
E’ da mesi ormai che Piazza Grande non è più la stessa.
Tra un terremoto e le dovute ristrutturazioni al Duomo l’aria, nella principale piazza della città, sembra condividere il destino con la stessa. Dalla piazza alla città, dalla città al Paese il passo è breve, pericolante in un’orizzonte avvizzito.
Da marzo 2012 per entrare nella piazza occorre tenere lo sguardo basso, alzarlo significherebbe incappare in tutti gli equivoci del cattivo gusto, nelle ombre della crisi e sulle orme di quell’Italietta anni venti troppo spesso dimenticata quanto sopravvissuta come metastasi all’interno delle architravi istituzionali.
Dal balcone del municipio, infatti, penzola un dubbio manifesto che reclama il ritorno in patria dei due marò detenuti in India. Una vicenda squallida che parla di acque internazionali, due pescatori uccisi, assassini e due diplomazie che si azzannano con la legge del più forte. Di giustizia neanche a parlarne.
La decisione di esporre il manifesto venne votata all’unanimità dal Consiglio comunale il 26 marzo scorso con tutta la dovuta dose di ipocrisia spacciata in simili vicende. Nella fattispecie, il Consiglio intendeva “esprime solidarietà ai militari italiani detenuti in India e il cordoglio alle famiglie dei pescatori indiani..” Di quest’ultimo sul manifesto ovviamente non vi è traccia e difficilmente si può esprimere cordoglio alle famiglie delle vittime esponendo la gigantografia dei propri “presunti” assassini sulla facciata di un Comune. Fossi in quegli indiani non l’apprezzerei.
“Compreso” l’inciampo, in aprile, la nuova moda comunale propose un manifesto di natura più civista con l’immagine di Rossella Urru, la cooperante italiana rapita assieme a due colleghi spagnoli in Algeria. Con la Urru liberata la campagna pro-marò poteva campeggiare nuovamente sul balcone del Comune.
L’italianità come valore in sé sembra essere di casa al Comune di Modena un po’ come la divisa che va difesa a prescindere da tutto anche quando per farlo si è disposti a mettere le gigantografie di due “presunti” omicidi davanti al proprio balcone.
Le parole sono importanti e quelle utilizzate per il cartellone non lasciano certo spazio ai dubbi, il senso è solo uno.
Vi è scritto: “riportiamo a casa i nostri marò“.
Se la dicitura fosse stata: “giudichiamo noi i nostri marò” il significato sarebbe stato un altro e si sarebbe potuto legare in qualche maniera ai fini attraverso i quali questa vicenda viene propagandata (un problema di giurisdizione internazionale). Purtroppo la formula “riportiamo a casa i nostri marò” esprime ben altro, richiama l’impunità, significa, detta in altri termini: “riportiamo a casa i nostri ragazzi trattenuti ingiustamente in un paese “poco civile”.”
L’appello sottostante: “applichiamo il diritto internazionale” è giusto uno specchietto per le allodole atto a camuffare la vera natura del manifesto, richiamo normativo ad un’ipotetico diritto poco evocato in altre circostanze quali la morte di Calipari o la tragedia del Cermis.
Oltre alla retorica allora si cela qualcos’altro. Un sentimento militarista molto affine ad un certo atteggiamento nostalgico, un fascismo di bassa intensità che torna alla ribalta ogniqualvolta la storia o una determinata situazione internazionale lo consente.
In Italia influenza militare e lobby delle armi sono mostri in continua espansione.
A Modena, per non farci mancare nulla, sulla vicenda è intervenuta pure la Ferrari che scambiando una gara sportiva con la politica ha deciso di gareggiare il Gran Premio Indiano con la bandiera della Marina Militare. Scontate le reazioni.
Strategie di marketing a parte preoccupa il clima generale, un clima che solo pochi ormai sono coscienti di respirare, tra mefitiche riapparizioni e sfondi bellici sempre più probabili.
Piazza Grande non è più la stessa grazie anche ad un Consiglio Comunale quanto mai cieco.
In un mondo costruito sulla violenza, si deve essere rivoluzionari, prima di poter essere pacifisti (A. J. Muste)
Posted on 26 ottobre 2012
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