
Più ci si inoltra nella campagna elettorale più si è spinti verso una qualche evacuazione. “Spero finisca in fretta”, “non si può reggere un’altro mese così” o cose del genere.
Se il voto si fa merce e il dibattito non punta che allo share giusto per l’introito pubblicitario, siano essi avanspettacoli tra biografie o bagatelle fra cosplayers travestiti da “ribelli” ha poca importanza, occorre registrare i tempi e donare alla diatriba elettorale l’importanza che oggi merita.
Non si riduce tutto a un voto e non tutti i voti sono della stessa natura.
Bologna 7 gennaio 2013
Merola affossa il referendum: “Non verrà accorpato alle politiche”. E’ scontro con Sel.
I referendum, si sa, non sono mai ben visti dagli “eletti”. Troppo disturbo ai manovratori. Troppi ostacoli per il conducente. Troppi impedimenti per il normale svolgimento “tecnico” della gestione della sfera pubblica. Questi – i referendum – mettono a rischio i denari, il profitto, minacciano alleanze e indeboliscono consolidate sfere di privilegio. Troppo. Troppo per non cercare in qualche modo di arginarli.
Sotto questo punto di vista ciò che accade in questi giorni a Bologna non è che una riconferma. La paura è tanta, costosa per di più, almeno 534mila euro secondo chi i calcoli li ha fatti.
Ma qual’è quel vento che soffiando getta il terrore nei sogni dei democratici? Semplice. Un candido referendum consultivo cittadino riguardante l’utilizzo delle risorse finanziarie comunali in merito alla scuola. Due le possibili risposte. Schiette, lineari:
a) utilizzarle per le scuole comunali e statali
b) utilizzarle per le scuole paritarie private
Una mossa azzeccata quella del Comitato Art. 33 che in poco tempo ha raccolto le firme per lanciarlo – 13.500 cittadini, solo il 50% in più del necessario – una mossa azzeccata se anche la città di Milano si è presa la briga di fare altrettanto.
Il contesto è chiaro, i tagli alla scuola pubblica sono feroci. Produrranno danni. La situazione a breve sarà incandescente. Come metro di paragone basta puntare l’osservazione sul tenore delle ultime sparate pubbliche in ambito bolognese «Stiamo valutando l’idea di privatizzare alcuni dei giochi per bambini nei parchi pubblici» che bastano e avanzano a richiamare l’idea della coperta corta e delle scelte di classe che vi si mascherano dietro.
Non a caso le adesioni alla consultazione cittadina sono state importanti e “di parte” riconducibili a quella galassia atomizzata della sinistra che si annida tra comitati, associazioni, residui di partito, radio e sindacati. Il perché è riassunto magistralmente qua sul sempre prezioso Giap e suona più o meno così:
“Il punto nodale è precisamente questo: non è vero che le scuole paritarie private sono uguali alle altre. Non lo sono perché per accedervi si pagano rette salate e perché la stragrande maggioranza di esse ha un orientamento confessionale (pare che l’ideologia faccia male, mentre la confessionalità vada benissimo…). Va da sé che, in una società sempre più laica, sempre più multireligiosa, e sempre più povera, l’accesso delle famiglie non cattoliche e non abbienti a tali scuole è fortemente limitato, se non precluso. Dunque le scuole paritarie private non sono scuole di tutti, ma di parte, e non possono essere considerate uguali a quelle pubbliche, dove vige un principio diverso: libero accesso gratuito, laicità, pluralità. E dove il personale è selezionato in base alle graduatorie, non in base alla sua conformità a un progetto pedagogico o all’altro.
Ne consegue che se davvero la preoccupazione del Sindaco è quella che i papà e le mamme «sappiano che le scuole di Bologna siano in grado di accogliere i loro bambini», allora dovrebbe dare la precedenza alla scuola pubblica, uguale per tutti, e ad essa riservare le risorse comunali.”
Una scelta importante dunque quella prevista a Bologna il 26 maggio, una scelta politica ma una scelta finalmente. Non l’ennesimo brand lanciato nello stagno degli allocchi, dei bonzi, che tanto sta caratterizzando queste giornate di vigilia elettorale. Vedasi primarie bolognesi e loghi connessi. Canne da pesca di mala fattura.
Modena 30 dicembre 2012
Verrebbe da saccheggiarlo a piene mani (e sarà fatto) quest’articolo di Girolamo De Michele se non fosse che a Modena abitiamo e qualcosa ricordiamo.
Anche le primarie modenesi hanno espresso una scelta. Pure nel dubbio alle volte vi è chiarezza. Nemmeno scontando che chi si è recato alle primarie per votare abbia espresso la propria preferenza in riferimento alla scuola pubblica – e forse l’elezione di Giuditta è più rintracciabile in astute trovate che hanno fatto breccia nei media mainstream mentre, a pochi mesi di distanza, l’occupazione dell’autostrada faticava a sostare tra le prime pagine della gazzetta cittadina, piuttosto che all’impegno profuso durante il terremoto – risulta evidente il rifiuto dichiarato verso figure quali Mariangela Bastico in primis, più conosciuta e Manuela Ghizzoni.
Chi sono ce lo spiega bene De Michele (uno che il mondo della scuola lo conosce bene).
Bastava aver sfogliato il Quaderno bianco sulla scuola redatto dal ministro Fioroni, ma soprattutto dal viceministro Mariangela Bastico nel 2007, ai tempi del governo Prodi, che proponeva un taglio di 56.000 posti di lavoro in 5 anni, fornendo utili suggerimenti ben graditi al successivo ministro Gelmini.
La vicenda del ddl 953, già noto come “legge-Aprea”[…]”Ghizzoni-Aprea”, è emblematica: fingendo di opporsi alla trasformazione delle scuole in fondazioni, Manuela Ghizzoni aveva riscritto la legge creando di fatto le premesse giuridiche per la futura trasformazione delle scuole in fondazioni […] già posto in essere dalla riforma-Brunetta del 2009 (dlgs 150/09). Dopo aver risposto a muso duro alle proteste della scuola, accusando i suoi critici di non aver letto né capito il senso del ddl Ghizzoni-Aprea, aveva cercato di far approvare questa legge senza dibattito in aula […]. Poi, dopo aver sbattuto il ghigno contro oltre 600 mozioni approvate dai collegi docenti […] la linea del PD è cambiata, il partito si è dichiarato “in ascolto”, nonché “consapevole dei nodi irrisolti della 953”, e si è addirittura arrogato il merito di aver fermato l’iter della legge Ghizzoni-Aprea.
E mentre le due signore si impegnavano inutilmente per le primarie, veniva approvata la legge di stabilità 2013, all’interno della quale l’ultimo rigo del comma 149 crea le premesse giuridiche per collegare il sostegno economico alla scuola – cioè il finanziamento di un diritto costituzionalmente garantito – a non meglio identificati “risultati conseguiti dalle singole istituzioni”.
A ben guardare dunque certi voti contano a cominciare da quello futuro dei vicini bolognesi e in misura decisamente inferiore, dal significato che si può ricavare, sotto questi termini, dalle primarie modenesi (piuttosto deludenti se si escludono alcune sfumature della “sorpresa” Pini). Contano però e contano nella misura in cui lasciano aperte alcune scappatoie, vie di fuga indispensabili per una politica relegata ai margini dalla presunta ineluttabilità del volere tecnico e dal totalitarismo psichico della razionalizzazione finanziaria.
Un giorno le macchine riusciranno a risolvere tutti i problemi, ma mai nessuna di esse potrà porne uno. Albert Einstein
Francamente cominciamo ad avere la nausea di questa TINA (there is no alternative) cerimoniera caratterizzante questa fase di transizione dai contorni ancora incerti. L’unico eco che si sente in lontananza è quello di una crisi di credibilità delle istituzioni borghesi, una crisi quasi senza precedenti, di cui la disaffezione, l’astensione o le difficoltà che si avvertono nell’affannosa ricerca di un appiglio politico non sono che puri epifenomeni. Anche le sfere “pubblico” “privato” sbiadiscono mentre prosegue un perverso rapporto che si rivela nelle stesso tempo a rapina di diritti costituzionali, a fare finanziare il “privato” dal “pubblico” e a privatizzare sempre con maggiore veemenza quei servizi che un tempo venivano considerai “pubblici” e che oggi sono esternalizzati sempre più.
Di certo siamo consapevoli dei problemi di una scuola pubblica abbandonata in posizione residuale, dei rischi riguardanti istituzioni museali, ne abbiamo già svolto un funerale ma siamo anche certi che l’unico modo che abbiamo per superarla sia quella di difenderla energicamente, nella speranza che altrettanto faccia chi, da posizione privilegiata, a breve, salirà in parlamento. E forse, sul tema della scuola, qualche speranza in questo caso possiamo detenerla.
«Un Paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per i soldi, perché le risorse mancano, o i costi sono eccessivi. Un Paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere».
I. Calvino, “La Repubblica”, 15 marzo 1980
Posted on 14 gennaio 2013
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