Cuori impavidi o nani da giardino?

Posted on 17 novembre 2017

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La facciamo breve. Molto breve, giusto per levarci qualche sassolino dalle scarpe.

All’alba del 16 novembre 2017 la Gazzetta di Modena se ne esce con un doppio paginone (Pag. 32-33) sullo sfruttamento nel distretto carni modenese. Nuovi schiavi, un omicidio per coprire la contraffazione, reati sempre prescritti, caporalato e pure la politica che si compatta: «è ora di finirla». Ottimo, tutto ben fatto, scoperchiato il vaso di Pandora.

Per contestualizzare un’attimo la questione prendiamo a piene mani da questo fantastico pezzo apparso su Carmilla, Pastorale emiliana:

Quando parliamo di questo territorio – l’angolo di provincia compreso tra Castelnuovo, Castelvetro, Spilamberto, Vignola – stiamo parlando di un pezzo importante del Pil italiano, circa tre miliardi di euro, realizzati da 179 aziende, 5000 addetti, con 8 milioni di quintali all’anno di carni fresche lavorate e salumi: una macchina produttiva potente che importa dagli allevamenti del nord Europa 200 camion di suini macellati ogni giorno – la materia prima che, lavorata in loco, rifornirà tutti i grandi marchi nazionali ed esteri. […] Appalti, sub appalti, spezzettamenti, la filiera che si slabbra e si allunga come un verme. Migliaia di lavoratori, principalmente stranieri, collocati nei gironi via via più degradanti del lavoro in appalto, tra cooperative spurie, terziarizzazioni, consorzi fittizi creati dalle stesse imprese appaltatrici – ovviamente nei segmenti produttivi dove regnano fatica, nocività, rischio per la salute. […] Ma quella del distretto carni non è la solita minestra avvelenata del panorama italiano – cooperative che non sono cooperative, facchini che non sono facchini, contratti che non sono contratti. Non è solo una storia di appalti fasulli, elusione fiscale e capannoni della logistica persi nelle nebbie brumose della campagna padana. No, qui si sta parlando di un palcoscenico rinomato, dove va in scena ogni giorno la farsa dell’eccellenza agroalimentare italiana: un concentrato di bugie, affarismo, arroganza e retorica tricolore – straprovinciale e global, allo stesso tempo. Il distretto carni rappresenta la vetrina delle scelleratezze italiane degli ultimi due decenni, un esempio della svalorizzazione del lavoro, della mortificazione operaia. E delle viltà, delle complicità, della subordinazione della politica e del sindacato, della retorica del primato dell’impresa come valore unanimemente condiviso. […] È una storia di pervicace illegalità, quella del distretto carni. Un morto ammazzato nel 2001 (fanno capolino anche i soliti servizi segreti), pestaggi, minacce, auto bruciate, criminali di ogni risma che attraversano la vita, e spesso i cancelli, di aziende prestigiose. […] Tecnicamente una “cooperativa spuria” è un’associazione a delinquere. Non dovrebbe occuparsene l’Ispettorato del Lavoro. […] Hanno messo le forze di polizia al servizio delle aziende, a presidio della santa continuità produttiva, come se la Questura fosse l’Agenzia Pinkerton (che almeno non era pagata dai contribuenti). Se avessero “attenzionato” seriamente il comparto carni, oggi nelle carceri di Sant’Anna dovrebbe esistere un “padiglione cooperatori”.

Al magistrale elenco di protagonisti tratteggiato da Giovanni Iozzoli in questa moderna pastorale di provincia mancava un’unica cosa, il ruolo recitato della cosiddetta informazione cittadina.

Graziolo

La punta dell’iceberg. Ce lo raccontano “loro” il caporalato, le cooperative spurie, i nuovi schiavi, la faccia oscura dell’eccellenza agroalimentare italiana; il tutto “in edicola” su un giornale puntualissimo quasi come un orologio svizzero. Vi raccontiamo cosa succede sul territorio ma a scoppio ritardato, solo quando arrivano le interrogazioni al Ministero, quando parlano i politici “di peso” o quando le vertenze toccano il tavolo dell’assessore regionale alle Attività produttive, Palma Costi. Prima no. Prima i lavoratori in sciopero nel settore carni modenese finivano tra la cronaca, tra la microcriminalità, in trafiletti che sembrava badassero molto di più alla marginalizzazione di questi lavoratori piuttosto che a descrivere, anche solo lontanamente, i meccanismi di sfruttamento ai quali erano sottoposti. Sempre quando ci finivano sul giornale questi lavoratori – il ché solitamente combaciava con il lancio di lacrimogeni da parte di plotoni in assetto antisommossa – sennò col cavolo che qualcuno osava scrivere qualcosa. Silenzio tombale. Si poteva pure lanciare una manifestazione nazionale su Modena (il 4 febbraio scorso) che, a leggere la Gazzetta, la città non avrebbe saputo nulla fino al giorno stesso. Zero pubblicità ma anche zero informazione. Buio totale. Salvo poi ritrovarsi, il giorno successivo, con una manifestazione sindacale proibita dal questore e una stazione dei treni invasa dai manifestanti. Oppure ancora, con lo sciopero generale della logistica e dei trasporti di metà giugno dove, nonostante i consueti lacrimogeni e il carattere nazionale della giornata, non si andrà oltre a un micro-trafiletto a pagina 28. Un’informazione in prima linea [sic!] almeno nel nascondere quelle lotte e quelle rivendicazioni che non potevano essere né criminalizzate apertamente né ricondotte in un alveo concertativo sostanzialmente innocuo per i padroni e deleterio per i lavoratori.

grazioli

In prima linea a “manganellare” mediaticamente proprio quei sindacati i quali, più di tutti, stavano denunciando, attraverso lo sciopero, le irregolarità di una filiera produttiva quasi “extraterritoriale” e hors de la loi però ce li trovavi i nostri eroi.

Avete presente il “negro da cortile” di cui parlava Malcom X? L’house negro quello addetto alla casa del padrone ben vestito e ben nutrito che vi viveva accanto e che lo amava più di se stesso? Avete presente un nano da giardino? Quello contrapposto al field negro che al contrario lo odiava e non vedeva l’ora di sfuggirvi per farsi una vita propria, degna, libera.

Ma oggi è tutto diverso, a distanza di mesi Enrico Grazioli, il direttore della Gazzetta, “vive e lotta insieme a noi“, denuncia il caporalato e le cooperative spurie, peccato che, nel farlo, il suo giornale dimentichi anche solo di nominare la parola SiCobas o di menzionare, ancora una volta, gli 83 denunciati per la manifestazione sindacale del febbraio scorso (notizia piccina, piccina in un contesto come quello modenese) [sic!]. Guarda caso, gli unici esclusi dalla narrazione di maniera sono proprio quegli schiavi riottosi protagonisti invece di questa pastorale emiliana, quelli che si ribellano perché non hanno altra scelta e che, in questo momento, sono l’unica vera eccellenza che esprime il territorio.

einaudi

Luigi Einaudi

Un cuore impavido sicuramente che, da oggi in poi, confezionerà un giornale attento anche al proliferare dei neofascismi in città.

Vedremo.