
“Tu vuoi conoscere le intenzioni del governo? Io so solo che gli atei di Istanbul hanno bisogno dell’odio nazionale per i loro scopi. Poiché l’essenza più profonda dell’empietà è la paura e il presentimento della patria perduta. E così in ogni piccola città essi istituiscono sale d’informazione per diffondere il loro cattivo volere…”
Franz Werfel, I quaranta giorni del Mussa Dagh.
Se il dibattito pubblico di questo Paese ha ormai irrimediabilmente abbandonato i binari dell’igiene culturale elementare per deragliare verso lidi surreali nei quali razzismo e xenofobia si fanno moda dell’estate 2017, un certo grado di responsabilità dovrà pur risiedere nell’ordinaria e ineffabile informazione italica. Dalla politica internazionale giù, giù fino alla cronaca locale, i sintomi del profondo malessere (siamo generosi!) nel quale versa il mondo dell’informazione non fanno che aggravarsi.
A ben vedere, il problema difficilmente sarebbe circoscrivibile a una questione di contingenze del mestiere, così come si potrebbe immaginare, o per dirla come Alberto Negri (giornalista serio) in uno sfogo: gli stessi giornalisti in attività vivono così di cattivi esempi producendo un’informazione pigra e sciatta. No, il problema è anche un problema di natura tecnica, di routine e delle tipologie di “confezionamento” con le quali si infiocchettano di solito i fatti.
Non è certo la prima volta che tentiamo maldestramente di denunciare (qua, qua e qua ad esempio) come dietro ad un determinato tipo di informazione, che tendenzialmente ci terrebbe ad essere spacciato per professionale e neutro, si nascondano “piccoli sabotaggi”, omissioni eloquenti, format predigeriti nonché mancate inquadrature che contribuiscono in maniera significativa ad un racconto della realtà estremamente tossico.
Altrettanto maldestramente vorremmo continuare a denudare piccole operazioni, osservate sulla stampa locale, che perpetrate da più parti e reiterate nel quotidiano costituiscono poi la formazione di quel “rumore di fondo” che dipinge ciò che volgarmente chiamiamo “senso comune” del cittadino. Operazioni affatto neutre e “a somma zero” come si potrebbe pensare di primo acchito.
Qualche piccolo esempio:
Agitare per intorpidire le acque.
Il 6 agosto esce sul giornale on-line LaPressa, nella rubrica Parola d’Autore, questo articolo: Criminalità nigeriana e cinese: ecco le mafie emergenti – che sembra voler mettere in guardi la città dall’avanzare di mafie “catalogabili per colore” (Sic!) che, per una città interessata dall’inchiesta Aemilia, è sicuramente un approccio piuttosto originale. Anche l’articolo in sé lo è altrettanto, almeno quanto l’autore; tale Roberto Mirabile, presidente e fondatore dell’associazione “La Caramella Buona”, dietro alla quale, secondo un’inchiesta de L’Espresso (questa) si nasconderebbe la sigla neofascista Lealtà Azione. Per capire a modo di che razza di galassia si stia trattando, per averne le coordinate precise, prendiamo a prestito le parole da questi due pezzi (uno e due) Lealtà e azione, sigla dietro la quale opera il movimento degli Hammerskins, network internazionale ispirato da idee neonaziste nato negli anni Ottanta dopo la scissione con il Ku Klux Klan americano.
Sembra che a Modena, così come in Italia in generale, sia di moda una perniciosa tendenza tanto a minimizzare quanto a sottovalutare profondamente tutti i rigurgiti neofascisti che stanno cominciano a diventare estremamente preoccupanti. Anche un piccolo esempio come quello riportato qua sopra ne è un indizio. Difficile credere che giornalisti navigati come quelli de LaPressa non sapessero effettivamente a chi stessero lasciando spazio. Uno dei principali sintomi di questo sdoganamento nemmeno troppo malcelato è, per l’appunto, il tipo di “trattamento” che questo tipo di galassia riceve dal mondo dell’informazione. A Modena, ad esempio, ha aperto da qualche mese quello che si potrebbe tranquillamente definire un “centro sociale” neofascista, “Terra dei Padri” e lo ha fatto nel silenzio più totale dei media cittadini che si sono degnati di interessarsene, lasciando ampio spazio alle parole di chi lo gestisce (qua un paio di foto in “bella” posa), giusto il giorno dell’apertura. Persino la presenza di un personaggio come Mario Merlino (coinvolto nei processi legati alla strage di Piazza Fontana) non ha scalfito la “cortina fumogena” posta a protezione del circolo. Nonostante le varie denunce non una riga è stata scritta in proposito sulla stampa cittadina. Il neofascismo in città non è un problema degno di menzione a quanto pare. Eppure….
Gettare fango, lordare tutto, anche ciò che è pulito e alla luce del sole.
La settimana scorsa, la città ha visto un paio di mobilitazioni (qua e qua) del Collettivo Modena Refugee’s sotto la Prefettura. La copertura da parte della stampa cittadina non solo si è rivelata pessima ma ha evidenziato anche una certa tendenza a capovolgere la realtà gettando tonnellate di fango gratuito su persone in difficoltà. Si potrebbe tranquillamente affermare di essere di fronte a vere e proprie fake-news. Ad esempio, questo titolo della Gazzetta di Modena è avvelenato oltreché falso.
Sporca, strizza l’occhio ai sospetti di un lettore già diffidente verso una categoria di soggetti (profughi-richiedenti asilo) che non ha sicuramente bisogno di ulteriori stigmi. Racchiudere in un titolo “donne in camera” e “foglio di via” è sicuramente una tecnica efficace per “taggare” la notizia all’interno di uno schema di delinquenza “banale”, di “degrado” come va tanto di moda nelle redazioni di questi spacciatori d’odio a basso costo, spoliticizzandola quasi completamente. Che le “donne” in realtà fossero la ragazza (singola) del richiedente asilo poco importa così come poco importa che lo stesso non abbia ricevuto alcun foglio di via bensì la cacciata dalla struttura che lo accoglieva magari come ripicca/monito per il suo protagonismo nelle lotte del collettivo Modena Refugee’s. Il Resto del Carlino e ModenaToday riusciranno a fare addirittura peggio alludendo nemmeno troppo velatamente ad un affare di prostituzione.
Ma vediamo cosa scrive Modena Refugee’s in proposito: “Abbiamo già avuto modo di vedere come le istanze della nostra lotta vengano travisate ma quanto scritto in questi giorni supera ogni nostra aspettativa sulla bassa qualità che il giornalismo può raggiungere. Partiamo dall’allontanamento di un nostro compagno dall’appartamento gestito dalla cooperativa L’angolo: Questa uscita dal progetto è motivata dalla presunta violazione del regolamento interno alla cooperativa, che vieta di ospitare persone esterne al progetto di accoglienza negli appartamenti gestiti dalla stessa. Potremmo discutere di questa regola infantilizzante, ma il punto è che si tratta di un’accusa falsa: come abbiamo già avuto modo di spiegare, la presenza momentanea e diurna della ragazza nell’appartamento era dovuta all’impossibilità del nostro compagno di camminare a causa di un infortunio, ed era stata comunicata ad un’operatrice della cooperativa. Ci domandiamo da quale fonte derivino le notizie che leggiamo, essendo stati noi oltretutto ad invitare i giornalisti al nostro presidio. Non si tratta quindi del rifiuto della “richiesta di asilo” come scrive il Resto del Carlino ne tanto meno di un “foglio di via” come appare scritto su Gazzetta di Modena e ModenaToday, piuttosto di una fuoriuscita dalla struttura. Sui motivi della violazione del regolamento della cooperativa leggiamo di tutto: da un generico “porta donne” fino alla ” “gestione” di alcune donne in un appartamento della città” comparso sul Resto del Carlino che pare alludere nemmeno velatamente agli estremi per l’esistenza di reato di sfruttamento della prostituzione passando per i toni ironici (ci domandiamo per chi) della definizione del nostro compagno come individuo “evidentemente capace di fare presa sull’universo femminile”.”
Stigmi su stigmi su stigmi, giusto per ricondurre l’evento nel format tematico predigerito più compatibile ai gestori dell’“accoglienza” cittadina: questura, cooperative e amministrazione.

Uno dei tanti spot al “Daspo” cittadino di Minniti che l’amministrazione comunale di Modena ha subito fatto proprio.
Si possono scrivere tutti gli editoriali che si vuole sgocciolanti tolleranza e antirazzismo ma se le linee dei giornali della città non continueranno a fare altro che ad alimentare razzializzazioni della criminalità, o rabbiose campagne contro la povertà e contro tutto ciò amano così tanto definire “degrado” essi rimarranno un puro e sterile esercizio di stile, più di facciata che di sostanza. Mero pinkwashing, giusto per sciacquarsi la coscienza e levarsi quello strano alone di complicità che si intravede quando ci osserva allo specchio.
Abbiamo una domanda che ci è rimasta in sospeso, in canna, per qualche settimana. Il 20 luglio un attentato incendiario colpisce la sede di Porta Aperta una struttura che si adopera per l’accoglienza dei migranti. Il fatto desta scalpore (anche perché attacchinaggi e “azioni” di formazioni neofasciste in città cominciano a diventare piuttosto frequenti e visibili) e iniziano, fin da subito, ad uscire i primi comunicati di solidarietà da parte delle forze politiche.
Alla pista della destra estrema neofascista fanno pensare i volantini che già in passato avevano attaccato la struttura ma gli inquirenti, stando agli articoli usciti sui giornali, seguirebbero anche la pista di un nomade ubriaco che avrebbe avuto uno screzio durante un mercatino della struttura. Lite non confermata dai gestori del mercatino. Già il giorno seguente i toni si smorzano considerevolmente e l’attentato viene derubricato da tutti media come non collegabile ad una matrice razzista. Sarebbe stato un nomade si legge ovunque e i toni sono quelli del giallo già risolto. Sembra un copione già scritto – è stato il rom, uno zingaro – ma all’appello manca ancora il colpevole. È forse stato trovato il famigerato autore dell’attentato incendiario contro Porte Aperte?
A distanza di settimane, di chi sembrava essere stato individuato come il sicuro autore del gesto non vi è ancora traccia (forse sarà trovato in futuro ma questo di certo non possiamo saperlo) mentre la notizia (di questo abbiamo la certezza) è stata archiviata all’interno di uno schema nel quale il tag tematico del razzismo non rientra più nemmeno di striscio.
Banale delinquenza -> Il solito degrado! -> Il solito immigrato!
E la merda intanto tracima….
Posted on 14 agosto 2017
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