
Alla fine è arrivato ed è pure passato il famigerato 4 marzo. Un voto tanto atteso, che quasi non ce ne siamo accorti. Un voto per cambiare tutto professato con quell’inconfessabile speranza che prega affinché tutto rimanga esattamente com’è. È il gioco della “democrazia” odierna che spolpata della sostanza trova esclusivo riparo nell’urna.
Qua in città, l’unica differenza che si è notata la fa l’assenza dei banchetti dei fascisti di Casapound e Forza Nuova che caratterizzavano il centro cittadino elettorale, con mezza questura di Modena al loro servizio e digossini che vi si intrattenevano in atteggiamenti amicali. Nient’altro.
Tutto il resto scorre esattamente come prima. I neofascisti d’origine controllata non sono entrati in Parlamento ma resteranno comunque nelle strade a fare da manovalanza nella guerra tra poveri che avanza (come sottolineano anche qua da noi ↓ ) e un’Anpi che può ritenersi soddisfatta (parola della sua presidente) nonostante un certo immaginario sia condiviso da una buona fetta di eletti e chissenefrega della sostanza se si è in grado di salvaguardare l’apparenza.
In un paese che sembra diventato un immenso laboratorio per esperimenti pavloviani, alle volte, sono i simboli a descrivere esattamente il quadro molto più di mille analisi. In questo senso, l’immediato post elezioni si è dipinto esattamente di quella stessa tinta funerea che aveva caratterizzato la campagna elettorale. Dalla tentata strage a sfondo razziale di Macerata all’omicidio di Idy Diene a Firenze si è seguito un copione niente affatto dissimile. Stessi bersagli. Stesse vittime. Riflesso condizionato. Monito del futuro immediato che ci attende e certificazione della vittoria degli spacciatori dell’odio, delle semantiche televisive e di un discorso pubblico che è riuscito ad innalzare, ancora una volta, oltre il livello di guardia, le dosi di crudeltà sostenibile. Nel 2013, all’indomani del governo Monti, un altro fatto di sangue sconvolse il clima attorno alle elezioni. Stessa “esasperazione”, stesso gesto “folle” e “disperato”, bersagli differenti. “Volevo sparare ai politici, ho capito che non potevo raggiungerli e ho fatto fuoco sui carabinieri.” dichiarò allora l’attentatore Luigi Preiti. Era il segno dei tempi, di un’Italia che affondava dopo aver assaggiato le ricette dei tecnici ordinati da Bruxelles; così come quella di oggi che si dimena per non affogare soffocando chi sta più in basso nella scala sociale. Un Titanic con sessanta milioni di passeggeri. Le rivoluzioni conservatrici vincono sempre quando interpretano verità progressiste e ora sono i politici con l’aiuto dei media a indicare direttamente gli obiettivi perfetti, quelli “meritevoli” delle campagne d’odio verso i quali indirizzare tanto i discorsi incazzati al bar quanto gli spari veri e propri. Spari quasi invisibili ormai perché fa più rumore una parola detta dentro ad un centro sociale o ad una manifestazione che le pistolettate vere e proprie.
Saranno le vittime a indossare gli abiti dei carnefici e i carnefici a indossare quelli delle vittime in quest’Italia, in quest’Europa, dei tardi anni ’10, non viceversa. “Dobbiamo stare attenti a non fare razzismo al contrario, già abbiamo avuto le fioriere divelte in centro.” è riuscito a dichiarare Dario Nardella (Pd) sindaco di Firenze subito dopo l’assassinio compiuto nella sua città. È una questione di valore. Una vita umana e una fioriera sullo stesso piano della bilancia. E una tendenza marcatamente in favore di quest’ultima come a disvelare in un solo istante i veri “valori” nascosti dietro alla tendina ideologica che ammorba le nostre città, quella del “decoro urbano”, percolato di razzismo, disumanità e disprezzo verso i poveri. Un vecchio prodotto ammuffito composto da una trascurata malattia penetrata nel profondo e mai affrontata seriamente, il colonialismo, prima celato poi rimosso nella confortante favoletta degli italiani brava gente.
Il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto
L’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto
E un dio che è morto
Di cosa parlavamo, di elezioni? Ah già. Ha vinto Salvini! Disperazione! Come se i corpi sui quali ha conquistato i voti non fossero già stati presi in carico dal Ministro degli Interni uscente(?). Perchè ciò che Salvini promette, Marco Minniti lo realizza. Il M5s, primo partito oggi in Italia, è il sincretismo perfetto, quello sul quale ognuno può proiettare ciò che vuole. Ciò che più gli garba. Contiene tutto e il contrario di tutto ed in fondo è storia già vista: tutti i messaggi originali contengono un germe di saggezza e quando sembrano dire cose diverse o incompatibili è solo perché tutti alludono, allegoricamente, a qualche verità primitiva. Checché se ne dica una vera e propria pasokizzazione del Pd non vi è stata. Chi in questi anni si è ritagliato il ruolo di principale architrave delle governance neoliberista europea ha sostanzialmente retto l’urto. Un partito d’élite (come certificato anche da questo studio) che, assieme al suo complice principale, il “partito” del quotidiano la Repubblica possiede ancora una dimensione tutt’altro che irrilevante.
Dai diamanti non nasce niente, ma dal Pd potrebbe nascere di tutto. Dal sostegno pienamente osservante a Monti a un governo con l’ex avversario Berlusconi per finire al macellaio Minniti il repertorio dello sterco è un crescendo esponenziale. E se un 18% di tale tenore vi sembra poco, provate a immaginare il Pd come un organismo in avanzato stato di decomposizione la cui ultima utilità potrebbe proprio essere quella di scomparire definitivamente e il più velocemente possibile.
Infine, la parte politica a cui dovremmo guardare con più simpatia, quella assente dal Parlamento non già da un paio di settimane a questa parte ma dal 2008 (ricordiamo ancora il titolo de il Manifesto) e sono passati dieci anni da allora. Ecco di questa non ricordiamo nemmeno più se ne sentiamo così tanto la mancanza dentro quel recinto chiamato emiciclo. Forse stanno altrove i vuoti da riempire con più urgenza ma questa non è di certo una grande consolazione.
Nel frattempo ci si domanda se l’attesa spasmodica per un governo non sia già essa stessa una tecnologia di governo, con la sagoma della campagna elettorale che si allontana pian piano dalla scia e una manovra finanziaria già avvistata all’orizzonte.
Pilota automatico e ulteriore compressione autoritaria. Queste le uniche certezze che ci attendono oltre a un dominio che si realizza sempre più con tecniche di stampo coloniale che tendono a stratificare, gerarchizzare e a suddividere il corpo sociale in mille rivoli separati, di volta in volta, secondo linee di inclusione ed esclusione. Anche la parola stessa rientra ormai in questa logica differenziale con la sua facoltà estromessa o accolta a seconda del locutore.

Se dice la verità anche un Pm può finire nel tritacarne.
Un Voltaire stiracchiato, inventato e a targhe alterne che convive nello stesso spazio di un’Inquisizione vera e propria. Ma c’è di peggio, perché questa frammentazione, questa atomizzazione penetra anche ad un livello più profondo, psicologico, che assimila l’imposizione dell’autorità fino ad un piano soggettivo impedendo così, di fatto, la possibilità di riconoscersi e riconnettersi fra dominati. Si fabbricano ormai settimanalmente i Nemici Pubblici sui quali concentrare la propria artiglieria cognitiva inarcando le sopracciglia per fatti che fino qualche anno fa sarebbero passati tranquillamente inosservati.
Abitiamo in una società profondamente anestetizzata nella quale si può morire facilmente di smog o di lavoro. Una società rattrappita e sonnacchiosa dove all’invecchiamento demografico sembra corrispondere anche un’inerzia cerebrale più complessiva che va sommata a un mondo del lavoro rispettivamente trasformato, rimpicciolito e impoverito e ad un welfare in dismissione. Spaesamento e alienazione diffusa che fanno da contraltare alle retoriche sempre più frequenti sulla nazionalità, ancoraggio per un’identità in cerca di un bene rifugio per i propri ultimi risparmi. Un po’ come se tutto l’astio verso lo straniero che abbiamo visto crescere sui marciapiedi delle nostre città in questi ultimi mesi si confondesse con l’odio di sé come stranieri. Ipnotizzati, rapiti dai quei fondi comuni d’investimento che puntano forte sulla paura e che finiscono per attivare le sinapsi del corpo sociale esclusivamente al richiamo della parolina magica di questi tempi: sicurezza.
E come potrebbe essere altrimenti? Sia mai che i cittadini comincino a lamentarsi della mancanza di investimenti pubblici per la manutenzione delle strade o per la messa in sicurezza del territorio (ops sicurezza!) che bastano due gocce di pioggia che quaggiù si rischiano frane e alluvioni. Magari potrebbero cominciare a osservare i quartieri da un’altra angolatura e a domandarsi come si potrebbe rivitalizzarli socialmente e culturalmente senza domandare solo ed esclusivamente più telecamere e polizia. Potrebbero lamentare pure l’assenza o la scarsità dei servizi a cominciare dalla sanità, o a concepire il “degrado” anche come un degradarsi del rapporto tra cittadini e istituzioni, del tessuto relazionale di una comunità o dell’andamento del piccolo risparmio.
Metti caso che scoprano l’inganno e comincino a rovistare a testa alta verso il vertice dove il tanfo è maggiore. Meglio di no.
Reichsministerium für Volksaufklärung und Propaganda.
Crollano i reati – aumenta la paura.
“Le persone in questo paese hanno certamente paura di perdere il lavoro, perché precario. Di essere sfrattati o di subire l’aumento dell’affitto. O di non riuscire a pagare il mutuo se hanno acquistato una casa. Di ammalarsi e non avere la copertura necessaria della sanità pubblica, di vedere i figli disoccupati anche in età avanzata, ecc. Queste insicurezze generano paure, dovute a politiche antipopolari dei governi, alla assottigliamento del welfare, all’azione indegna di grandi potentati come banche, palazzinari, ecc. Queste preoccupazioni che dovrebbero stimolare le persone, appartenenti alle classi disagiate, di attivarsi e autorganizzarsi per lottare, invece vengono deviate dai politici e dai media in paure confuse. Al contrario i dati ci dicono che con l’aumento delle persone immigrate, i reati sono diminuiti (negli ultimi 4 anni dal 2014 al 2017 gli omicidi sono scesi del 25,3%, i furti del 20,4% e le rapine del 23,4%). Quindi negli ultimi anni l’Italia è diventata via via più sicura, grazie all’aumento del numero di persone immigrate. È la dimostrazione più chiara che la falsità di media e politici non riguarda una o più notizie, ma la percezione della realtà complessiva.”
Intanto anche quaggiù in città qualcosina si è già intravisto. Di tutte le istanze che in questi mesi sono state portate all’attenzione dell’amministrazione pubblica dai cittadini a una soltanto si è deciso di rispondere. Ed è ovviamente quella riguardante la sicurezza. A quella indotta però a cui si risponde con logiche di stampo militare che afferiscono molto di più alla sfera del controllo che a quella della sicurezza.
Ricordate le immagini oscene del blitz poliziesco alla Stazione di Milano dello scorso maggio? Ecco, un qualcosa di simile, da allora, si va ripetendo in piccolo anche nella nostra città. Scene più “sobrie”, dove jeep blindate della polizia nuove di zecca fanno bella mostra di sé al parco Novi Sad. Controlli anti spaccio e anti-clandestinità [sigh!] che si ripetono settimanalmente e di concerto con l’informazione cittadina. Dunque, la scorsa settimana, abbiamo avuto un nuovo “acquisto” in questa rappresentazione plastica del bene “contro” il “male”, del decoro urbano, della città “ripulita” dal nemico, dal marginale, dall’accattone [sigh!]. Abbiamo avuto l’elicottero che (pare sia successo anche a Torino) si è messo a sorvolare il centro della città per un’intera mattinata come supporto aereo ai “normali” controlli antispaccio e anti-clandestinità.
Una visibilità e una spettacolarizzazione degli interventi di polizia che sembrano rispondere ad una logica ben precisa. Da un lato una presenza pressoché costante (provate a girare per Modena e contate i secondi che vi separano tra una vista di una volante e l’altra) e dall’altro una visibilità che solo all’apparenza risponderebbe al bisogno di sicurezza richiesto dal cittadino. In realtà la visione costante delle divise non genera come potrebbe sembrare calma o serenità bensì uno stato di ansietà e di sospetto che ben si sposa con la fabbricazione costante di un nemico che ammorba e inquina la sfera pubblica.
Con un italiano su quattro a rischio povertà (lo afferma Bankitalia) invece di agire sulle cause si vanno direttamente a colpire gli effetti, criminalizzandoli o inserendoli all’interno di categorie “morali” per le quali se sei povero è anche preferibile che tu non sia “visibile”. Inerte, silente e rinchiuso in una condizione di costante vergogna sociale.
Per questo e per tutto il restante abbiamo comunque “l’effetto Minniti” polizia nei parchi, nelle piazze, polizia sulle parole, polizia in cattedra e tra i banchi. Una polizia che diventa si fa Stato in pratica.
È un periodo tetro questo in cui, crediamo, contino soprattutto i corpi. L’esserci, per difendersi, per contare, per contarsi, per esistere; anche perché, dall’altra parte, anche in assenza di movimenti o mobilitazioni significative, la costruzione di un Nemico Pubblico che, di volta in volta, dovrà essere gettato in pasto all’opinione pubblica continuerà inesorabile.
Ne va della loro stessa esistenza, per questo hanno bisogno di sempre più nemici da offrire al grande pubblico, metti caso che qualcuno cominci a ricordarsi e a riconoscere loro stessi come il nemico…
Posted on 22 marzo 2018
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