
Premessa. Il mondo dell’informazione italiana è una fogna a cielo aperto. Più che un servizio è ormai veicolo di infezioni e epidemie.
Notizie confezionate a propaganda, dati non dati, clickbait, sensazionalismo, colonnine di destra acchiappa-click, domande bandite e giornalisti che si fanno tranquillamente sostituire dalle veline della polizia, quando va bene. Funziona un po’ così si puntano i riflettori su alcuni aspetti delle questioni e si mantiene nell’ombra tutto il resto, il contesto, ciò che accade, gli ambienti, le ragioni, i rapporti causa-effetto.
Costa poco indignarsi e fingersi spaventati per l’ascesa dell’Afd alle elezioni tedesche mentre sul montare dei neofascismi, in Italia, non si chiude un solo occhio ma entrambi, quando va bene, quando certi fenomeni non li si tenta di sdoganare direttamente fornendo loro una legittimità mediatica normalizzante terribilmente discutibile. Che si dovrebbe rivendicare, nel nome della tolleranza, il diritto a non tollerare gli intolleranti lo affermava uno come Karl Popper, non certo un ardito del popolo, ma sembra che ai cosiddetti liberali “di casa nostra” l’assunto sia dimenticato quando non proprio sconosciuto.
E’ il solito riflesso incondizionato della borghesia nostrana quella che rimurgina livorosa non appena sente sfiorare il proprio privilegio e che sveste celermente proprio i panni “liberali” pur di piazzarsi in pole position alla coda che affolla le scialuppe di salvataggio. L’erba del vicino è sempre la più nera, come se un Salvini che chiacchiera di “risorse”, di “invasione” o di “sostituzione etnica” fosse portatore di discorsi meno nazi di quelli dell’Afd. Guarda caso, ciò che all’estero chiamiamo estrema destra, ultradestra o più specificatamente neofascismo in Italia si declina in altri modi: moderati, centro-destra o tutt’al più militanti/ultras quando proprio si vuole esagerare.
Con ciò non si vuole di certo cartografare le geografie politiche della penisola è solo che il non chiamare le cose col proprio nome, alla lunga, produce effetti indesiderati non di poco conto. Un esempio? Nella settimana appena trascorsa vere e proprie azioni squadriste (la prima contro un presidio di lavoratori SDA a Carpiano, in provincia di Milano, con tanto di coltello e armi contundenti; la seconda a Roma, al Trullo, dove una costola di Forza Nuova ha impedito l’assegnazione di una casa popolare ad una famiglia che ne aveva diritto, secondo uno schema, tra l’altro, che si sta ripetendo frequentemente nella periferia romana) sono state descritte banalmente attraverso il pattern della “guerra tra poveri”, dove l’azione fascista è di fatto occultata e le vicende possono così scadere in quell’indeterminatezza particolare adatta a sfumare ogni possibilità di riscatto. Una visuale deformata dalla maschera neoliberista caratterizzata da una configurazione in grado di dirigere l’attenzione sulle forme meno efficaci a prendere la mira, dove si confondono facilmente vittime e carnefici e nelle quali si banalizza tutto, spacciando il razzismo per buonsenso, il buonsenso per buonismo™, il fascismo per anticonformismo.
Lo si afferma tranquillamente, in tutto questo, stampa e media sono da considerarsi non solamente responsabili ma veri e propri complici delle derive in atto.
Anche in città, a Modena, viviamo in un vero e proprio cono d’ombra informativo con i riflettori perennemente puntati su determinati topic (sicurezza, degrado, immigrazione…) e un’oscurità quasi completa verso altri (lavoro, sviluppo della città, mafie e corruzione, ambiente…) come se la sintesi dei problemi della città potesse essere riassunta solo osservando questi primi e non gli altri. Direttori che invitano i propri redattori ad occuparsi quasi esclusivamente di degrado/insicurezza, a cavalcare, di volta in volta, un panico ingiustificato o gli entusiasmi interessati dell’amministrazione, che evitano codardamente di mettere nella versione on-line del giornale articoli trattanti determinati temi per non inimicarsi troppo il lettore/commentare xenofobo e razzista o ancora, che ostracizzano scientificamente le lotte sociali spesso associandole a fenomeni di microcriminalità ma, soprattutto, che domandano ai propri redattori di non farsi troppe domande, di ignorare il contesto e di evitare di ragionare per più di due righe e mezza, cosa solitamente grata ad ogni regime.
Si sa che il giornalismo è il cane da guardia del potere ma alle volte, in alcuni tempi, sa trasformarsi anche nel suo nano da giardino. Ad esempio, in questi giorni ci stiamo domandando come sia possibile per un giornale locale ignorare per più di una settimana una notizia come quella degli 83 denunciati per una manifestazione sindacale del febbraio scorso in un “contesto” (vedi a fianco e qui) in cui il lavoro si può perdere mentre si è in pausa pranzo quando, al contrario, basta un peto di un qualsiasi comitato “antidegrado” (magari anche solo composto da tre residenti o meno) per far scattare sull’attenti la pressoché totalità della stampa cittadina.
Qualche risposta ce la siamo data, in ogni caso. Dietro alla rappresentazione della realtà proposta dai media non convergono esattamente gli interessi e le esigenze dei cittadini ai quali gioverebbe la ricerca di una vita urbana più degna, più ricca e più vivibile. No. Dietro alla rappresentazione della realtà proposta dai media dispensante i valori dell’ordine, del decoro, della discriminazione, della razzializzazione e di tutti quei filtri che separano la gente perbene da tutto il resto si nascondono, spesso e volentieri, gli interessi di chi vorrebbe valorizzato il patrimonio immobiliare, gli interessi dei costruttori famelici di nuove cubature di cemento, gli interessi economici di società di servizio alla ricerca di nuove iniezioni di liquidità o pronte ad amministrare quelle fette di spazio sottratte al pubblico.
Ed ora arriviamo al punto. Come si allevano a Modena i neofascismi nel cortile sotto casa? Dove non arrivano silenzi e “rumore di fondo” della stampa cittadina arrivano le televisioni a dar man forte. Ad esempio, se a Modena vi è un luogo che sta per essere investito tanto da sostanziosi investimenti quanto da una generale “riqualificazione del quartiere” questo è sicuramente la zona attorno a viale Gramsci. Non a caso, l’area è la stessa entrata già da qualche mese al centro del ciclone mediatico in tema di sicurezza. Articoli quasi quotidiani e un comitato di quartiere (in questo caso vivo e partecipato) attivo dall’estate. Quando le ronde in viale Gramsci cominciano ad essere egemonizzate da Forza Nuova ecco che arrivano le coccole delle televisioni. Rai Uno, Rete 4, La7 si interessano al quartiere. Anche dei volantini al limite della vera e propria delazione che ritraggono foto di automobili di presunti “consumatori di fumo” (ovviamente prontamente pubblicizzati dalla stampa locale) diventano argomento di interesse meritevole dei riflettori televisivi. Prendiamo da qua: ciò che in particolare ha attratto la Rai è la vicenda dei volantini e la battaglia dei residenti per la legalità nel loro quartiere. Al collegamento saranno presenti alcuni membri del comitato locale. Una battaglia che “piace”: il caso è stato ripreso da quotidiani nazionali, da Dagospia, sito di notizie on line curato da D’Agostino e infine La 7 farà presto un collegamento.
Prima di portare altri esempi del “collaborazionismo attivo dei media” alle strategie dell’estrema destra locale però rubiamo qualche parola a Giorgio Agamben in un vecchio testo del 2007 dal titolo: La città e la metropoli.
In Sorvegliare e punire, Michel Foucault ha provato a definire il nuovo ordine disciplinare del potere attraverso la convergenza di di due paradigmi, che fin allora erano rimasti distinti: la lebbra e la peste. Vorrei servirmi di questo schema foucaldiano per precisare la mia descrizione dello spazio urbano della modernità. Il paradigma della lebbra è quello dell’esclusione: si tratta di mettere i lebbrosi fuori della città, di creare una netta divisione fra il fuori e il dentro. L’ideale è qui quello della comunità pura, che costituisce il modello di quello che Foucault chiama il Grand Enfermement. La peste dà luogo a un paradigma completamente diverso. Poiché lo scoppio dell’epidemia rende impossibile escludere gli appestati, si tratterà allora di dividere, sorvegliare e controllare in ogni quartiere ogni strada, in ogni strada ogni casa, e in ogni casa ogni famiglia, i cui membri sono preventivamente registrati. Ogni strada è posta sotto l’autorità di un sindaco, che ne ha la sorveglianza. Nel giorno stabilito, ogni famiglia deve chiudersi nella sua casa, con proibizione di uscirne sotto pena della vita. Circolano soltanto i soldati, i medici e i becchini, a cui è affidato il compito di una sorveglianza e di una registrazione permanente. All’interno della città, le zone sono distinte e articolate secondo l’intensità dell’epidemia, le disinfezioni e le quarantene. Mentre il lebbroso è preso in una pratica di esclusione e di rigetto, l’appestato è incasellato, sorvegliato, controllato e curato attraverso un sistema complesso, in cui le differenziazioni individuali sono effetto di un potere che si moltiplica, si articola e si suddivide. “La lebbra e la sua separazione; la peste e le sue ripartizioni. L’una è marchiata, l’altra, analizzata e suddivisa. Esiliare il lebbroso e arrestare la peste non comportano lo stesso sogno politico. L’uno è quello di una comunità pura, l’altro quello di una società disciplinata. Due maniere di esercitare il potere sugli uomini, di controllare i loro rapporti, di sciogliere i loro pericolosi intrecci”.
I fascismi storici così come i neo-fascismi attuali hanno svolto e svolgono ruoli ben specifici. Sono il braccio armato di chi sta in alto che si scaglia sempre e solo contro le voglie di riscatto di chi sta in basso attraverso meccanismi divisori, lo straniero contro l’italiano, che vanno a minare le fondamenta di ogni possibile unità tra gli sfruttati. Ma i fascismi, di ieri e di oggi, non attecchierebbero mai senza sostanziali camuffamenti e senza una vigorosa spinta da parte dei media. Nonostante i tempi stiano cambiando celermente troppa repulsione suscitano ancora determinate “idee” espresse in maniera chiara e manifesta. Non è un caso se, in città, il covo neofascista Terra dei Padri continui a spacciarsi come semplice “circolo culturale”, animato da “volontari apolitici”, potendo contare su di un bieco disinteresse ormai conclamato della stampa cittadina.
Un’altro nascondiglio molto frequentato da questi figuri sono i “comitati di cittadini esasperati™”. Chiamatevi così, blaterate contro il degrado, fotografate qualche disperato costretto a dormire per strada o altre porcate di questo genere e in men che non si dica attirerete sciami di giornalisti attorno a voi. Poi potrete cominciare a parlare di ius soli, di risorse, di sieg heil ecc. ecc. In un periodo storico nel quale la partecipazione politico-sociale è ridotta ai minimi termini la spinta televisiva non ha solo una funzione di diffusione ma anche partecipativa – se ci sono le televisioni ci vai, partecipi, esci di casa – riteniamo.
Se a Modena le ronde in viale Gramsci hanno acceso gli appetiti delle televisioni nazionali a Carpi non sembra andare troppo meglio. Leggiamo dalla pagina facebook di Carpi Antifascista: Durante la puntata di lunedì 18 settembre, infatti, all’interno del cafè Romeo di Carpi era presente una troupe di Mediaset per intervistare un campionario di cittadini carpigiani, a condizione però che fossero rigorosamente CONTRO lo ius soli (gli altri venivano allontanati). […] Noi che a Carpi ci viviamo, invece, sappiamo qualcosa in più: nell’accozzaglia radunata al cafè Romeo (che ora dovrà prendersi le proprie responsabilità) abbiamo infatti riconosciuto numerosi volti noti delle sigle neofasciste di tutta la provincia; inoltre in prima fila facevano sfoggio della propria intolleranza i promotori e le promotrici del comitato razzista “Carpi Sicura”. Questi viscidi personaggi, oltre ad esser stati gli unici autoctoni presenti alle due recenti manifestazioni di Forza Nuova a Carpi, organizzano settimanalmente ronde collettive in varie zone della nostra città, spesso accompagnati da neofascisti chiamati appositamente da ogni angolo della regione.
Il disciplinamento e il conseguente governo della popolazione con conflitti innescati dentro alla cosiddetta periferia e all’interno degli stessi strati sociali subalterni si modellano anche in questo modo, con accenti che già prefigurano richieste di maggiore polizia e ulteriore repressione.
I luoghi sono importanti, quelli nei quali il potere si autorappresenta o è direttamente identificabile lo sono altrettanto se non di più. Questa settimana un paio di messaggi chiari, diretti e precisi sono stati lanciati anche dal “nostro lato della barricata”.
Il primo, il presidio sotto la sede de “il Messaggero” a Roma da parte della rete territoriale di “Non Una Di Meno” (qua) per contestare la campagna antistupro animata dal quotidiano romano, tutta impostata sui temi securitari, razzisti e del contenimento del fenomeno della violenza maschile attraverso la limitazione della libertà delle donne.
Il secondo, lo striscione di contestazione a Mentana sui muri della sede de La7.
Le complicità vanno mostrate.
“Preferisco vivere con l’odio che vivere con la paura”
Arya Stark
Posted on 1 ottobre 2017
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