
In queste ore impazza sui giornali un dibattito surreale quello sul burkini.
Un sindaco, a Cannes l’ha vietato sulle spiagge, presto seguito da altri baldanzosi colleghi definendo questo capo d’abbigliamento come “l’uniforme delle persone con cui siamo in guerra”. Il governo “socialista”, di Manuel Valls è andato a ruota. Il dibattito surreale che si è generato e che ha varcato i confini francesi, prevede lo sfoggio di parole quali: laicità, valori occidentali, libertà della donna ecc. ecc. L’ondata di islamofobia atavica che si è abbattuta sulle coste francesi sembra non interessare nessuno. E’ esclusa dal dibattito e non è nemmeno presa in considerazione quasi come non fosse la ragione principe del provvedimento sui burkini.
Qua sotto proponiamo un articolo di Serge Quadruppani, tradotto, che in poche righe rimette il carro davanti ai buoi, o la chiesa al centro del paese se preferite…. Racconta brevemente la Francia e il suo clima generale.. (Qua l’articolo originale)
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Tra la Francia e me ci sono stati da sempre rapporti complicati. Questo è il Paese nel quale le strade imprevedibili delle migrazioni del XIX e del XX secolo mi hanno visto nascere, che mi ha donato una lingua con la quale amo scoprire il mondo e un passaporto che mi permette di viaggiarci (anche se, recentemente, per delle ragioni che non mi sono state notificate, mi rende difficile il passaggio delle frontiere). Ma non sono mai riuscito a considerarla (la Francia metropolitana) come la mia “Madre Patria”. Di Patria, non parliamone proprio, una parola così intrisa di sangue da essere inadatta per qualsiasi riciclaggio. Madre? Grazie ne ho già una, con un sacco d’amore e di nevrosi e per me è già più che sufficiente.
Tutt’al più posso considerare la Francia come una zia un po’ pazzerella, con dei lati estremamente scadenti e con altri più simpatici: come la cultura scioperante, l’idea rivoluzionaria impregnata nella memoria collettiva, anche se, dal 1968 in poi, ha preso questa brutta abitudine di non fare nulla di rivoluzionario se non a ridosso della data di partenza per le vacanze.
Nel Marzo 2016, il bel mese che è durato tre mesi (1), quando ha lasciato esprimere la sua parte di immaginazione radicale, quando tutta la racaille (feccia) (2) politicante non aveva più nulla da dire se non parole ancora più morte del solito e una minoranza attiva della popolazione sembrava averla sostituita sovrastandola sul piedistallo, allora l’ho amata la vecchia diavolessa.
Ma la Francia ha una pessima abitudine: non ha mai digerito il suo pétainismo (3) e il suo passato coloniale e, di tanto in tanto, li scoreggia fuori, la vecchia cagna, rilasciando un tanfo che rivela ciò che alimenta il suo stomaco ancora fecondo. Un fetore che sorprende, disgusta o fa ridere i suoi vicini europei che lentamente vi si sono abituati e passano presto ad altre faccende.
Ma qua veramente, con la storia del burkini, si può dire che la Francia se ne sia fatta sfuggire una veramente pesante. Una loffa caricata d’un islamofobia mefitica, lungamente stagionata sotto al sole della Costa Azzurra, col contributo dei nonni dell’OAS (4) e dei loro discendenti, di pensionati mummificati nella loro meschineria danarosa, di deficienti scimmiottanti la propria provenzalitudine o la propria corsità (5).
Come è di moda da qualche anno, il razzismo post-moderno, quello che indossa le virtù del femminismo (un femminismo improvvisamente promosso da persone che rifiutavano precedentemente alle donne il diritto all’aborto) e della laicità, questo razzismo post-moderno ha fornito un linguaggio adeguato all’ennesima versione di questa caccia simbolica al nordafricano di turno. Estensione alle spiagge dei confini dell’odio.
Si possono accollare benissimo molti significati a questi costumi da bagno islamici elaborati da moderne multinazionali del tessuto, alcuni dei quali sono in realtà di un oscurantismo detestabile ma potremmo anche rimarcare che questa maniera di volerlo celare, il corpo della donna, non fa altro che attirare gli sguardi su di sé, tra questi chilometri quadrati di pelli abbronzate a colpi di prodotti di moderne multinazionali del cosmetico, marcati da tatuaggi gregari di una colonizzazione d’immaginario, impregnati di così tanti marcatori sociali da non distinguerli più nell’uniforme di gruppo.
Si sarebbe potuto giudicare che questa esibizione di rifiuto dell’esibizionismo portava in sé degli effetti contraddittori e lasciare all’iniziativa individuale il compito di respingere o di integrare le portatrici di burkini all’interno della comunità spiaggiante, e come si fa ogni giorno, per lo sguardo, l’espressione del viso o le riflessioni a bassa voce quando si incontrano corpi non conformi, troppo grassi, troppo magri, troppo scoperti o non scoperti a sufficienza.
Naturalmente sarebbe stato troppo da domandare alla passione francese per i dibattiti stupidi. Era troppo per dei funzionari locali in cerca del loro quarto d’ora di celebrità e di come si possa sempre contare su siffatti sciocchi per battere record di stupidità criminale che hanno chiaramente associato l’indossare un burkini col terrorismo.
Si sarebbe potuto fare, come accade spesso quando qualcuno scoreggia in pubblico:di distogliere lo sguardo e di tapparsi il naso o di ridere a voce alta come fanno i giornali di tutto il mondo (6). Avremmo veramente voglia di tacere e di leggere delle riflessioni intelligenti.
E poi Valls, del quale si può dire oggi ciò che Baudrillard affermava di Georges Marchais a suo tempo: che egli era l’incarnazione dell’istinto di morte dei francesi, Valls il socialista di estrema destra che nella ricerca disperata di un elettorato fluttuante ha deciso di compiere un passo ulteriore. Valls, che facendo eco alle parole di un vecchio incapace sciovinista, il pompiere incendiario Chevènement, consiglia ai mussulmani “la discrezione”.
E qui siamo catturati dalla necessità di dire: “una soglia sta per essere attraversata che assomiglia molto ad un punto di non ritorno nella fabbricazione di un capo espiatorio al quale è promesso il peggio.”
Nel settembre del 1933, un giovane giornalista che si voleva oggettivo e misurato, e che era infinitamente più intelligente di Valls, raccontando la Germania hitleriana, a proposito delle persecuzioni contro gli ebrei, si lasciò sfuggire: “Certamente, gli ebrei hanno mancato di prudenza. Li si nota troppo.”
Raymond Aron scriveva questo sul numero del 15 settembre 1933 della rivista Europa.
Si potrà trovare, nelle pagine riprodotte qui sotto, dei Les Infortunes de la Vérité che pubblicai presso Orban nel 1981, come contestualizzare questa affermazione che fa così male leggere oggigiorno.
Tante sono le precauzioni da prendere quando ci si accinge a fare dei paragoni tra epoche così differenti.
Ma una cosa è certa: quando cominciamo a rinfacciare alle vittime della xenofobia di Stato di mancanza di discrezione, possiamo almeno concludere che per loro si tratta di un pessimo segnale.
(1) Durante le rivolte contro la Loi Travail e nelle assemblee di NuitDebout si cominciò a scandire il tempo chiamando i giorni come se Maggio non finisse mai, tipo il 34 maggio, il 38 maggio….
(2) Racaille – feccia, lasciamo racaille per ricordare l’epiteto con il quale Sarkozy si rivolese agli abitanti delle banlieu nel 2005.
(3) Dal maresciallo Pétain, capo del governo collaborazionista di Vichy
(4) Organizzazione fascista paramilitare OAS
(5) appositamente storpiati
(6) In Italia, in realtà, la politica si è gettata “a bomba” nella polemica, il tutto anche in assenza dell’oggetto in questione (si sfida chiunque ad incrociarne facilmente un paio di questi costumi) ma si sa ovunque ci sia da speculare, anche a livello comunicativo….

Manifestazione di femministe arabe l’8 marzo 2014
Posted on 19 agosto 2016
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