Cette ville n’est pas (déjà) fasciste.

Posted on 4 giugno 2018

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Modena, fine aprile 2018, quartiere Sacca.

Sacca

Dal fondo della via, tra la silhouette dei palazzi di via Benedetto Croce, svetta una nuova struttura. Una torretta, mai notata prima. Una specie di ripetitore che, ad occhio e croce, dovrebbe trovarsi proprio là dove si trova la sede operativa della Seta, la società che gestisce il servizio di trasporto pubblico locale. Potrebbe trattarsi di una torretta di trasmissione per il nuovo sistema di monitoraggio degli autobus che girano per la città, quegli stessi che prendono fuoco ogni tre per due. Un sistema di geolocalizzazione satellitare (AVM, Automatic Vehicle Monitoring) che consente di tracciarne in tempo reale il posizionamento, tipo occhio di Sauron (ne ha anche tutto l’aspetto) ma per i bus.

Tecnologia militare per scopi “civili” proprio accanto al CPR di prossima ri-apertura. Suggello. Quale migliore allegoria per la città, nonché perfetta sineddoche del tempo in cui viviamo e delle sue (uniche) politiche dal sapore sempre più bellico. Mentre si consumavano fiati e inchiostro nell’attesa-disattesa poi ri-attesa di un governo a trazione ibrida Lega-5 Stelle le bussole del territorio, della città, indicavano già da tempo una direzione inequivocabile.

Il solco, dopotutto, l’aveva già tracciato nettamente il Pd di Minniti, si trattava dunque semplicemente di leggerlo osservandone i marcatori sul terreno: Jeep di militari a spasso per il centro, controlli antidroga effettuati con i pastori tedeschi tenuti al guinzaglio direttamente tra i banchi di scuola, studenti a lezione dai carabinieri trasformati per l’occasione in educatori [sigh!] “allo scopo di valorizzarne la funzione sociale, spazi cittadini riempiti di divise per manifestazioni che solitamente si svolgevano all’interno delle mura dell’Accademia o nelle immediate vicinanze, digossini che si moltiplicano di settimana in settimana (in barba a ogni spending review), elicotteri che aleggiano sulla città in ceca di qualche grammo d’erba, telecamere in ogni dove e convegni in Università su “Sicurezza urbana” e “Modelli organizzativi di polizia e chi più ne ha più ne metta.

Una città prussianizzata la cui “riconversione” lontana dall’incontrare i caratteri verdi dell’ecologia si avvicinava piuttosto e ad un ritmo sempre più sostenuto, a quelli autoritari e militareschi sui quali poi si andranno ad “impastare” quelle retoriche neonazionaliste tanto comuni sia al blocco populista che al polo dei cosiddetti “democratici”.

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Ma come funziona esattamente questo monologo corale all’apparenza in antitesi? Abbiamo, da un lato, dispositivi che si nutrono e somministrano prevalentemente disciplina e obbedienza, che non conoscono la solidarietà e servono l’unico vero padre/padrone di questi tempi: il mercato e la sua grammatica generativa. Dall’altro un discorso pubblico piegato (ma sarebbe dire genuflesso) alle uniche parole d’ordine ascoltabili in siffatto contesto: Sicurezza! Sicurezza! Sicurezza!

Secondo il premio Pulitzer, Chris Hedges: «i movimenti fascisti costruiscono il loro fondamento non sulla base degli attivisti, ma di coloro che sono politicamente inattivi, i “perdenti”, che percepiscono, spesso in modo corretto, di non avere alcuna voce in capitolo nel mondo politico.»

«Lasciamoli lavorare.» «È ora che si cominci a far qualcosa per gli italiani.» In un abisso pelagico di questo tipo la logica risulta totalmente priva di senso; ogni discorsività si infrange infatti su scogli semantici ben definiti. Non serve a nulla convincere ma sedurre e riportare tutta l’acqua della rabbia sociale al mulino del padrone.

Un piccolo esempio? Torniamo un secondo al trasporto pubblico locale e sui bus che in città prendono fuoco frequentemente (cinque in un mese). Se c’è un “discorso cittadino” su tale argomento questo prende inevitabilmente il selciato delle telecamere, dei tornelli e della lotta ai “portoghesi” piuttosto che di un ragionamento complessivo sul trasporto pubblico locale: su orari, tariffe, sugli scopi e sull’efficacia del servizio, sulla privatizzazione e sui costi sociali ed economici che determinate scelte hanno comportato. Basta puntare il dito su qualche su qualche biglietto non pagato o su qualche lite con il conducente (possibilmente con qualche straniero protagonista) che la tensione transita direttamente dal servizio (potere/istituzione) agli utenti (corpo sociale), alla loro pericolosità, alla loro indisciplina. Potere della seduzione, o meglio, seduzione del potere.  Sì certo, gli autobus prendono fuoco, ma anche i passeggeri signora mia..

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Uno schema che possiamo replicare efficacemente ad ogni contesto: dalla sanità, “curiamo troppi stranieri! Troppi poveri! Non possiamo più permettercelo!“, alla scuola (ricordate il recente allarme bullismo?), agli asili nido fino a quel frame acchiappatutto del “prima gli italiani™” dietro al quale si nasconde una gerarchizzazione della società in via di progressiva acutizzazione. Non solo, si scaricano, al contempo, sul soggetto sociale più debole tutte le mancanze di servizi in via di dismissione. Allo Stato che si “ritira” e che perde quell’aura di moralità che nasceva dall’erogazione dei servizi pubblici se ne sostituisce un altro che brandisce unicamente le armi del disciplinamento e dell’imposizione. Se qualcosa non quadra dunque, basta mettersi sull’attenti e difendere la “ditta” in una sorta di “ontologia imprenditoriale” – come direbbe Mark Fisher –  “per la quale è semplicemente ovvio che tutto, dalla salute all’educazione, andrebbe gestito come un’azienda.” Costi quel che costi.

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Così, per “difendere” l’azienda, in quel di Modena, si arriva perfino a puntare la pistola contro chi denuncia – lottando – malaffare e sfruttamento. Il tutto sotto gli occhi disinteressati della digos e in una città che si riempie la bocca della parola “legalità” ogni tre per due. Eppure si fa quasi fatica a scriverlo, l’accaduto, un po’ come fosse una non notizia (minacce a mano armata verso sindacalisti e lavoratori del SiCobas) mentre, episodi dove le pistole sono giocattolo si ingigantiscono all’inverosimile e campeggiano sulle prime pagine di quegli stessi giornali per diverso tempo solo ed esclusivamente perché i protagonisti sono immigrati. (Vero Grazioli?)

Le responsabilità del mondo dell’informazione per questo presente fatto di nazisti senza svastica, d’altro canto, sono inimmaginabili. Nemmeno i fatti di sangue riescono più ad essere decifrati correttamente – fatti che hanno scandito: campagna elettorale (Macerata 3 febbraio), voto (Firenze 5 marzo) e l’insediamento del nuovo governo (San Calogero 2 giugno) – perché, un certo ordine del discorso, ha colonizzato così profondamente il nostro immaginario tanto da rendere invisibili persino le gabbie cognitive che ci circondano. Un po’ come recitava un famoso slogan pubblicitario di qualche anno fa “È tutto intorno a te.

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L’Italia del 2018, osservata da un’angolazione appena più ampia nel tempo e nello spazio e ascoltato attentamente il discorso pubblico che la riveste, non appare troppo diversa da quel Brasile di fine ‘800 nel quale si credeva che “sbiancando” (branqueamento) la popolazione il paese si sarebbe modernizzato e sarebbe pure cresciuto economicamente. Come se deportare migliaia di persone, o promettere di farlo, ti aiutasse a pagare il mutuo o ad arrivare a fine mese. Come se la “Soluzione Finale” al problema immigrazione architettata da Minniti nei campi di concentramento libici (leggi qua se il richiamo ti sembra troppo forte) fosse necessaria alla piena realizzazione dei tuoi desideri, dei tuoi affetti.

Si trattasse unicamente della nuova maschera (terribile) indossata dal potere saremmo pure in grado di farcene una ragione, tutto passa, ma, a ben guardare, anche da un piccolo e provinciale osservatorio come quello di Modena la sensazione è quella di un disciplinamento che si è già fatto “pedagogico”. Di un laboratorio del controllo sociale che penetra e contamina già efficacemente i bacini dell’istruzione, della cultura o anche solo il semplice svago.

E questo, forse, è qualcosa di più di una semplice maschera, di un semplice volto

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