
Le ombre di Piazza Alimonda sono ancora tra noi. Tratto indelebile di un sigillo altrui. Solo la pazienza ci compete. Quella che chiamano virtù non è che un sinonimo di Resistenza, a tutti gli effetti. L’orrore di quelle giornate di luglio rimbomba tuttora nelle strade delle nostre città, accordo non scritto che risiede in ogni abuso poliziesco, tacito avvertimento che serpeggia in ogni anfratto del potere, sono quelle miserie impronunciabili che esso stesso è tornato a considerare come le “regole del gioco”.
Al buio occorre la luce e anche quelle di una sala cinematografica alle volte possono offrire piccoli raggi, inquadrature non consuete di una vicenda insabbiata e che troppo spesso viene ricordata in malo modo. Il 21 febbraio è uscito nelle sale italiane (poche a dire la verità) The summit un film inchiesta che “riapre” il caso Giuliani tra una pistola difettosa, carabinieri sosia e un bossolo mai analizzato. Dodici anni dopo, tra le strade di Genova, si è ancora alla ricerca della verità ed è a questo che tende il lavoro di Franco Fracassi e Massimo Lauria, autori del film.
“Cominciammo allora a indagare sulla gestione della repressione, sulla catena di comando che portò agli avvenimenti che tutto il mondo poté osservare in quei due infuocati giorni di luglio del 2001. Possibile che le operazioni di ordine pubblico di un vertice internazionale dell’importanza di un G8, fosse prerogativa esclusiva della polizia italiana? In effetti le nostre fonti, che poi verificammo, ci parlarono subito di una strategia repressiva voluta e affidata ad un coordinamento di intelligence sovranazionale.”
Un salto azzardato, lungo, molto lungo, al di là del mare. Tirana, 21 gennaio 2011. L’opposizione al governo di Sali Berisha scende in piazza per chiedere elezioni anticipate dopo le dimissioni del vice-premier Ilir Meta. Le forze dell’ordine sparano, quattro vittime rimarranno a terra senza vedere la sera. Quattro morti che segneranno la storia recente dell’Albania.
A sparare furono alti ufficiali della Guardia nazionale, fecero fuoco da distanza, mirando a caso, tra la folla. A Tirana, da allora, in pochi hanno ancora il coraggio di manifestare.
Ma quali analogie potranno mai esserci tra i morti di Tirana e Giuliani? Proteste diversissime per modalità, contenuti e portata geografica a parte omicidi che urlano giustizia?
Prima di rispondere occorre fare un’altro salto. Al 28 agosto 2009, nel cuore della UE. A Strasburgo, infatti, all’interno della Corte europea dei diritti dell’uomo va in scena il capitolo europeo della tragedia genovese. Dopo le prime sentenze italiane che scagionavano Mario Placanica la famiglia di Carlo fece appello alla Corte europea.

Giuliani si trovava a 3 metri e 6cm dal defender quando sollevò il famoso estintore (vuoto) che raccolse solo dopo avere visto la pistola impugnata dal suo killer. Ma per le carogne il vandalo è lui.
In quell’occasione, i giudici della Corte, stigmatizzarono sì il comportamento dell’Italia per la mancanza di un’inchiesta approfondita sui fatti del G8 (si denunciò anche la decisione della procura di autorizzare la cremazione del corpo prima di conoscere i risultati dell’autopsia) ma giudicarono il nostro Paese non responsabile dell’omicidio di Carlo allora ventitreenne. “Non c’è stata violazione per uso eccessivo della forza” sarebbe stato sancito mentre il carabiniere avrebbe “agito nell’onesta convinzione che la propria vita e quella dei suoi colleghi si trovassero in pericolo. Il ricorso a un mezzo di difesa che poteva causare la morte, agli spari, era giustificato”
Con una buona dose di cinismo si potrebbe tranquillamente affermare che gli Stati non processano mai sé stessi e tendono ad assolvere tutti quei *bravi* loro servitori in divisa verso i quali agiscono attraverso un’identificazione profonda.
Tutto normale (si fa per dire) se non fosse che la sentenza di Strasburgo (proprio quella su Giuliani) guarda caso sbarca a Tirana per il processo-assoluzione riguardante le uccisioni del 21 gennaio. Questo 8 febbraio, infatti, la Corte di Tirana ha assolto tutti gli imputati accusati e riconosciuti come autori materiali di tre delle quattro vittime di piazza e il “caso Giuliani” viene riportato in aula dal giudice Besnik Hoxha durante la lettura della decisione. Uno degli argomenti adottati a favore dell’assoluzione degli imputati, infatti, (da ricordare alti ufficiali della Guardia nazionale che tirarono sulla folla nascosti in un palazzo e da distanze notevoli) è proprio la sentenza di Strasburgo considerata vincolante come giurisprudenza per il giudice albanese. Se Mario Placanica e con lui il nostro Paese non fu responsabile della morte di Giuliani allora anche Ndre Prendi e Agim Llupo possono avere agito in maniera giustificata come sembra suggerire l’istinto verso una sentenza irrintracciabile.
Ciò che è certo è l’impunità e il genocidio sistematico della verità. Il G8 genovese produsse molte scorie, grandi aree di cecità e pochissimi anticorpi. Oggi parla ancora di noi al di qua e ora anche al di là del mare.

Piazza Alimonda, Genova, h. 17:30 circa del 20 luglio 2001. I tutori dell’ordine hanno appena massacrato di botte il fotografo Eligio Paoni, colpevole di aver fotografato da vicino – e troppo presto – il corpo di Carlo Giuliani, e hanno metodicamente distrutto la sua Leica. Nel cerchio rosso, un agente lo trascina sul corpo e gli preme la faccia su quella insanguinata di Carlo (ancora vivo). Non è difficile immaginare cosa gli stia dicendo. Cosa non si doveva sapere delle condizioni del ragazzo in quel momento? Forse la risposta riguarda un sasso, un sasso bianco come il latte che si muove da un punto all’altro del selciato, scompare e ricompare, e a un certo punto è imbrattato di sangue.
In Italia dal novembre del 1988 abbiamo ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura. Nel nostro codice penale di tortura non ve n’è traccia ma per paradosso vietiamo i maltrattamenti agli animali.
A Carlo oggi 35enne.
Auguri.
I nomi delle vittime di Tirana:
Aleks Nikaj, Hekuran Deda, Faik Myrtaj, Ziver Veizi. Che valga anche per loro.
sveva
31 marzo 2013
c’e chi dice che questo g8 di genova ancora porta i segni e colpisce ancora rovinando famiglie e piccole persone indifese….c’e chi dice che quel maledetto g8 diede un alibi x tutta la vita a colui che coperto dallo stato puo’ combinare le piu’ grandi cazzate di ogni genere e continua a rovinare piccoli esseri indifesi senza venir mai condannato…..ci vediamo il 10 aprile 2013 in tribunale a catanzaro…il tribunale piu’ VERO d’ Italia ?(dove vi ricordo che negli anni di piombo furono tenuti parecchi processi storici,a tale domanda la risposta nasce spontanea ) ci sara’ da piangere,,,ma l’importante e’ lottare x una giustizia che purtroppo se nn sei nessuno nn potrai mai avere ….
petar
31 marzo 2013
Discutendo delle due vicende, un amico albanese poneva l’accento sul fatto che là si fosse venuti a conoscenza dei nomi di chi aveva sparato, non era sufficiente ma: “i nomi sono importanti” diceva…. Suonava “realista” come affermazione o perlomeno tanto quanto remissiva.
Paradossalmente però, se ci pensiamo bene, oggi in Italia, nonostante gli anni di inchieste, montagne di fotografie, filmati e testimonianze, sappiamo ancora ben poco di quell’omicidio. Il fumo è ancora lì attorno e non si è ancora diradato.
Agli albanesi è andata “meglio” verrebbe da dire, loro sanno i nomi. In una dichiarazione Giuliano Giuliani afferma queste cose: “Mario Placanica assolto? No, peggio. È stato assolto lo Stato, che è il vero responsabile dell’assassinio di Carlo. Gli apparati, le cosiddette forze dell’ordine, i carabinieri. quelli che erano lì sono i peggiori in assoluto. In quel momento accade una cosa terribile: A Carlo non soltanto somministrano la morte attraverso un colpo di pistola. Ma fanno una cosa che considero persino peggiore: un carabiniere gli spacca la fronte con una pietrata mentre è ancora vivo”.
Che dire? Immagino tu ti riferisca a questo: http://www.lettera43.it/cronaca/placanica-via-il-processo-per-violenza-su-minore_4367572820.htm
Viene in mente un cartello che era a Ferrara venerdì, per il sit-in di solidarietà alla famiglia Aldrovandi:
La nostra memoria.
La vostra condanna.