La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza.

Posted on 17 febbraio 2013

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L’immagine in copertina è dedicata al Guernica sgomberato per la 7° volta in una città senza udito.

Sebbene la distopia di Aldous Huxley, quella disegnata in Brave new world, risulti più profetica nel descrivere l’odierno la neolingua orwelliana è fissante perfetto per le contraddizioni che ci assediano. Gli slogan del Socing, scanditi in 1984, non sfuggono ancora a quell’ambito non governato dalla fantasia e sembrano dettare tutt’ora le agende del potere, oliarne gli ingranaggi, avversando ciò che da sempre risulta essere il loro maggiore nemico: il pensiero libero, eretico, radicale.

Giusto un piccolo omaggio a Giordano Bruno bruciato sul rogo dalla chiesa il 17 febbraio del 1600.

La guerra è pace.

Val di Susa 8 febbraio 2013

E’ sera a Chiomonte nell’area che circonda il fortino-cantiere della Tav quando circa un centinaio di attivisti muniti di cesoie appaiono alle recinzioni. Solo un paio di giorni prima era apparsa la denuncia dell’amministrazione comunale, sempre di Chiomonte, circa il carattere illegale e abusivo delle reti che circondano il cantiere, realizzate dalla ditta Ltf in totale assenza delle necessarie autorizzazioni. Il Comune ne aveva chiesto l’immediato abbattimento anche se a ciò non era seguita alcuna risposta né da ambienti istituzionali e di governo né da parte dell’impresa. La rassegnazione però non è elemento troppo diffuso in Val Susa e le recinzioni illegali vengono tagliate senza troppa difficoltà. Complice l’illuminazione interrotta, gli attivisti penetrano nel fortino e le bandiere NoTav sventolano nuovamente all’interno del cantiere della Maddalena. L’incontro ravvicinato è con un blindato dell’esercito, un Lince per l’esattezza, come quelli che percorrono le strade dell’Afghanistan. Il blindato indietreggia e si da alla fuga.

E’ solo ad azione conclusa però che appaiono i fattori illuminanti, esplicativi, quelli che fuoriescono a “bocce ferme” sulle pagine dei giornali e dalle aule di giustizia. Primo fra tutti l’epilogo del blitz NoTav terminato con ciò che in gergo si chiamano rappresaglie e rastrellamenti.

Sono due i cittadini che vengono arrestati a manifestazione terminata, entrambi lontani dal “luogo del delitto”.  LELE_CRI Emanuele Davì e Cristian Rivetti, originari di Mattie, infatti, vengono arrestati perchè ritenuti colpevoli di trovarsi nei pressi del paesino di Giaglione a 3 km di distanza dal cantiere. Sono accusati di danneggiamento aggravato, possesso di oggetti atti a offendere e il solito resistenza a pubblico ufficiale. Per la polizia l’ “arsenale” in loro possesso prevedeva: guanti da lavoro, torce, passamontagna, cesoie, maschere antigas, fionda e sassolini. Vengono condotti direttamente in carcere ma l’accaduto non rimane senza ripercussioni. Già domenica a Mattie va in scena una fiaccolata di massa con un migliaio di persone che arrivano nel paesino a chiederne l’immediata liberazione oltre ovviamente alla fine della repressione contro chi si oppone al Tav.

Dalla piazza il confronto si sposta sui giornali e nelle aule di giustizia. Già lunedì Cristian e Emanuele vengono scarcerati perchè non presenti alla Maddalena nel momento in cui avviene la manifestazione contro il cantiere e le sue recinzioni illegali. Addirittura uno dei due dimostra di avere timbrato il cartellino di lavoro alle Ferriere nella stessa ora in cui si svolgeva il taglio delle reti.Repubblica Nonostante la senenza e con “somma onestà” c’è chi riesce a titolare “Scarcerati i due autori dell’assalto” per poi puntare il dito accusatorio contro una fantomatica talpa all’interno del cantiere. (Il Giornale potrebbe quasi invidiare tali esercizi giornalistici) Polizia, Carabinieri,Finanza ed Esercito presenti in forze all’interno del cantiere sarebbero stati beffati da un infiltrato dei NoTav che avrebbe sabotato l’illuminazione nell’area occupata.

Il carattere sempre più militare verso il quale sta scivolando la difesa di un Capitale che si avventura in opere faraoniche divorando e sussumendo tanto l’ambiente quanto la vita sociale nel suo insieme tuttavia è ben condensanto tra le righe di un altro esercizio giornalistico, apparso domenica sul sito Avellino Otto pagine poi scomparso quasi immediatamente. Si tratta di un’intervista ad un alpino originario dell’avellinese che svolge il suo servizio armato in Val di Susa e che mostra molto bene con quale spirito da guerra unito ad atteggiamenti coloniali agiscano i militari mandati dal governo a occupare militarmente il cantiere del Tav dichiarato di interesse strategico nazionale. Il pezzo (in fondo a questo post completo), che si conclude addirittura con un Grottolella può essere fiera del suo soldato, è degno del tenore contenuto in altri articoli simili provenienti dall’Afghanistan o dall’Iraq con tanto di telefonata a casa per tranquillizzare i famigliari sulla situazione della missione.

In questo senso, lo “spazio bellico” che si profila sempre più come “stampella” del Capitale (la Val Susa è giusto un esempio eclatante) ci getta in una prospettiva schmittiana. Quando sfumano le distinzioni e la politica è ridotta a semplice funzione burocratico-organizzativa nel servizio del dominio economico sull’uomo le guerre si fanno “teologiche” contro concetti o contro una serie di pratiche  e rischiano di sostituire un nemico pubblico (hostis) a un nemico privato (inimicius) .

 

La libertà è schiavitù.

“Se per democrazia si intende una forma politica, c’è solo una democrazia del popolo, ma non una democrazia dell’umanità.” Carl Schmitt

A elezioni ormai imminenti si potrebbe tranquillamente affermare che mancano pochi giorni al Monti bis. Sia che venga presentato come di destra o come costola della “sinistra”, sia esso premier o ministro dell’economia sembra che il prossimo governo porti il suo nome già scolpito.

Manifesto-16_02_2013Si scomodano addirittura oltreoceano per lui con il presidente Obama a dar vita a un siparietto italo-americano con il proprio omologo Napolitano. Il sentore è quasi una certezza che sfiora tutti quanti. Solo i compagni di Sel fanno orecchie da mercanti, pur consapevoli che l’austerity continuerà, che i diritti civili e ambientali continueranno ad essere elusi e che il welfare subirà altri fendenti, perseverano nella speranza che, in un’eventuale governo, riusciranno a ritagliarsi qualche spazio di manovra a dispetto di ciò che accade oltre il piano nazionale. (Osservare l’esperienza greca)

Non la si vuole “buttare in vacca” ma il solco “democratico” non è un fiume che porta al mare bensì un torrente che va restringendosi sempre più i cui argini non accettano più fantasie, deviazioni, libertà. L’emancipazione non è prevista le rassicurazioni sono riservate ai mercati, solo i conti ai cittadini. La governance è già impostata, il timone bloccato come se il governo che verrà pre/esistesse alla raccolta del consenso.

Di ipotesi credibili e coerenti nel menù elettorale  non ve n’è alcuna. Forse l’unica potrebbe essere la stessa Sel a patto di eludere: rapporti di forza, ricatti dell’austerity e i meccanismi stessi dei residui della democrazia rappresentativa che ormai hanno compiuto un salto di scala. In tre parole: non è cosa.

Forse la cosa migliore che si può fare per limitare questo “argine” è disperdere il voto come suggerisce Augusto Illuminati in quest’articolo chiamato Doppio movimento. “Al momento è l’unica chance –sullo schermo politico– per bloccare la deriva recessiva e creare le condizioni (eluse da Sel e da Rivoluzione Civile) per una riaggregazione della sinistra radicale, di una Syriza italiana. Quando il governo è stupido e oppressivo, l’ingovernabilità è la salvezza. A patto che, nel contempo, si sviluppi un’ondata di lotte.”

Quest’ultimo punto forse è il più centrale e sebbene possa apparire quasi utopico nel bel mezzo del congelamento di questa campagna elettorale il processo di normalizzazione che va imponendosi su scala europea risulta altrettanto fondato su una scommessa del tutto inattuabile. Una mina inesplosa  con una carica maggiore di esplosivo. E all’ondata di lotte dovrebbero svolgere lo sguardo quei due “partiti” che più di tutti si rifanno alla concessionaria elettorale della sinistra italiana: Sel e Rivoluzione Civile ancora del tutto ripiegati su dinamiche a “corto raggio” che sottovalutano l’importanza tanto delle forme di opposizione sociale all’austerità quanto le articolazioni che potrebbero crearsi sul piano transnazionale. Una breve cartolina dalla Grecia che ci parla di disoccupazione al 27% e della polizia che picchia i deputati di Syriza dovrebbe riassumere bene il concetto.

Se la sacralità del voto si sta avvitando verso un processo di “secolarizzazione” e di crisi della rappresentanza all’interno della quale questo diritto risulta essere ormai quasi completamente inesistente e espropriato non è detto che le trappole disseminate lungo questo percorso non siano profondamente pericolose.

L’ignoranza è forza.

Il fascismo si è presentato come l’anti-partito, ha aperto le porte a tutti i candidati, ha dato modo a una moltitudine incomposta di coprire con una vernice di idealità politiche vaghe e nebulose lo straripare selvaggio delle passioni, degli odi, dei desideri. Il fascismo è divenuto così un fatto di costume, si è identificato con la psicologia antisociale di alcuni strati del popolo italiano. 

Antonio Gramsci, L’Ordine Nuovo, 26 aprile 1921

Se c’è un sentimento che galleggia su questa campagna elettorale, arma per tutti e ferita per ciascuno questo prende il nome di paura. I richiami al voto utile, allo scenario greco o alla catastrofe sono all’ordine del giorno ed assumono caratteri bipartisan. Monti1994

Berlusconi dovrebbe fare come Menem in Argentina.

La situazione nella quale siamo immersi non è tuttavia evento inaspettato o un fulmine a ciel sereno ma presenta una sua precisa cronologia. Già nel 1994 il premier dimissionario aveva facoltà di parola e facile accesso al grande pubblico. In un vecchio articolo su La Stampa (pescato qua e disponibile in Pdf) il professore elogiava Berlusconi per per le politiche attuate consigliandogli uno spirito più thatcheriano e invitandolo a imitare Menem, colui il quale, grazie alle politiche del proprio ministro dell’economia Domingo Cavallo, portò l’Argentina al fallimento.

I dogmi del neoliberismo, con i propri sacerdoti atti a dispensare il “verbo” e  a benedire gli “alleati”, erano una forza già presente sulla scena. Egemonica, per nulla marginale. Se oggi la battaglia elettorale non prevede che sfumature del rigore, con l’austerità mortifera del Fiscal Compact entrante a livello costituzionale e con i “tecnici” che si manifestano in tutta la loro “inevitabilità” politica dismettendo i propri panni di “spettri” sullo sfondo dei governi, la ragione è da ricercare proprio in quel carattere egemonico.  Per quanto poco ancora?

“L’essenza di una cosa non appare mai all’inizio, ma in mezzo, nel corso del suo sviluppo, quando le sue forze sono consolidate.”  Deleuze su Bergson 

Ciò che oggi si manifesta non è che un potere che ha già iniziato a sfiorirsi proprio perché si “manifesta” e cosa appare ora come spettro sullo sfondo?

Un immigrato che vive in Grecia, spinge un carrello della spesa pieno di spazzatura, davanti a un murale dipinto su un edificio. John Kolesidis

Un immigrato che vive in Grecia, spinge un carrello della spesa pieno di spazzatura, davanti a un murale dipinto su un edificio. John Kolesidis

Sullo sfondo vi è un conflitto che il terreno non ha ancora risolto. Il volto di una nuova egemonia non sì è ancora palesato chiaramente ma fa già paura.

Sebbene il salto logico non appaia del tutto immediato è utile annotarsi un “fatto strano” avvenuto in questi giorni sulla rete. Notizie allarmanti riguardo alla Grecia hanno cominciato a circolare sui social network in maniera incontrollata, virale. Se il mezzo di diffusione è stato quello (gli articoli provenivano da un famoso blog Comedonchisciotte di tendenze rosso-brune e da altri dalla dubbia veridicità), il fenomeno è prettamente sociale. La Grecia spaventa più di quanto siamo disposti ad ammettere. Se ciò non fosse non si spiegherebbe quest’improvviso allarme che parlava di assalti ai supermercati, di rapine in banca e di una imminente e possibile rivoluzione sociale. Passi la speranza ma che osservi alla realtà. L’Egitto post-Mubarak è forse in mano alle moltitudini o ai neoliberali Fratelli Mussulmani?

Video e notizie che ritraevano scontri del 2012 sono stati scambiati per notizie fresche come se un po’ altro non ci si aspettasse da quel paese e un po’ ci si attendesse una rivoluzione già confezionata e pronta per essere mangiata.  Miracoli del marketing on-line.

Di notizie gravi e non sensazionalistiche sulla Grecia è pieno il web. Questo molto bello sul “fumo” che di notte ricopre il cielo di Atene ne è un esempio. Se si vuole tenere monitorata la situazione greca basterebbe anche solo prestare attenzione a quelle scadenze che provengono da laggiù. Tra tre giorni, ed esempio, ci sarà un nuovo sciopero generale in vista dell’arrivo ad Atene degli ispettori che rappresentano i creditori internazionali. Un appuntamento piuttosto importante, quello del 20 febbraio, tenuto conto dei recenti attacchi del governo al diritto di sciopero.

L’orizzonte che profuma di Grecia non è altro che un esperimento mai tentato prima in tempi di pace. Fino alla seconda guerra mondiale, obiettivi così drastici, venivano raggiunti dal capitalismo con una bella sequenza di stermini sui campi di battaglia. Oggi, anche in assenza di bombardamenti o di trincee, si comincia a parlare ugualmente di generazione europea perduta, alle volte anche con vani tentativi di nasconderla.

“Nella vita talvolta è necessario saper lottare, non solo senza paura, ma anche senza speranza.” Sandro Pertini

Qua sotto pubblichiamo l’articolo censurato da Ottopagine.

«Io nel blindato, assediato dai No Tav»

Il racconto di Ciro Esposito, giovane soldato dell’esercito, nativo di Grottolella: coinvolto negli scontri di venerdì sera in Val di Susa.
Ciro Esposito, giovane soldato dell’esercito, nativo di Grottolella, venerdì sera si trovava in Val di Susa, di guardia al cantiere dell’Alta Velocità preso d’assalto da un gruppo di No Tav incappucciati e armati di bombe carta e sampietrini. «Erano molto ben organizzati – ci racconta -; non è stato facile rimanere freddi. Ma gli ordini erano di non reagire alle provocazioni».
E’ dalla sua viva voce che ascoltiamo il racconto dell’incursione, dell’altra sera (ecco una veloce sintesi del fatto: erano le 20 quando un centinaio di attivisti del movimento No Tav ha preso d’assalto il cantiere della Torino-Lione a Chiomonte; un piccolo gruppo ha tagliato la recinzione ed è riuscito a penetrare nell’area presieduta dalle forze dell’ordine – oltre all’esercito ci sono anche polizia, finanza, carabinieri, cacciatori di Sardegna e forestale -; i dimostranti hanno tentato di incendiare alcuni mezzi operativi, ma sono stati messi in fuga. Da indagini delle ore successive sono scattati fermi e denunce).
Ma a noi interessa di più il nostro soldato irpino coinvolto negli scontri. Ha già avuto modo di parlare ieri mattina con i suoi familiari che si trovano a Grottolella e di tranquillizzarli. Lui fino a giugno rimarrà in servizio al Nord: «E’ dal 15 dicembre che siamo a guardia del cantiere dell’Alta Velocità. E la situazione qui non è per niente tranquilla. Il cantiere si estende per sette ettari, al confine con la Francia: è in veloce espansione e tanta gente non è contenta».
Cosa è successo venerdì? «Con i commilitoni del mio reparto abbiamo preso servizio nel primo pomeriggio e tutto è andato liscio fino alla sera. Alle 19:50 c’è stato un black out e siamo rimasti tutti al buio. Si sono spenti anche i potenti fari che illuminano il perimetro recintato del cantiere»
E’ stato un sabotaggio? «Questo non è stato ancora stabilito. Di certo è che era tutto buio. Nel giro di 20 minuti i manifestanti No Tav ci hanno circondati, lungo tutto il perimetro reticolato. Hanno iniziato a lanciare petardi e bombe di quelle che si usano a Capodanno, e le lanciavano ad altezza uomo».
Hanno colpito qualcuno dei vostri? «Per fortuna solo un poliziotto è rimasto leggermente ferito, ad una gamba, perché vicino ai piedi gli era esploso uno di quei grossi petardi». E poi cos’è successo? «Il lancio dei petardi era un diversivo. Alcuni di loro nel frattempo hanno iniziato a tagliare le reti metalliche della recinzione. Un gruppetto di loro l’ha bucata proprio in corrispondenza del blindato dove mi trovavo io».
Cosa hanno fatto poi? «Una decina di loro è entrata ed ha iniziato a devastare tutto quello che si trovava di fronte. Hanno distrutto una torretta-faro che illuminava il perimetro. E intanto ci arrivavano addosso decine e decine di sampietrini». Voi che ordini avevate? Potevate reagire all’aggressione? «No. L’ordine era di mantenere la posizione finché fosse stato possibile. Ma senza reagire. Eravamo armati, ma anche nel caso le cose si fossero messe per il peggio, dovevamo arretrare. Solo dai finanzieri è partito qualche lacrimogeno. Noi ci siamo chiusi nel blindato e abbiamo aspettato i rinforzi. Quando sono arrivati, i No Tav sono scappati».
Tu come hai vissuto quei momenti? Hai avuto paura? «Di certo non è stata una bella esperienza. Non è stato facile perché ci hanno attaccato da più punti contemporaneamente. Ed erano molto organizzati». La fase più acuta degli scontri con i No Tav c’è stata a luglio, quando tra le forze dell’ordine si registrarono 189 feriti (di cui solo 5 tra l’esercito). Grottolella può essere fiera del suo soldato.
Articolo di Gianluca Rocca