
Dalle attese sembrava la calata dei barbari. Negozi chiusi, studenti a casa alle 11, mezzi pubblici bloccati e un apparato repressivo più adeguato ad una Baghdad immaginata piuttosto che alla provincia romagnola.
Oltre 400 agenti, piombatura dei tombini, cassonetti rimossi e l’occhio vigile della forza aerea a sorvegliare dall’alto il destino della città.
Si sarebbe scritto che Ravenna non era città abituata a certe manifestazioni ma sono poche le città che coabitano con simili blindature.
Lottiamo per la Terra e per la Libertà questo lo slogan dei tanti arrivati nella città adriatica per seminare i sani germi del dubbio attorno alla lotta NoTav e alle sue appendici di significato ravennati. La protesta, infatti, prende di mira un “piccolo” tabù della regione, la cooperativa; in particolare il colosso della Cmc (Cooperativa Muratori Cementisti) vero e proprio Moloch da 900 milioni di euro di fatturato con appendici sparse in tutta Italia, dalla Val Susa fino a Gaza. Pare infatti che questa “cooperativa” quotata in borsa abbia partecipato alla costruzione del muro di separazione (annessione) tra Israele e Palestina. Opera, per capirci, dichiarata illegale dalla Comunità Internazionale ma foriera di profitto per azionisti abituati alle commesse militari (Sigonella e Dal Molin).
Lo sdegno quasi unanime levatosi alla vigilia della manifestazione sembrava suggerire un bersaglio dal nervo scoperto: la cooperativa degli anni 10 del XXI secolo; un vaso di Pandora troppo temibile da scoperchiare, tanto da produrre distinguo di dubbia natura e forti prese di posizione atte a depistare la natura del confronto. Di certo argomentazioni lavoriste che piovono nel bel mezzo di una crisi dalle fosche previsioni non possono non attecchire; ma nell’Italia dell’Ilva , dove salute e lavoro ritornano di gran carriera come tematiche ottocentesche o della cementificazione (abbiamo persi 2 milioni di ettari di suolo, una superficie grande quanto il Veneto in soli 10 anni), il lavoro non può essere considerato come l’unico faro della nostra sfera.
Al massimo sarebbe più opportuno parlare di reddito o di cosa si produce, per cosa si produce e di come si produce. Detto in termini novecenteschi di rapporti di produzione e di critica a chi ne detiene i mezzi.
Discorsi che dovrebbero ricordare qualcosa anche a quel relitto della sinistra italiana pure senza addentrarsi troppo nelle teorizzazioni della mercificazione della metropoli o nel rapporto simbiotico che esiste tra capitale e urbanizzazione.
Di certo il mandato cooperativo che ha scritto importanti pagine di storia della nostra regione non è eredità marginale. Ma proprio per questo iniziative come quella di Sabato a Ravenna risultano importanti. Perché la CMC è una cooperativa, come ha scritto Ivan Cicconi.
Perché l’articolo 45 della nostra Carta Costituzionale “…riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualita’ e senza fini di speculazione privata.”
“Perché quei 35 muratori e manovali non avrebbero mai immaginato, e tollerato, che la loro Cooperativa scegliesse di lavorare in un cantiere presidiato e difeso dall’esercito contro la volontà di un’intera valle in Val di Susa. O scegliesse di essere partner di una impresa scatola vuota per realizzare opere inutili e devastanti come il ponte sullo stretto di Messina. O scegliesse di lavorare nelle basi militari di Vicenza, contro la volontà un’intera città, o nella base militare di Sigonella dopo l’assassinio di Pio La Torre che contro quella base si era battuto.”
A ben guardare, dunque e molto oltre alla retorica del lavoro (che tanto è gridato quando viene tirato in ballo quanto è silenziosa e sotterranea la sua scomparsa) vi è un ritorno a un’ economia di guerra di nuovo tipo che riconosce il proprio approdo nella cementificazione, nella sicurezza, nella crescente pressione sull’ambiente e nella militarizzazione quale assorbimento naturale del proprio surplus di capitale.
Una cosa però risulta certa, Sabato siamo entrati a Ravenna sotto gli occhi terrorizzati degli abitanti, siamo usciti da Ravenna tra i loro applausi.
Forse la barbarie andrebbe cercata altrove.
Posted on 14 ottobre 2012
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