
Credo nel potere del riso e delle lacrime come antidoto all’odio e al terrore. Charlie Chaplin. “Vi preghiamo, quello che succede ogni giorno non trovatelo naturale. Trovatelo strano anche se consueto, inspiegabile pur se quotidiano, indecifrabile pure se è regola”. Marco Zavagli (direttore di http://www.estense.com di Ferrara) (Qui)
Par ad sugnar, direbbero a Ferrara anche se purtroppo non è così. C’è del marcio in questo Paese, è evidente e strabocca con facilità senza incontrare gli ostacoli dovuti. Ennio Flaiano riteneva che “nel nostro Paese la forma più comune di imprudenza è quella di ridere, ritenendole assurde, delle cose che poi avverranno” aforisma forse spaventoso ma disgraziatamente vero. Siamo capaci in questa arte ma possediamo pur sempre dei limiti. Ciò che è successo ieri a Ferrara rientra di diritto in quest’ultima categoria: l’inaccettabile.
Gli agguati di matrice fascista possono manifestarsi sotto varie forme e un sit-in di “poliziotti” che solidarizzano con i loro colleghi assassini proprio sotto le finestre dell’ufficio dove lavora la madre (Patrizia Moretti) della vittima (Federico Aldrovandi) è a tutti gli effetti un atto di questo tipo. La vicenda possiede una sua cronologia ben definita che si inscrive nella tragedia di Federico e nella battaglia intrapresa dalla sua famiglia per arrivare ad una verità, battaglia talmente limpida che non possono avere respiro alcuno i dubbi su dove stia di casa quest’ultima.
Il 29 gennaio di quest’anno questa verità, confermata da una sentenza di Cassazione, assume i contorni della detenzione per tre dei quattro assassini in divisa. Sei mesi (3 anni erano stati condonati dall’indulto) per un’omicidio volontario aggravato da futili motivi è una pena che possono aspettarsi solo dei poliziotti perché in questo Paese se ti beccano anche solo a ridere vicino ad un mezzo dei carabinieri in fiamme ti becchi sei anni, non mesi. La pretesa impunità delle divise è uno dei sintomi che confermano lo stato comatoso della nostra “democrazia” e del nostro vivere “civile”, problema che si aggiunge alla lunga lista di emergenze che rimbombano nella nostra penisola ed al cospetto delle quali e in dispetto all’evidenza non secondario a nessuno. (Non abbiamo forse appena ballato, scivolando più volte, una tarantella diplomatica con gli indiani per un paio di divise?)
A Bologna, il 26 febbraio, all’uscita dal tribunale di Sorveglianza uno degli assassini (Enzo Pontani) riceve l’applauso di una trentina di colleghi appartenenti al Sap (sindacato autonomo di polizia) mentre a Ferrara, poco dopo, il Cosip (un altro sindacato che a Genova nei giorni dell’anniversario della morte di Giuliani organizzò manifestazioni dal titolo «L’estintore come strumento di pace») comincia a girare provocatoriamente per la città con un furgoncino con il quale si portava solidarietà ai quattro poliziotti che massacrarono di botte il 18enne ferrarese.
Ancora, poco dopo, l’assassina (Monica Segatto) esce dal carcere per gli arresti domiciliari mentre è Patrizia Moretti a finire in tribunale assieme ai giornalisti della Nuova Ferrara per le critiche rivolte al Pm Maria Emanuela Guerra prima titolare dell’inchiesta sulla morte di Aldrovadi.
E’ però ieri che lo sciacallaggio ha compiuto un salto di scala. Sarà un caso ma erano passati solo due giorni dall’assoluzione di Patrizia Moretti e di quei giornalisti che avevano avuto il coraggio di raccontare gli inquietanti retroscena della tragedia di Federico. Patrizia Moretti andava violata nella sua “tranquillità”, era rea di essere stata assolta come recitavano gli striscioni esposti sotto il suo luogo di lavoro: “i poliziotti in carcere, i criminali a casa”
L’intimidazione andata in scena ieri grida all’orrore, è qualcosa di gravissimo e allarmante, che dovrebbe spingerci a riflettere e, soprattutto, a reagire. La violenza simbolica attuata sotto il Comune di Ferrara richiama direttamente i primi anni venti di questo Paese. Il messaggio eversivo che proviene da queste forze dell’ordine (gente che non manifesta solamente ma che gira armata nelle nostre città) è piuttosto chiaro e riassumibile nella richiesta di essere al di sopra della legge, di impersonarla tramite il potere e di esercitarla al tempo stesso e il ricordo, in questi casi, non può non volare alla recente gazzarra inscenata da quei black block (volutamente con la k) del Pdl con collier e abiti eleganti davanti al Tribunale di Milano poche settimane fa. Oggi come allora le reazioni sono state tiepide segno che quando le forze reazionarie si azionano contro altri poteri dello Stato i suoi custodi cedono per debolezza, vedasi Napolitano allora o per puro calcolo, Cancellieri oggi.
Se questo è ciò che avviene ai piani alti, ai piani bassi la situazione risulta se possibile ancora più allarmante e i brividi non scorrono solamente attraverso il carattere silente della città (gli unici episodi degni di nota, respiri per Ferrara, sono stati presto derubricati tra le pagine di cronaca e le solite indagini della Digos) ma nel fatto stesso che sia stato possibile cacciarne il sindaco da Piazza Savonarola. La provocazione sotto gli uffici di Patrizia Moretti risultava così spregevole da richiedere l’intervento Tiziano Tagliani, il sindaco di Ferrara (atto nobile e per nulla scontato considerando l’atavica ostilità delle classi dirigenti verso scelte di campo nette per fatti di questo tipo) che tentava di fare spostare i “sindacalisti” di qualche metro a onore di decenza. Per tutta risposta è stato cacciato, spintonato da uno dei poliziotti presenti e si è preso pure del ‘maleducato’ dall’europarlamentare di destra Potito Salatto come si evince da questo video.
«Mi mandano via nella mia città, quando ho solo chiesto di spostarsi di qualche metro. Sono anni che cerco di riappacificare il clima tra le gente e le forse dell’ordine. Dirò al prefetto e al questore di quanto successo. Per quanto mi riguarda manifestazione di questo genere in piazza Municipale e in piazza Savonarola non si faranno più. Era mio dovere intervenire per evitare che la situazione degenerasse, visto che Patrizia Moretti stava per scendere in strada».
Cacciato il sindaco è dovuta scendere Patrizia con due colleghe e la foto del figlio martoriato.
”Sapete quanto mi costi vedere e far vedere quella immagine, che mi distrugge profondamente. Pero’ quando e’ necessario bisogna farlo”, ha raccontato Patrizia. ”Non mi hanno mai rivolto lo sguardo – ha aggiunto -. Non mi guardavano nemmeno in faccia si sono girati dall’altra parte e piano piano se ne sono andati”. Il coraggio e la dignità non sono merci da supermercato e quelli, privi di entrambi, hanno abbassato lo sguardo e voltato le spalle ben consapevoli della loro apologia di reato.
Distanze oramai antropologiche.
In un Paese dove abbiamo lager per stranieri, carceri strapiene di poveracci, una lunga serie di vittime per mano poliziesca e teoremi giudiziari che arrivano a comprendere il reato di compartecipazione psichica, volendo escludere le panali europee che paghiamo per la mancanza di una legge sulla tortura, forse non possiamo permetterci anche sindacati di polizia che offendono sentenze manifestando davanti alle vittime il loro tifo per i carnefici. Franco Maccari, segretario generale del Cosip, era uno che, nei giorni immediatamente successivi al G8 di Genova, appariva in tutte le trasmissioni televisive a ribadire che tutti i diritti erano stati rispettati, che alla Diaz erano stati catturati i terroristi e i violenti, che a Bolzaneto si erano gestiti gli arresti nel massimo rispetto della dignità e che Carlo Giuliani era solo un piccolo delinquente. (Qui) Altri appartenenti invece sono gente di questo calibro.
Se l’uomo è “animale razionale”, come ci insegna Aristotele, a costoro manca evidentemente il possesso di uno dei due attributi che definiscono appunto l’uomo, si lascia al lettore “l’immaginazione” di indovinare quale. Certa gente non è degna nemmeno del nostro odio.
Si può affermare, come è stato fatto, che il Coisp sia un sindacato minoritario rappresentante delle frange più reazionarie della polizia e che in realtà ci sono tanti poliziotti che svolgono correttamente il proprio lavoro. Vogliamo credere che sia così, ma non basta. Non basta più. E cosa raccontano le questure se all’indomani di questa squallida azione i carabinieri denunciano per diffamazione la sorella di Giuseppe Uva un’altra vittima dello Stato, ucciso dalle percosse dei “tutori dell’ordine” in divisa?
Lo Stato che oggi ha stigmatizzato l’azione squadrista di Ferrara, guardandosi bene dal prendere provvedimenti, è lo stesso che tre anni fa ha offerto alla famiglia Aldrovandi poco meno di due milioni di euro per far sì che recedesse dalla determinazione a costituirsi parte civile al processo. E la Questura di Ferrara che ha le sue belle grane nel processo bis per i depistaggi alle indagini sulla morte di Federico, non dovrebbe dimostrare che non si sente lontanamente rappresentata da siffatti soggetti?
Non pretendiamo dichiarazioni ufficiali del Ministero degli Interni o del questore di Ferrara. Accettiamo solo i fatti.
A partire dai licenziamenti dei quattro agenti che hanno ucciso Federico. La commissione disciplinare si riunisca e decida che non sono più degni di indossare una divisa. Ne va dell’onorabilità stessa dello Stato, che è cosa ben diversa dal tentare di coprire le malefatte di qualche militare, come vorrebbe far credere l’ormai ex ministro Giulio Terzi a proposito dei due marò. (Qui)
Domani in quella stessa Piazza si terrà un sit-in in solidarietà a Patrizia e alla famiglia Aldrovandi. C’è da pregare che sia piena.
Fascism is coming.
Posted on 28 marzo 2013
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