Cuore di tenebra.

Posted on 1 gennaio 2018

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“Conosci il paese dove fioriscono i cannoni?”
Erich Kästner

 

Una civiltà che si dimostri incapace di risolvere i problemi che produce il suo stesso funzionamento è una civiltà in decadenza.
Una civiltà che sceglie di chiudere gli occhi di fronte ai suoi problemi più impellenti è una civiltà ferita.
Una civiltà che gioca con i propri principi è una civiltà moribonda.
Fatto sta che la civiltà così detta «europea», la civiltà occidentale, così come si è costituita in due secoli di regime borghese è incapace di risolvere i due maggiori problemi generati dalla sua stessa esistenza: il problema del proletariato e il problema coloniale; che deferita alla sbarra della «ragione» come a quella della «coscienza», quella stessa Europa è incapace di giustificarsi; che, quanto più, si rifugia in una ipocrisia sempre più odiosa, tanto più diminuiscono le sue possibilità di ingannare.
L’Europa è indifendibile.

 

L’Europa è indifendibile scriveva Aimé Césaire nel suo Discorso sul colonialismo. Sono le tesi del pensatore martinicano quelle che rimbombano prepotentemente in questo inizio  d’anno e in questa vergognosa fine di legislatura. Non manca veramente nulla. Sembra quasi che in questi giorni, a cavallo della neo-maturità del millennio, si sia concentrata tutta la merda programmatica che ci vedremmo piombare addosso nel prossimo futuro.

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Non si sa nemmeno da dove cominciare. Se dallo scontato affossamento dello Ius Soli, dalle bombe Made in Italy fornite al regime saudita o dal divieto di mostrare la faccia di Federico Aldrovandi all’interno degli stadi – gesto definito una “provocazione rivolta alle forze dell’ordine” [sic!] da un giudice sportivoe punita da quelle stesse mani che strapparono la vita al diciottenne. Se dal varo del terribile decreto sulle intercettazioni approvato dal Consiglio dei Ministri a camere sciolte o dalle inquietanti promozioni, per significati e tempistiche, dei responsabili  della più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale. Così, se in Italia torturare, mentire, produrre prove false e lanciare sassi ai manifestanti sembra assicurare una carriera certa nel ventre marcio dello Stato, antimafia e intercettazioni diventano inutili orpelli al libero fluire del business.

Se uno dei più importanti funzionari della polizia italiana è stato condannato per il più infame dei reati dei servitori dello Stato, ovvero la falsa prova, la falsa accusa, che per di più serviva a coprire le imprese di una banda di torturatori, ebbene se un soggetto del genere dopo essere stato condannato in via definitiva a una pena pesantissima, può diventare il numero due dell’esercito dell’antimafia italiana chi potrà mai garantire sulla qualità della raccolta delle prove, sul rispetto dei diritti da parte dell’intelligence italiana nella lotta al crimine organizzato? (Da qua)

IMG_20171223_154750Da dove cominciare quando gli Scalfari di turno fanno definitivamente pace con la propria appartenenza al fascismo in gioventù nella consacrazione dei gerarchi odierni, quando le lingue peggiori hanno sempre a disposizione i giornali e le televisioni del paese e le voci critiche sono silenziate o ridotte ai minimi termini.

IMG_20171230_075314Da dove cominciare quando gli “impegni solenni” di Minniti o la memoria condivisa” di Gabrielli proprio a riguardo del G8 di Genova – «Che la Polizia italiana è sana. Che lo è oggi come lo era in quel luglio del 2001» – si rivelano per quello che sono, annunciate finzioni volte alla sostituzione della realtà.  Un po’ come la campagna elettorale che ci sta di fronte, che si presenta come un surrogato di partecipazione democratica in un tempo in cui quest’ultima si appresta ad eclissarsi un po’ ovunque nel nostro continente.

Ma facciamo un breve passo indietro. Lo scorso anno, di questi tempi, a ridosso di Natale, un attentato terroristico scosse la locomotiva d’Europa, la Germania. Allora si scriveva:

Non è certo da oggi che la paura si fa funzionale al governare. Essa è il collante più efficace, quello più economico per una società sfilacciata e con enormi disparità. Strano come l’età più osservata, più fotografata, più spiata, più “social” e monitorata della storia sia anche la più insicura. Accanto a noi, i nostri vicini francesi non fanno che prolungare l’État d’urgence che più che a combattere l’Isis sembra destinato a facilitare la deglutizione dei bocconi amari imposti dal neoliberismo, loi travail in primis. Se vi è un alleato privilegiato della governamentalità di questo tempo questo è senza dubbio il terrorismo fascista che colpisce nel mucchio.

Oggi, dietro a quell’attentato al mercatino di Natale, sembra muoversi la lunga mano dei servizi e il tutto assume una luce quantomeno differente se non proprio oscura.

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Ci si bagna sempre nella stessa acqua, è vero, com’è senz’altro vero che non ci ritroviamo immersi immediatamente nel ’22, tuttavia ignorare i segnali sempre più espliciti che ci vengono posti lungo il cammino non è esattamente la pratica più saggia.

FB_IMG_1514735529113Il fascismo non è stato solamente violenza politica, soppressione delle libertà, olio di ricino e manganello, così come non è sorto dall’oggi al domani. Il fascismo comincia ad apparire quando Monsieur le Capital si trova in difficoltà, quando occorre dirottare il malcontento e la sua organizzazione verso quei falsi bersagli che solitamente si posizionano alla base dalla piramide sociale.  E gli anni di difficoltà per Monsieur le Capital si accumulano, uno dopo l’altro, e cominciano a diventare tanti. Si cuoce lentamente come nella storiella della rana bollita. Prendiamo da qua: Quello che lasciano questi cinque anni è però un paese reale dominato dall’individualismo e dall’atomizzazione, dove la pervasività della ragione neoliberale si è diffusa ancora più in profondità all’interno delle giovani generazioni. Il rapporto Istat sullo stato del paese parla di una società sempre più invecchiata, dove il distacco dalla politica in tutte le sue forme è sempre più forte e dove solo il 4,3% delle persone in età di formazione secondaria ha partecipato ad una mobilitazione. Una generazione che ha talmente interiorizzato la precarietà e una certa visione del mondo del lavoro che sembra avere sempre meno gli strumenti per poter anche concepire un suo ribaltamento. Questo anche in seguito ad una azione poliziesca che ha cercato di trasformare ogni questione sociale in questione di ordine pubblico, impedendo ogni possibilità di vertenza sociale di poter vincere ed affermare un precedente. Obiettivo cardine dei governi di questa legislatura è stato anche sconfiggere in ogni modo l’ipotesi che la lotta potesse pagare. IMG_20171230_100417

Cos’è il fascismo se non l’elargizione di piccoli emolumenti, al di fuori di ogni logica del diritti, come ricompensa per la rinuncia alla lotta politica tutta tesa a una concordia fra capitale e lavoro dove il primo la fa sempre da padrone? Credere che il fascismo si esaurisca nella  violenza politica di quei gruppi che ultimamente stanno dominando la sfera mediatica, e in questi anni le spedizioni punitive contro l’avversario o il diverso non sono di certo mancate, può risultare alquanto riduttivo.

Anche le progressive compressioni degli spazi di democrazia per far spazio a riforme del mercato che altrimenti faticherebbero ad essere attuate ne fanno pianamente parte. Così come l’infiammabile miscela di austerity e ortodossia ordoliberale che caratterizza e infrastruttura l’Unione europea è il brodo di coltura ideale per certi fenomeni. Possiamo girarci intorno finché vogliamo ma l’edificio europeo, oggi, se non risulta essere direttamente ostile alla democrazia, è sicuramente una costruzione indifferente alle sue sorti.

Da dove cominciare dunque, in questo inizio d’anno?

È proprio Aimé Césaire a ricordarci come esista una strettissima relazione fra le pratiche coloniali e il sorgere dei fascismi e di come quest’ultimo affondi le proprie radici nel cuore stesso dell’Europa proprio in via di questo rapporto. Prendiamo da qua: si mostra così che fu il colonialismo (e il razzismo) a innestarsi nel fascismo, e non viceversa, che esso fu uno dei suoi elementi costitutivi (il Partito Nazionalista, grande sostenitore dell’impresa coloniale, confluì nel Pnf nel 1923). La retorica imperiale fascista ha finito per far coincidere, nell’immaginario collettivo, l’epoca delle colonie con la dittatura, e questo è un primo motivo di rimozione: se attribuiamo al fascismo la ferocia coloniale e i deliri sulla razza, allora ne facciamo il capro espiatorio di quelle brutture. E una volta immolato il capro, possiamo credere di aver mondato anche la storia patria e il nostro Dna da quella sporcizia. Detto questo, io credo che colonialismo e fascismo – pur distinti – vadano messi in stretta relazione, e che non si possa capire appieno il secondo se non si studia il primo in profondità.

Non a caso il passato coloniale dell’Italia con tutte le sue violenze e con le campagne militari fasciste sono uno dei grandi rimossi di un paese che si autoconsola ancora nello stereotipo degli italiani, brava gente. Anche recentemente riletture del nostro passato coloniale sono apparse sul sito dei carabinieri (ci trovate anche un parente dell’attuale Ministro degli Interni!): Per esempio, il colonialismo viene presentato non come politica di conquista guidata da un’ideologia razzista e imperialista, bensì come una sorta di sbocco per l’emigrazione italiana nei territori africani. Quella libica fu un “conquista difensiva” per proteggere gli italiani che vivevano nel paese. La partecipazione dei carabinieri all’amministrazione dei campi di concentramento libici è addirittura raccontata come un’operazione umanitaria. […]  Continuando a rappresentare le violenze coloniali dell’Italia come atti di patriottismo e di protezione della nazione, non capiremo mai bene quello che ci sta succedendo.

È passato o stretta attualità?

Non c’è tempo per lo Ius Soli ma per annunciare, la vigilia di Natale, l’intervento militare in Niger, quello, quelli della specie dei Gentiloni, dei Minniti e delle Pinotti lo trovano sempre. L’aiutiamoli a casa loro, d’altra parte, è il tipico esempio di “memoria condivisa” cristallizzata nel presente, una di quelle frasi in saldo che potete trovare sia sulla bocca di Salvini che in quella di Renzi, pronunciabile tanto dal civile democratico quanto dal nostalgico del duce.

 

uenigerL’annuncio dell’intervento italiano in Niger, fatto da Gentiloni su una portaerei, ha colto di sorpresa solo gli osservatori più distratti. La scorsa estate, nel periodo del giro di vite Minniti sugli sbarchi dalla Libia, il governo del Niger era già stato accolto a palazzo Chigi. Motivo ufficiale: una serie di discussioni, e di richieste di finanziamento da parte del paese africano, legate alla questione del contenimento dei flussi migratori. Minniti infatti, all’epoca (e non solo), sosteneva che le frontiere della Ue coincidessero con la Libia e che, proprio per quello, rafforzare la vigilanza in Niger avrebbe significato un alleggerimento dei problemi alla frontiera libica. Naturalmente l’ovvietà di un Niger devastato dalle crisi idriche (si veda) e quindi produttore di immigrazione di massa in fuga verso l’Europa, è ufficialmente negata. Perchè per evitare tragedie nel Sahel, legate alla fuga dai territori, basterebbe intervenire sulle crisi idriche, favorendo le naturali economie locali, e non immaginare di creare fortezze da fantascienza. Se però andiamo a vedere la vastità della crisi idrica che tocca il Niger vediamo che non comprende il solo paese in questione. IMG_20171231_103019 Ma anche tutta la zona dello Sahel, la grande fascia subsahariana che va da ovest (Mauritania) a est (Eritrea), ne è coinvolta. E spesso le zone toccate dalla crisi idrica coincidono con quelle di quella che viene genericamente chiamata guerriglia islamica. E’ il caso, appunto del Niger e del Mali, oggetto di intervento francese a inizio 2013.  Entrambi i paesi sono sotto, diciamo, protezione francese. Il che significa che Parigi interviene, quando la crisi economica e politica precipita, per “stabilizzare” economia e situazione politica del paese e far valere gli interessi francesi. La novità è che, stavolta, anche l’Italia interviene su quel terreno, storicamente francese di intervento nell’Africa subsahariana. Vuoi perché la Francia ha bisogno di alleati sul campo, per una operazione militare complessa, vuoi perchè, dopo una serie di frizioni economiche tra i due paesi l’estate scorsa, gli interessi in Europa e in Libia potrebbero, se l’Italia sa sfruttare l’occasione, farsi convergenti. Da qua, link nostri.

Insomma, anche nell’anno in cui il nuovo millennio compie la maturità sono sempre gli spettri del ‘900 a farla da padrone. Dopotutto, come ci ricorda Brecht: «L’uomo impara dalle catastrofi tanto quanto apprende di biologia in un laboratorio una cavia.»