
La settimana scorsa è morto un uomo. Si è ‘fatto trovare’ carbonizzato, steso su una brandina con i pochi effetti personali adagiati in un angolo di fortuna recuperato all’interno di uno stabile abbandonato di via Giardini, vicino al ponte della tangenziale, ultima evanescenza di una passata industrializzazione ormai dimenticata. Quegli scatoloni di ferro e cemento lasciati a marcire un po’ ovunque nel nostro territorio sono un segno della crescita economica e demografica del nostro territorio a partire dal secondo dopoguerra. Un modello entrato in crisi nei primi anni duemila ed eviscerato dalle sue funzioni accumulatorie con il 2008 e la crisi arrivata dal nuovo continente.
Assistiamo a processi di rimessa a valore di queste cicatrici presenti sul suolo locale, portatrici comunque di una storia collettiva ben lontana dal dover essere dimenticata, solo quando la presenza di esse viene considerata dai mercati speculativi nostrani, non più tollerabile.
Pensiamo ad esempio alle acciaierie Orsi in via Ciro Menotti, abbattute per fare posto ad un grattacielo in vetro adibito ad uffici e a un centro commerciale, mentre, oltrepassando il ponte troviamo lo stabilimento abbandonato delle Ex Fonderie modenesi, luogo di ritrovo per senza casa e tossicodipendenti. Oppure possiamo prendere ad esempio il complesso dell’Ex Manifattura Tabacchi, progetto tanto caro all’amministrazione comunale attuale, ricco di intenzioni ed investimenti, con progetti a scopo edilizio e commerciale, al momento quasi completamente inutilizzato. Ironicamente, anche in questa occasione basterà attraversare la strada per trovare il Dopo Lavoro Ferroviario, anch’esso luogo di incontro di povertà e indigenza.
Il fatto accaduto ci riporta però ad un’amara considerazione, nel 2017 a Modena è ancora possibile morire carbonizzati da un trabiccolo adibito a braciere, nel tentativo di trovare un riparo e un posto, seppur precario ove passare la notte. Per quanto assurdo, la notizia letta sui giornali ci esprime proprio questa indegna verità.
Lontano da moralismi di sorta possiamo arrivare ad affermare quanto la morte di quest’uomo sia colpa della gestione della povertà nella nostra città? Probabilmente, anzi certamente sì, ma non può bastare additare a responsabili chi in questi anni non ha fatto altro se non distruggere welfare sociale trasformandolo ed adeguandolo alle regole di mercato (pensiamo al Job Act e alla creazione del welfare aziendale tramite bonus di produttività, oppure all’indegno taglio di circa un milione di euro ai contributi per gli affitti che andrà ad aumentare le fila degli sfruttati e dei sottopagati nelle associazioni di volontariato per via dei nuovi regolamenti inseriti nel quadro normativo per l’aiuto all’inclusione sociale).
Come detto però non può e non deve bastare questa riflessione, le responsabilità vanno cercate più in profondità, nel meccanismo stesso che tiene in piedi questi processi speculativi, dovremmo iniziare a domandarci se la legalità della speculazione immobiliare sia più importante per il nostro territorio e per le nostre vite rispetto alla legalità dell’auto-recupero e della gestione collettiva e pubblica di questi spazi volontariamente lasciati al disuso e al degrado.
Un tentativo (tra i tanti verificatisi a Modena) venne portato avanti nel 2010 quando il collettivo Guernica, di cui faccio parte, riqualificò l’ex concessionaria Stanguellini (lo stabile in cui è avvenuta la morte dell’uomo) riconsegnandola alla collettività. Un progetto concreto e reale in risposta all’assenza di dialettica tra le istituzioni e i bisogni reali dei cittadini. In uno stabile in cui le violazioni a banali norme ambientali erano all’ordine del giorno, pensiamo solo ai fusti di carburante e alle automobili abbandonate (su cui poi partì un inchiesta parallela). Solo qualche mese dopo la proprietà si presentò, ordinanza di sgombero alla mano con le solite forze dell’ordine accorse in difesa dell’iniziativa speculativa privata contro un progetto autodeterminato e autorganizzato.
Sul termine “degrado” vale forse la pena di soffermarsi un attimo ancora: la retorica del degrado come elemento , linea di demarcazione, tra un io perso nella monotonia standardizzata di un modello di consumo però costretto alla precarietà contro cui faticosamente mi barcameno, e un mondo ignoto e volutamente ignorato dall’io consumatore, quello che vive ‘tra e nelle’ situazioni, momenti ed effetti reali dell’esclusione sociale e della povertà. Questo confine diventa il perno centrale di quella retorica escludente e privatizzante portata avanti dal capitale e dalla sua governance, dunque, dal un Partito Democratico che con il recente pacchetto Minniti ne riassume perfettamente le funzioni riportando le lancette dell’orologio ai primi dell’800, alle Poor Law dell’Inghilterra vittoriana.
Certamente la morte di un extra comunitario immigrato non farà tanto scalpore in questa città le cui coscienze rimangono intrappolate tra la precarietà e la mancanza di punti di riferimento, quanto la costruzione di un nuovo centro commerciale.
Quanto tempo dobbiamo aspettare prima che si rimetta al centro dell’operato politico l’essere umano prima del danaro e degli standard di cui ci auto-alimentiamo ogni giorno? Certamente questa trasposizione deve iniziare da noi e dal nostro agire quotidiano, salvo voler aspettare l’ennesimo morto di povertà.
A.P.
Le foto invece sono prese da (qua).
Posted on 27 marzo 2017
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