
È l’orologio fascista che impone un solo tempo, il suo Tempo, senza possibilità di discussione e a esclusione di tutti gli altri tempi possibili. Questa violenza fascista si esprime tanto a livello dei tempi di vita, quanto a livello dei tempi di pensiero, di riflessione, di creatività e di ricerca (e dei possibili intrecci). Il grande orologio fascista produce costantemente spazzatura, ergendosi sulla spazzatura che produce, e nelle sue discariche temporali possono finire contemporaneamente la forma di vita di una tribù amazzonica o di un quartiere popolare, e quei percorsi di ricerca che provano a inquadrare il presente per strapparlo alle sue pretese “evidenze”, a sospendere l’evidenza del tempo unico e omogeneo. (Da Abicì antifascista)
Così, finalmente, dopo lo zelo degli sfollagente, delle denunce, dei peti sui giornali, del disimpegno e delle divise in ogni dove, la città che sognava di sterilizzarsi da tutti i germi del dissenso si è risvegliata sterile.
Poche cose crescono ancora a Modena, tra tutte regnano sovrane l’ipocrisia, il silenzio e il vuoto a rendere quello che riempie tanto gli innumerevoli edifici inutilizzati della città quanto quello che si nasconde dietro alle sue luccicanti “riqualificazioni”.
Può procedere solo ed esclusivamente così il sacco della città, la sua frenesia cementizia, con progetti su progetti che servo solo ed esclusivamente i progetti stessi, slegati totalmente dai bisogni della città (ovunque nuovi appartamenti anche se un’abitazione su cinque è vuota a Modena) e nei quali il cittadino non è che una variabile accessoria, un contorno, nulla di più delle silhouettes che si intravedono nei rendering di presentazione.
Non hanno mai badato né ascoltato la città ma ne progettavano almeno due – una Modena da 230mila abitanti fantasticava il piano Sitta (ex assessore all’urbanistica) – un universo parallelo fatto di cemento impastato alla finanza coi soldi dei cittadini come raccontava Modena³, un documentario inchiesta del lontano 2011. Per avanzare, il sacco di Modena si doveva però procedere anestetizzando il più possibile il corpo sociale, oliare a modo la grande macchina di fabbricazione del consenso e mettere a tacere ogni critica e ogni manifestazione di dissenso.
Mission Accomplished. A colpi di “ripristinare la legalità” e di un “decoro” sempre più idealizzato e irrealistico molto più simile a un igienismo sociale del portafoglio o a un’eugenetica del marciapiede, anche la città ufficiale, quella che si identifica ancora tra un Arci e una polisportiva ha cominciato piano piano a perdere smalto e iniziativa, critica e creatività si sono affievolite così come la capacità di organizzarsi e di utilizzare gli spazi urbani con intelligenza. Così mentre in città, nel silenzio più generale di media e istituzioni aprivano covi come Terra dei Padri, e l’Italia dei Minniti e dei Gabrielli cominciava l’opera ora in mano a Matteo Salvini, la sterilizzazione del dissenso si portava via anche gli anticorpi necessari alla propria riproduzione.
Non facciamo alcuna diagnosi, non ci compete né ci interessa, però vorremmo qua elencare, da semplici osservatori quali siamo, alcuni sintomi che abbiamo avuto modo di “raccogliere” in questi ultimi giorni e che hanno tutti a che fare con quel feticcio della «legalità» dietro al quale si sta nascondendo l’eutanasia di una democrazia.
12 giugno 2018, Modena scende in piazza contro la chiusura dei porti da parte del governo. La mobilitazione, ben partecipata (più di 200 persone che non sono poche per la città), è chiamata dal Tam Tam di Pace, dunque Arci, dunque un soggetto decisamente “istituzionale”, la città “ufficiale”. Ci sta pure l’ex senatrice Maria Cecilia Guerra – quella stessa che in Senato poco tempo prima approvava la Minniti-Orlando, la legge per la riapertura dei Cpr, del “diritto etnico” e dei Daspo urbani e che non si sente per nulla in contraddizione col contesto – anzi, chiacchiera come se nulla fosse con Paolo Trande. La passeggiata che si sarebbe dovuta effettuare però non si tiene per ordine della questura. La Digos vieta attraverso pretestuosi motivi di “ordine pubblico” di far procedere la manifestazione (forse unico caso in Italia in quella giornata) e la Modena “ufficiale” si adegua al diktat poliziesco senza porsi altre domande. L’unico dato politico della giornata non viene nemmeno colto. E uno….
Tutti a Modena conoscono i Mondiali Antirazzisti che si svolgono a Bosco Albergati. È una manifestazione storica e semi “istituzionale” – la prima edizione si svolse a Montefiorino nel ’97, poi Montecchio (RE) dal ’00, Casalecchio di Reno (BO) dal ’07 prima di approdare infine a Bosco Albergati nel 2011.
In pochi si sono accorti però che quest’anno qualche bastone tra le ruote è stato infilato nella macchina dell’organizzazione. Shhh. Silenzio. Piano piano, sottovoce, come piace a noi. Sia mai che qualcuno provi a porsi due due domande circa i significati espliciti di certe “sequenze scoordinate di fatterelli quotidiani, a volte insipidi a volte irritanti, con rari picchi di accelerazione e di intensità.” (Da qua)
La buona notizia dunque “è che anche quest’anno i Mondiali Antirazzisti si faranno. E non contato.” E due….
Capita invece che in città venga annullato così su due piedi e a due giorni dall’evento l’ottava edizione del Buskers Festival al parco Amendola. È la prima vittima in città della famigerata “Circolare Gabrielli” che rende di fatto insostenibili i costi di gestione per le iniziative portate avanti dalle piccole associazioni che si fondano sul volontariato. I problemi che poteva creare questa direttiva erano tutti arcinoti, peccato però che dietro ad una logica, in apparenza semplice, come quella di questa circolare che si instaura sulla solita retorica della sempreverde «sicurezza» (quale poi verrebbe da chiedersi) si mimetizzi la volontà tutta politica di tagliare le gambe a chiunque non abbia alle spalle soggetti istituzionali o sponsor di peso. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Notti bianche e notti gialle, nessun problema, tutti in giro con la stessa maglietta colorata ed è ok, ma qualcosa di diverso – alternativo – potrebbe avere più problemi soprattutto se autorganizzato. Per tagliare con l’accetta: bisogna omogeneizzare anche l’offerta di tempo libero come nei sabati del Ventennio. E tre….
Di diverso tenore ma altrettanto significativo è indubbiamente il “daspo dalla polisportiva” andato in scena ieri sera, alla Gino Nasi, nei confronti dei partecipanti a un’assemblea del Comitato #Mobastacemento. Se dalle restrizioni contenute nella “circolare Gabrielli” si scende giù, giù fino ai pignoli dinieghi per usufruire degli spazi di una polisportiva si capisce che sta diventando quasi impossibile organizzare un’iniziativa pubblica senza avere un qualche soggetto istituzionale o economico alle spalle. E la «legalità» nella Modena del 2018 è spesso solo ed esclusivamente questa. E quattro….
Però anche una piccola parte di città cominciava a comprendere che, tra uno sgombero e una manganellata, qualche cosa lo si stava perdendo per davvero, che certe idee, certi progetti e certe reti di relazioni forse erano buoni per davvero, andavano soltanto un po’ epurati di quei conflitti che ne erano il motore principale. Tolto così il conflitto e levata la critica rimaneva giusto la sussidiarità teleguidata ed è ciò che sta accadendo un po’ a Modena negli ultimi tempi dove, alla pre-vigilia delle elezioni, cominciano a sorgere spazi-sociali legati direttamente e a doppio filo all’Amministrazione comunale, nei quali si portano avanti discorsi di “riattivazione degli immobili pubblici”, di promozione di “rigenerazione urbana” o di “imprenditorialità civica”.
C’è tutta una parte di città in movimento e che “vibra” sotto lo stimolo delle prossime amministrative ma la sensazione rimane quella di una centrifugazione disarmonica che tende a riprodurre costantemente gli stessi scarti e che in sostanza porta acqua esclusivamente al mulino del binomio reazione/conservazione che a Modena, ma non solo, rappresenta quasi una sorta di partito unico.
Con un Pd che è quasi un contenitore vuoto gli spazi da riempire in città diventano praterie politiche, così non è un caso intercettare il direttore di un giornale cittadino – come ci riportano – parlare di “interesse” verso “Potere al Popolo” subito dopo aver specificato di non voler essere “identificato” unicamente come il direttore della Gazzetta, quasi a voler prendere le distanze da un giornale da lui diretto che in questi anni si è contraddistinto per una qualità, stile Carlino, tutta concentrata in allarmi su “degrado” e “insicurezza” quanto “disattenta” su tutto il resto.
E che ci siano le elezioni all’orizzonte lo testimoniava pure un Muzzarelli che, solo soletto – ma scortato da due volanti della municipale a debita distanza – sabato scorso, al parco XX aprile, si faceva vedere in una sorta di “passeggiata” acchiappavoti tra selfie e strette di mano nel quartiere che, in città, è spesso solo ed esclusivamente sinonimo di “degrado” e “insicurezza”. Una sfilata che avveniva in contemporanea a un’importante assemblea pubblica che sempre in quel parco si stava svolgendo.
Sotto l’occhio vigile e discreto delle telecamere della Digos infatti, chiamata dal Coordinamento Migranti Bologna e ASAHI Modena, c’era l’assemblea preparatoria per la manifestazione regionale contro l’imminente ri-apertura del Cpr che si terrà questo sabato a Modena.
Perché in questa città, in fin dei conti, il Pd ha chiuso i cinema e riaperto il lager.
Posted on 4 luglio 2018
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