tardiva denuncia dell’Onu sulle condizioni dei migranti detenuti nei campi di concentramento libici e sulla “disumana la collaborazione tra Ue e Libia” passava quasi inosservata altrove, in Europa, fortunatamente qualche reazione l’abbiamo avuta.
Mentre, da noi, uno come Minniti, che già oggi meriterebbe un processo di Norimberga (e che finirà davanti al Tribunale Permanente dei Popoli), si può permettere in tutta tranquillità sceneggiate di tale calibro; mentre chez nous di questo “oltraggio all’umanità” è arrivato sì e no un centesimo del rumore di fondo riservato invece, quest’estate, agli attacchi alle Ong che salvavano i migranti in mare; mentre “sulla terra” riprendono le proteste nei campi di concentramento italiani, vedi a Conetta, esattamente dove lo scorso gennaio morì Sandrine Bakayoko, per mancanza di assistenza medica; mentre “l’accoglienza” comincia a farsi a colpi di pistola per i migranti che si lamentano come dimostra Alegiee Bobb con i suoi 19 anni, ecco, mentre accade tutto questo occorre guardare altrove, se non altro per respirare.
Parigi, 18 novembre 2017. Si scende in piazza contro le pratiche schiaviste disposte dall’UE.
Testo preso e tradotto da qua:
“Non immaginavo che ci sarebbero state così tante persone.” Claudy Siar si dichiara entusiasta e orgoglioso, lui che due giorni prima gridava la sua rabbia su un video Facebook visto migliaia di volte e condiviso altrettante. “Io discendo dagli schiavi, ho l’odio in questo momento.” Il conduttore radiofonico di 48 anni, produttore del programma Couleurs tropicales su RFI, è all’iniziativa di questa mobilitazione contro le pratiche schiaviste in Libia di sabato 18 novembre alle ore 16. È entusiasta del “raduno spontaneo” reso possibile tramite una mobilitazione sui social network. L’elemento scatenante: un reportage dell’americana CNN che mostrava africani venduti come schiavi o incatenati dentro le gabbie in Libia. Molti i personaggi conosciuti che hanno trasmesso l’invito a manifestare, come Omar Sy, Mokobe del 113, Didier Drogba o l’ex Miss France Sonia Rolland.
Un collettivo viene creato per l’occasione: Collectif contre l’esclavage et les camps de concentration en Libye (CECCL). La mobilitazione, che inizialmente doveva essere un semplice presidio di fronte all’ambasciata libica nel 15° arrondissement di Parigi, si trasforma subito in una manifestazione spontanea. Al grido di “Liberate i nostri fratelli” e “Liberate le nostre sorelle”, i manifestanti urlano la propria rabbia: 1.000 partecipanti secondo la prefettura di Parigi, tra i 5.000 e i 6.000 secondo Claudy Siar e altri per l’iniziativa. Per la maggior parte, i manifestanti erano provenienti dalla diaspora afro-discendente. I cartelli di cartone ospitavano messaggi come: “La schiavitù è un crimine contro l’umanità.” o “Siamo tutti umani.” Tante iscrizioni a testimonianza di una situazione universale che riguarda tutti, compresi i buoni quartieri parigini.
“Se vedere gli esseri umani venduti come schiavi, non sciocca più nessuno, allora non siamo più umani”
“Vedere i nostri bambini incatenati in una gabbia è inaccettabile, è disgustoso.” protesta Julie Mabea, una musicista di 43 anni. “Se vedere gli esseri umani venduti come schiavi, non sciocca più nessuno, allora non siamo più umani” sentenzia da parte sua, Raphaël Agbemadon, venditore di 37 anni. Le immagini sono servite da elettroshock per qualcuno che voleva battere a tutti i costi il pavé parigino. “Avevo delle cose da fare questo sabato ma ho cancellato tutto all’ultimo minuto. Non potevo restare a casa.” spiega Sisko Mbuma, un’attivista di 37 anni. Tuttavia, la questione della schiavitù in Libia e in altri paesi come la Mauritania non è affatto nuova. Cos’è che ha fatto scendere la gente per le strade? “Credo che prima, le informazioni erano limitate. Ora vengono diffuse rapidamente e ovunque attraverso i social network”, afferma Mireille Owona, manager patrimoniale di 33 anni. “Personalmente, prima di questo reportage dalla CNN, non conoscevo questa realtà” ammette Julie Mabea. Per Raphael Agbemadon “la gioventù africana sta diventando consapevole. È tempo che i giovani africani abbiano un’esplosione di orgoglio, così che il cliché sulla miseria in Africa cessi“.
“Sarkozy criminel, Sarkozy assassin”
Per gran parte dei manifestanti intervistati, i paesi occidentali e la Francia in particolare, detengono grandi responsabilità per questa tragedia. “Non possiamo riprodurre ciò che accadeva 400 anni fa, pur conoscendo i postumi e i danni che tutto ciò ha causato“, dice Sonia Lebrache, un’artigiana di 33 anni. Nel recente periodo, l’interventismo occidentale in Libia del 2011 è stato indicato quasi all’unanimità come responsabile così all’improvviso, gli slogan “Sarkozy criminal“, “Sarkozy assassin” sono cresciuti durante la manifestazione.
I manifestanti avevano deciso di radunarsi attorno al consolato libico, in rue Kepler, nel 16° arrondissement, passando per il 7° arrondissement, in avenue Rapp e sul ponte de l’Alma. Fino al ponte la manifestazione avanzava tranquillamente con una folla che cresceva in numero e misura. Ma a causa del suo carattere “spontaneo” che non era stato dichiarato precedentemente alla prefettura, la manifestazione è stata ritenuta illegale dalle autorità e di conseguenza, decine di CRS sono stati mobilitati per bloccare la strada ai manifestanti. È su avenue Marceau all’angolo con avenue Pierre 1er de Serbie, all’altezza della chiesa di Saint-Pierre de Chaillot che la manifestazione è diventata bersaglio dei gas lacrimogeni. “Siamo venuti per protestare pacificamente. Ci sono mamme e bambini. Li ho persino visti i bambini. E all’improvviso, vediamo i CRS che partono e ci caricano” protesta Sisko Mbuma.
La testa del corteo è sfilato in tempo per continuare su avenue Marceau e raggiungere il consolato libico. Gli altri gruppi invece hanno dovuto indietreggiare e raggrupparsi sugli Champs-Élysées, e rimontare verso l’Arco di Trionfo. Proprio dove li attendevano i CRS per rinchiuderli in una nasse, sotto gli occhi stupefatti dei turisti che assistevano alla scena, prima che i CRS stringessero il cerchio (la nasse) per far riprendere il traffico automobilistico. Una volta liberati dall’accerchiamento (da la nasse), diversi manifestanti si sono poi dispersi per “fare rumore” e allertare i residenti di un contesto fuori dal comune proseguendo con raggruppamenti cacofonici. Per esempio, in piazza d’Iéna, un gruppetto di una cinquanta manifestanti riceveva messaggi che indicavano di andare al ponte de l’Alma per ricongiungersi ad altri gruppi. Cinque minuti più tardi, ci si dirigeva tutti al Trocadéro dove altri manifestanti li avrebbero aspettati. Infine, un presidio con centinaia manifestanti ha avuto luogo su rue Kléber, intorno a Claudy Siar, che salutava quelli che protestavano e invitandoli a tornare a casa con calma senza provocare i CRS. “Nessun abuso è stato commesso”, affermava a fine giornata il comunicato della polizia di Parigi aggiungendo inoltre che “il prefetto ha chiesto che le indagini identifichino gli organizzatori di questo raduno organizzato in violazione della legge in modo che i procedimenti siano avviati ai fini di un’appropriata azione giudiziaria“.
Claudy Siar assicura: a questo evento ne seguiranno altri, ma si lavorerà anche con le Nazioni Unite e con l’Unione Europea circa la situazione in Libia, al fine di ottenere delle scuse “in maniera ufficiale“. Un’altra manifestazione è già in programma venerdì 24 novembre alle 16, sempre davanti all’ambasciata libica di Parigi, all’appello hanno già aderito diverse associazioni come Coordination sans Papiers 75.
Anno 2017. La schiavitù torna ad essere di casa nell’Unione.
Una schiavitù che risiede sia negli infernali centri di stoccaggio alle sue porte sia nelle nostre incrollabili certezze, consolatori paraocchi con i quali speriamo nell’assoluzione.
Tuttavia, come ci ricorda Airné Césaire, il ‘900 dovrebbe averci insegnato come esista una strettissima relazione fra le pratiche coloniali e l’importazione di queste ultime nel cuore stesso dell’Europa e di come, il sorgere dei fascismi, affondi le sue radici esattamente in questo rapporto.
Posted on 21 novembre 2017
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