
Il souq di Aleppo è un luogo magico, un labirinto fiabesco che nemmeno l’occhio chiuso saprebbe riprodurre. Ibn al-Khashshab, Zenki e Nur al-Din vi camminano ancora quasi avessero consistenze reali. Sono i colori a drogare al suo interno mentre le luci si fanno spiriti e l’incessante fluire rimbomba come una danza ancestrale mai cessata. E’ la città stessa, Aleppo, ad incantare, lontana dai profumi vacui da vetrina che caratterizzano il centro della sorella damascena in lei anche la polvere riesce a scaldare. Parchi notturni, mezzi bui per la mancanza di illuminazione, brillano con gli incontri e le risate dei ragazzi che li affollano mentre desideri di ragazze soffiano tra le panchine.
Questo mese è iniziato con una pessima notizia , Aleppo brucia e con lei il suo mercato. Nemmeno la Grande moschea sembra essere stata risparmiata.
Il calderone mediorientale ribolle con quotazioni belliche in netto rialzo. Difficilmente la crisi siriana resterà confinata nel paese e più passa il tempo più esondazioni appaiono possibili. Già il parlamento turco ha approvato la settimana scorsa possibili «Azioni militari oltre il confine» il che significa Siria ma anche Kurdistan iracheno. Libano e Palestina alle porte attendono un qualche destino. Sullo sfondo rimane l’Iran, chiacchierato ormai con insistenza da una decina d’anni.
Se il Medio Oriente ribolle, il Mediterraneo è in tempesta e i venti di ricolta che soffiavano lo scorso anno sul Nord Africa sembrano essere definitivamente approdati anche in Europa, perlomeno nella sua sponda meridionale. Non c’è giorno ormai che non si scenda per le strade in Portogallo, Spagna e Grecia dove, a tracciare la novità, non sono tanto i dati sulle partecipazioni quanto quelle sulla tenuta dei movimenti che si affacciano in quei paesi. L’Italia non è da meno anche se, tra elezioni e menzogne tecniche, la partita è più sbiadita.
I fenomeni più preoccupanti però avvengono sotto la coltre di ciò che chiamiamo tecno-austerità europea.
Nel nostro paese lo scandalo è diventato norma.
Una buona testimonianza potrebbe essere il successo del best-seller di Sergio Rizzo e Gianantonio Stella (primi untori della transizione post-democratica) “Casta” che oggi è sinonimo di separatezza e corruzione come se quest’ultima non fosse il costo dell’emarginazione delle nostre funzioni rappresentative. Gli spazi di democrazia si riducono, politica e partiti politici diventano ferri vecchi, tanto costosi quanto inutili per il capitale. Il “fare politica”, oggi, è migrato altrove, su un’altra scala, tra tecnocrazie e burocrazie sempre più globali e ciò che consideravamo come tale è sempre meno il luogo della sovranità. Sullo sfondo nostrano rimane la gogna e il repulisti meritocratico orchestrato dagli stessi corrotti che la reclamano. E non è un caso che in Italia sia sparita dal vocabolario la parola “classe”; “casta” è più fruibile, accende risentimenti e rabbie senza interrogare troppo condizioni soggettive materiali, disincentiva solidarietà e mira tutto il fuoco sopra al dito ignorando la luna. Lo Stato, nella crisi, non è più un luogo di mediazione tra le classi ma un mero strumento disciplinare di una società già abbondantemente atomizzata.
Ma è a un livello ancora più sotterraneo che i timori si trasformano in certezze.
In Grecia vanno in scena prove tecniche di neonazismo nelle quali i dati preoccupanti risiedono nelle troppo frequenti e malcelate relazioni che istituzioni traballanti detengono con formazioni come Alba Dorata e che lanciano ombre sinistre sul domani. In Spagna è la storia che diventa un bersaglio, con la riforma della LOE saranno i totalitarismi e le rivoluzioni ad essere messe al bando dai programmi scolastici. Mentre ricrescono i primi, la repressione si fa feroce e anche il diritto a manifestare viene messo in discussione (esempi qua e qua) e quando non si riesce a fare tacere le piazze sono i media ad incappare nelle reti della censura.
Chez nous, il sovversivismo tecnocratico non è meno pericoloso. Privi di rappresentanza eletta siamo alla frantumazione finale della democrazia rappresentativa umiliata e sottomessa al dettato dell’austerità, un gioco dentro al quale abbiamo tutto da perdere. Le nostre prove “tecniche” di fascismo le abbiamo anche noi e se sul piano formale questo non risulta evidente, sul piano sostanziale gli indizi sono schiaccianti. Ovunque si aprono sedi di formazioni di estrema destra verso le quali le istituzioni non muovono dito che non sia in loro difesa. La repressione poliziesca è tutta rivolta verso gli spazi antagonisti, mero calcolo materiale in vista di conflittualità metropolitane destinate ad aumentare negli spazi della crisi. Da un punto di vista sostanziale monumenti a criminali fascisti non sarebbero tollerati in un paese civile così come non avrebbero residenza certe questure e men che meno “bonifiche” che hanno tutto l’aspetto di segregazioni etniche. Se a parole tutti si avventano nella condanna, nella realtà effetti istituzionali non esistono e mente sapendo di mentire chi afferma il contrario. E’ diventato facile, troppa è la scioltezza con la quale si vomita sulla storia.
Il tempo della crisi è un tempo che inganna.
Interroga geografie differenti, geometrie variabili e intrecci più ampi del dovuto.
Due anni fa sono stato ad Aleppo, oggi c’è la guerra.
Le foto qua sotto sono in memoria della città, il mio ricordo invece è per Xenophon Lougaris morto oggi in piazza ad Atene.
Posted on 18 ottobre 2012
0