
Come anniversario del governo Monti forse non vi è metafora migliore e dichiaratamente esplicativa di quella che vede candelotti di gas Cs lanciati su una folla inerme dai piani alti del Ministero di Giustizia.
Che sarebbe stato uno sciopero atipico lo si capiva già da qualche settimana, dalle premesse innazitutto. La convocazione stessa già lo era, quella che rimbalzava sul web, che risonava da paese a paese tirando per la giacca vecchi arnesi quali i sindacati quasi a volere scardinare quel ritmo funereo che il capitale sta imponendo ai popoli del continente.
Dalla città al Paese. Dal Paese al Continente. Se lo si legge esclusivamente in un ottica nazionale lo sciopero del 14 novembre non compone alcun tipo di senso. A terra rimangono le amarezze del racconto mediatico (vedi foto in basso), le scorie sugli scontri e le polemiche chirurgiche modellate ad arte giusto per spargere tossine. Questa volta se non altro potrebbe accadere che la sfibrante tiritera tanto amata dai giornali con le arcinote distinzioni tra buoni e cattivi, tra violenti e non violenti rimarrà depotenziata. La rabbia che monta è quella che riconduce semplicemente l’Italia dentro quell’area geografica in ebollizione alla quale essa stessa appartiene, quella euro-meditteranea. Cosa pensare quando due ministri sono costretti a fuggire in elicottero da una regione che non ce la fa più? All’Argentina di De la Rúa?
Sciopero, cos’è uno sciopero oggi? In Italia l’unico sindacato che ha aderito è stata una Cgil gravemente malata di moderatismo, se lo sciopero dichiarato era generale i risultati in quanto astensioni effettive dal lavoro non lasciano di certo ben sperare. L’Italia non è stata fermata come la Spagna e se non fosse stato per gli studenti, i veri protagonisti nelle piazze, le mobilitazioni della Cgil avrebbero assunto caratteri piuttosto limitati, quasi innocui. La crisi morde erodendo anche le capacità di mobilitazione da parte dei sindacati non senza cospicue responsabilità in seno a questi ultimi. Se si guarda al concreto, in effetti, più che le tante ferite del lavoro nel desolante contesto italiano, è stata la dimensione europea della data a sciogliere gli indugi nel più grande sindacato italiano. La “chiamata all’ordine” partita dalla CES (Confederazione Europea dei Sindacati) poteva suonare quasi come una “precettazione” per il carrozzone a guida Camusso, un richiamo al dovere, al proprio ruolo, alla funzione originale quella che un sindacato dovrebbe considerare come difesa degli interessi del lavoro e dei lavoratori. Tutte cose che non vanno certo di pari passo con la rotta tracciata finora dalla Cgil, se il lavoro piange o è in lotta c’è da stare certi che questo sindacato guarda altrove. All‘Ikea di Piacenza ad esempio dove la posizione della Cgil è stata questa o ad Anzola cuore di un Emila che si vorrebbe ancora rossa.
Ai manganelli che disciplinavano i lavoratori nelle giornate precedenti è andata ad aggiungersi la repressione cilena compiuta sui loro figli il giorno dello sciopero.
E fanno quasi specie certe dichiarazioni che mai cambiano indirizzo e che scorrono in parallelo a quel selciato che è stato asfaltato dal denominato “centrosinistra” nostrano, per il quale i fascisti sono quelli che contestano la Fornero o chiunque stia un po’ più alla loro sinistra mentre tutto tace quando questi ultimi si manifestano esplicitamente.
In realtà, nel retrobottega del 14 novembre, aleggiava ancora uno “specchietto per le allodole” quello delle primarie del “centrosinistra”, vuota speranza valevole giusto per chi ragiona ancora in termini prettamente italiani e col respiro corto dei cartelli elettorali. Il finale è già scontato, sarà di tipo greco in stile Pasok e viene quasi da chiedersi, anche con le più nobili e volenterose intenzioni, come possa scaturire la voglia di votare alle primarie nel momento in cui per farlo si è costretti a sottoscrivere una carta di intenti che non prevede la messa in discussione del “Fiscal compact“, quella cosa che tradotta significa tagli da 50 miliardi di euro all’anno per i prossimi vent’anni.
A ben gurdare sono la menzogna e il non-detto a regnare sovrani in questa epoca. Marx affermava che la ricerca del massimo profitto distrugge le basi stesse che lo consentono. Ciò che veramente si sta salvaguardando e che risulta essere il vero obiettivo delle politiche intraprese in tutta Europa sono gli interessi che gravitano sul debito e che devono continuare ad essere pagati per ottemperare alle richieste dei grandi monopoli finanziari. Il debito crescente è per loro un nutrimento perchè è in esso che il capitale incontra il suo guadagno. Scontato che tutto ciò avvenga sulla pelle di milioni di europei.
Se l’immagine dei lacrimogeni lanciati dal Ministero di Giustizia riassumono bene l’operato follemente iniquo del governo Monti a un anno di distanza è giusto ricordare una figura storica che rieccheggia tutto il dramma della situazione nella quale siamo rinchiusi: Heinrich Brüning per un paio d’anni cancelliere del Reich tra il ’30 e il ’32 che, a capo di un governo di centristi e appoggiato da una sinistra cosiddetta “responsabile”, a suon di tagli e strette di bilancio, mortificò a tal punto l’animale sociale della Repubblica di Weimar tanto da spedirla nel mortifero abbraccio hitleriano.
Indizi e avvisaglie in questo senso cominciano ad essere registrate lungo tutta la penisola e sarebbe un bene tenerle a mente. Forse non lo si farà, preferendo ciecamente scorribande elettorali, l’acquario delle primarie o i vani tentativi che si esauriscono nell’interrogaozione sul neofascismo alle questure.
Quel che è certo è che ovunque la si guardi la giornata del 14 novembre continuerà a modulare l’animale sociale italiano così come hanno già fatto il 14 dicembre 2010 e il 15 ottobre 2011. Se fosse disponibile un tamburo sul quale battere un ritmo altro, differente dalla marcia militare che il capitale sta imponendo e qui non solo in senso metaforico, queste date ne comporrebbero certamente la melodia, una via dei canti all’interno della metropoli.
Qualche breve considerazione sulla piazza modenese. C’è un confine sottile quanto imprescindibile fra la manifestazione che porta in piazza il conflitto, espressione di una mobilitazione diffusa, e lo stanco ritualismo di cortei che rappresentano solo se stessi.
Le due foto qua in basso rappresentano perfettamente questo secondo tipo di manifestazione. Un corteo che parta da piazzale Sant’Agostino per concludersi in Piazza Grande difficilmente può essere definito corteo – sono 400 metri. Se poi i comizi in piazza si svolgono sposandosi con lo sguardo dei marò, davanti a quel becero manifesto di propaganda militarista e nazionalista dal sapore novecentesco senza che nessuno lo faccia notare allora abbiamo la misura del gelo politico che attraversa la città.
Posted on 16 novembre 2012
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