
«Ma che scheggia impazzita. Abbiamo devastato i Cobas a livello nazionale, Lorenzo. Abbiamo fatto una cosa pazzesca.» E ancora: «Abbiamo fatto un bingo che non ne hai idea. Per noi è una cosa pazzesca, Lorenzo. Perché adesso i Cobas… Come arrestare Luciano Lama ai tempi della Cgil d’oro.»
Questa trascrizione, di una chiamata intercettata e commentata durante il processo per l’affaire Aldo Milani, si poteva leggere in un articolo della Gazzetta di Modena datato 1 novembre, a firma Carlo Gregori.
La conversazione, contenuta in una telefonata del 26 gennaio 2017 intercettata poco dopo l’arresto di Aldo Milani, risulta piuttosto esplicita. A parlare sono un dirigente della Digos di Modena e l’imprenditore coinvolto nella vicenda dell’arresto di Aldo Milani. Quel noi utilizzato in “Per noi è una cosa pazzesca, Lorenzo.” e il “Come arrestare Luciano Lama ai tempi della Cgil d’oro.” non dovrebbero lasciare molti spazi ai dubbi, così come una polizia che chiama l’azienda per rassicurarla di aver “devastato” il sindacato che organizzava gli scioperi dice già praticamente tutto.
Ma andiamo con ordine, prima di proseguire però, facciamo una piccola panoramica su cosa sia il distretto della lavorazione della carni modenese, il più importante d’Europa e ci aiuteremo in questa breve ricognizione di una parabola con tanto di protagonisti. Un racconto dal titolo Pastorale emiliana.
Quando parliamo di questo territorio – l’angolo di provincia compreso tra Castelnuovo, Castelvetro, Spilamberto, Vignola – stiamo parlando di un pezzo importante del Pil italiano, circa tre miliardi di euro, realizzati da 179 aziende, 5000 addetti, con 8 milioni di quintali all’anno di carni fresche lavorate e salumi: una macchina produttiva potente che importa dagli allevamenti del nord Europa 200 camion di suini macellati ogni giorno – la materia prima che, lavorata in loco, rifornirà tutti i grandi marchi nazionali ed esteri. Il monoteismo del prosciutto regna sovrano, in questi luoghi; tra i miasmi degli stabilimenti aleggia un vago sentore calvinista – impresa e denaro come manifestazioni della benevolenza divina. Un maialino bronzeo troneggia nella piazza centrale di Castelnuovo Rangone – omaggio a se stessa, di una comunità sobria, laboriosa e danarosa, che vede il suino come metafora della vita. […]
È una storia di pervicace illegalità, quella del distretto carni. Un morto ammazzato nel 2001 (fanno capolino anche i soliti servizi segreti), pestaggi, minacce, auto bruciate, criminali di ogni risma che attraversano la vita, e spesso i cancelli, di aziende prestigiose. Una pastorale emiliana (e segnatamente modenese) dove molti attori diversi continuano immutabilmente a cantare la loro parte – incassando milioni o sputando sangue -, comunque seguendo una partitura criminale efficace, per quanto tremendamente precaria. Il giorno che qualcuno si decidesse ad applicare (almeno un po’) le leggi della Repubblica, il mito dell’eccellenza agroalimentare italiana crollerebbe miseramente – e questo vale per tutta la cigolante catena nazionale, dai raccoglitori di pomodori del foggiano a questi strani facchini ghanesi, cinesi, filippini e albanesi, le cui mani callose (senza retorica) custodiscono il buon nome e la credibilità del marchio made in Italy che finisce sulle tavole di mezzo mondo. E allora, vediamoli, i protagonisti di questa moderna pastorale di provincia.
A parlare nella telefonata intercettata è il vicecommissario di polizia Marco Barbieri, noto dirigente della Digos di Modena (nella foto a sinistra, accanto all’ex ministro Minniti ed al sindaco Muzzarelli).
I QUESTORI
Hanno messo le forze di polizia al servizio delle aziende, a presidio della santa continuità produttiva, come se la Questura fosse l’Agenzia Pinkerton (che almeno non era pagata dai contribuenti). Se avessero “attenzionato” seriamente il comparto carni, oggi nelle carceri di Sant’Anna dovrebbe esistere un “padiglione cooperatori”. Particolarmente deplorevole il metro e la misura delle scelte di ordine pubblico: perché da queste parti, di solito, non si usano i manganelli contro I presidi sindacali; ma se a farli sono questi lavoratori un po’ scurotti (e si presume, meno tutelati), la celere si sente autorizzata a rompere ogni tabù – e anche qualche testa. Come se a questi proletari non si riconoscesse neanche il diritto minimo di sentirsi pienamente classe operaia.
Dall’altro capo del telefono Lorenzo Levoni, amministratore delegato di Alcar Uno, azienda leader in Europa per la lavorazione carni e al centro della vicenda giudiziaria riguardante l’arresto del sindacalista Aldo Milani. Parliamo di Lorenzo Levoni figlio di Sante – Santino Levoni noto imprenditore di Castelnuovo Rangone e recentemente indagato dalla Procura di Bologna per la corruzione di un giudice tributario quando era ancora a capo della Globalcarni, altra azienda del distretto carni modenese. (Foto in basso)
I PADRONI
Qualcuno è di nobile schiatta imprenditoriale, qualcuno è diventato un global player, qualcuno è un artigiano arricchito, qualcuno ha la mentalità truce del macellaio che sorveglia il negozio: tutti devono correre al ritmo spietato della concorrenza, che significa spremere lavoro e abbassare costi, pretese e qualità. Negli anni 90 hanno venduto tutti l’anima al diavolo, anche se oggi si ostinano a firmare protocolli etici. Aumentare i margini intensificando lo sfruttamento, è l’unica arma rimastagli. Sanno fidelizzare la gente, pagando in nero gli accoliti per scagliarli contro i lavoratori in appalto. Pagano anche giornalisti, pubblici funzionari, eserciti di consulenti, finanziano iniziative pubbliche, civiche, sportive, foraggiano sindaci costantemente distratti, rispetto alle brutture sociali che amministrano. Non sono mai stati soli, nella continua opera di evasione, elusione, violazione di norme e contratti. Queste pratiche non sono invenzione estemporanea di qualche imprenditore spregiudicato: mamma Confindustria veglia su tutti loro e non si è mai dissociata da nessuno dei suoi prosciuttai.
L’articolo in questione prosegue dunque ricordando l’estraneità della Digos all’arresto del leader del SiCobas che fu opera della Squadra Mobile ma ricorda in ogni caso “una telefonata con frasi che possono suonare imbarazzanti e che lo stesso Barbieri dice di non ricordare in quei termini, anche se il numero di telefono è il suo. Soprattutto denotano una certa confidenza con una parte in causa, Lorenzo Levoni. Come mai? A domanda spiega Barbieri: «Nei mesi precedenti quando ogni giorno io e un carabiniere ci trovavamo davanti ai due cancelli della Alcar Uno per seguire la situazione drammatica notavo nei Levoni una prostrazione psicofisica. E noi davamo conforto.» Una telefonata, si leggeva sempre nell’articolo, che secondo il giudice Federico Maria Meriggi dovrà restare sullo sfondo di un processo che si occupa di altro.
Non è il primo colpo di scena che esce dalle aule di tribunale in cui si svolge il processo ad Aldo Milani. Anche l’udienza precedente aveva segnalato qualche anomalia, qualche indizio, sempre relegato in paginette di cronaca locale e ben distanti dalla visibilità delle prime pagine o dai titoloni della Gazzetta di Modena.
L’audio del video che “incastrava” Aldo Milani infatti, quello che venne dato in pasto a tutte le testate subito dopo il suo arresto (vedi sotto), risulta ” “grattato” da un rumore che copre la voce di Milani. La videoregistrazione – come confermato da Luca Levoni, allora titolare di Alcar Uno, e dall’ufficiale di polizia chiamato in aula – era preparata ma non concordata.” Altra anomalia di una vicenda che, fin dalle prime battute, aveva assunto i contorni di una spy story dai risvolti molto torbidi. Una puzza di marcio che si poteva sentire lontano kilometri, anche sotto il cielo metallizzato e l’aria tossica di quei primi mesi del 2017, bastava sintonizzarsi sulle basse frequenze o perlomeno aver avuto voglia di farlo. Si sarebbero così potute sentire parole chiare, pronunciate direttamente da quei lavoratori del distretto carni modenese che oggi, anche le cronache locali descrivono come vittime di un sistema di caporalato. “Padroni, mafia. Polizia, mafia.” erano le parole scandite da quei lavoratori, il 4 febbraio del 2017, quando la Questura di Modena tentò di impedire lo svolgimento di una manifestazione sindacale. “Padroni, mafia. Polizia, mafia.”
Ma allora, per il direttore della Gazzetta di Modena, era già tutto chiaro e “per certa gente, per certa Italia” era difficile essere o definirsi garantisti.
Passano due anni e il grigio-nebbia attorno al distretto carni modenese comincia a diradarsi almeno un po’. A fare da spartiacque il caso Castelfrigo che tiene banco nell’inverno scorso. In quest’occasione è la Cgil a gestire la vertenza e, complici le elezioni imminenti, ai cancelli dell’azienda si fa vedere e sentire anche tutto quel ceto dirigente della politica locale sempre pronto ad investire in visibilità e consenso sulle spalle dei lavoratori.
I POLITICI
Pallide figure che cominciano ad affacciarsi ai cancelli degli stabilimenti in lotta, in vista delle prossime elezioni. Sanno di non contare più niente – dichiarazioni di intenti, tavoli, protocolli – , un vecchio mondo caduto in disuso. Esprimono la pochezza caotica dei tempi: un esponente può esprimere “preoccupazione per i licenziamenti” e un altro può tuonare contro le “illegalità dei picchetti”, magari stando nello stesso partito. I facchini ghanesi o filippini, li guardano con perplessa ironia.
Arrivano così anche le prime “inchieste” con tutto quello sfoggio istituzionale fatto di comunicati, pacche sulle spalle e ipocrisia allo stato puro. L’operazione della Guardia di Finanza riguarda cinque aziende e quattro persone indagate per intermediazione illecita, sfruttamento del lavoro ed evasione fiscale fino tre milioni di euro. Altra anomalia: né la procura né la guardia di Finanza rendono noti i nomi delle aziende. Ma a Modena sembra funzioni così: se sei un cittadino normale riportano nome e cognome, se cinque aziende sono accusate di caporalato ed evasione i nomi non escono, tipo quel film con Kevin Costner: “Gli intoccabili”.
I PM
Hanno lavorato con foga, nei mesi scorsi, per liberare le aziende dalla morsa dei sindacalisti molesti. L’inchiesta contro Aldo Milani, di quale dispiegamento di uomini e mezzi ha potuto giovarsi? Telecamere nascoste, microfoni, intelligence, agenti provocatori e trame raffinate. Chi ha mai visto un magistrato indagare con la stessa determinazione sul settore carni e le sue derive criminali? In occasione dell’arresto del leader del SI Cobas, la Procura ha ufficialmente esposto anche il suo teorema: lo sciopero e il picchetto, in una certa misura, possono essere inquadrati sotto il profilo criminale dell’estorsione. Bloccare un’azienda per spillare quattrini a un padrone, è un’azione delittuosa. Quando la politica muore, entrano in scena i corpi armati dello Stato (tale è la magistratura, non dimentichiamolo mai), che vanno a prendersi il loro spazio di supplenza e direzione politica, rilasciano proclami a reti unificate, scavalcano l’ectoplasma di amministratori e partiti, stabiliscono in proprio ciò che è lecito fare o non fare, nella Repubblica del Maiale.
La finanza non fornisce i nomi delle aziende denunciate e chi fa informazione non glieli chiede di certo (poi ci domandiamo come le mafie abbiano potuto attecchire facilmente in questo territorio!) però sui giornali si possono leggere vere e proprie perle come queste: “La Finanza non ha reso noti i nomi delle società, ma nell’ambiente sono ben note.” Oppure: “Il provvedimento, notificato lunedì a cinque società (quattro delle quali fanno riferimento ad un unico soggetto), è un unicum nel panorama italiano dal momento che viene affidato agli imprenditori coinvolti un commissario.”
La sensazione è che altre “anomalie” verranno a galla nei prossimi mesi eppure, fino ad ora, sembrava già tutto così scritto, trama e interpreti, in un racconto “di fantasia” del novembre scorso dal titolo: Pastorale emiliana.
Le puntate precedenti:
https://militantduquotidien.wordpress.com/2017/03/02/donald-trump-sotto-la-ghirlandina/
https://militantduquotidien.wordpress.com/2017/11/17/cuori-impavidi-o-nani-da-giardino/
Posted on 1 novembre 2018
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