
Eravamo rimasti là, nella sala civica di via Viterbo 80, lunedì 22 gennaio. Sì certo, c’era stato pure il concerto dei Lomas all’Off, proprio quel fine settimana, sempre organizzato dal comitato #mobastacemento, ma diciamo che l’appuntamento più significativo era stato il confronto/scontro con l’Amministrazione cittadina circa il famigerato progetto di costruzione delle nuove palazzine in zona Vaciglio.
Dopo qualche mese passato a “tenere le braci accese” ora sembra che cominci un nuovo capitolo della vicenda. A riaprire le danze, ai primi di marzo, erano stati direttamente i costruttori, con l’onnipresente Cmb che per bocca di un suo consigliere delegato, Roberto Davoli, dettava i tempi per cominciare la cementificazione. Primavera, si parte col blocco dell’housing sociale poi frecciatina in puro stile muzzarelliano a chi si oppone a queste nuove costruzioni su suolo vergine. “«E comunque, anche quelli che vanno in bici una casa ce l’hanno.» Stessa arroganza, stesse argomentazioni, sintomo di un confine tra istituzioni amministrative e istituzioni imprenditoriali sempre più labile e poroso nel quale, queste prime, si sono di fatto lasciate fagocitare interamente dalle seconde. Logiche di impresa come unica bussola possibile e colonizzazione culturale. Indistinguibili nei fatti, nei modi, per mire e traguardi, intercambiabili.
E così questa domenica, 22 aprile (data che celebra anche la Liberazione della città) il comitato #mobastacemento torna in piazza per una passeggiata di protesta, per “riaffermare la speranza e la volontà che un enorme spazio verde non venga trasformato in una colata di cemento e traffico“.
“Quale migliore occasione dell’anniversario della Liberazione di Modena per uscire nuovamente all’aria aperta?” ci si domanda sulla pagina di lancio della giornata. “Anche noi resistiamo, a modo nostro, contro un’idea di “città” che sembra essersi arrestata a 30 e più anni fa. Una città dove alla salute e ai bisogni dei cittadini vengono anteposti gli interessi di costruttori e associazioni di categoria, ancora inseguendo l’anacronistica visione di uno sviluppo a spese dell’ambiente, dove la consapevolezza ormai prevalente dei limiti dell’azione umana sul territorio si scontra con promesse elettorali fatte in passato alle quali si vuole tener fede ad ogni costo“.
Proviamo a sussurrarlo sommessamente, quell’immagine rassicurante e non priva di una buona dose d’inganno, del “buongoverno modenese”, del “modello emiliano”, avamposto di conciliazione tra necessità capitaliste e idee progressiste giace oggi distesa sul pavimento, completamente in frantumi. Impossibile incollarne i cocci per ricomporla efficacemente. Anche un ottimo giocatore seduto al tavolo della politica come Muzzarelli questo lo sa perfettamente, l’importante è “fare buon viso a cattivo gioco” ed è così che va letta la nuova nomina di Alessandra Filippi (proveniente da Legambiente) all’assessorato con deleghe: Ambiente e Mobilità sostenibile.
Ci sono da giocare le ultime mani, prima delle amministrative del 2019 che si preannunciano difficili e occorre cominciare a calare i cosiddetti assi che il primo cittadino modenese teneva, da buon giocatore, nella manica. Questo è il primo, e non sarà di certo l’ultimo. Le sorprese non mancheranno prossimamente anche se la “battaglia” principale verrà spostata artificialmente verso quel campo che, nella governance neoliberale, mette d’accordo tutti, livellando le posizioni di maggioranza e opposizione che su questa indossano tutti la stessa uniforme a tinta scura: sicurezza l’unica delega che il sindaco si è trattenuto per sé. In una società che sottotraccia si fa sempre più gerarchizzata, razzializzata e etnicizzata, dove lo spazio pubblico diventa una merce come tutte le altre, pronta ad essere venduta sul mercato politico al miglior offerente questo è l’unico investimento consentito. Forse è la definizione del Kitsch di Milan Kundera quella che riassume al meglio le caratteristiche di questa città:
“Un mondo dove la merda è negata e dove tutti si comportano come se non esistesse”
( – Piccola parentesi. A Modena non “ci rubbano” solo “il lavoro” ma anche le mafie, “le nostre mafie” (testuali parole). Con l’inchiesta Aemilia è già tutto finito, terminato, ora ci sta la mafia nigeriana a gestire il territorio. “La piovra nera”. Sia mai che si indaghi troppo tra ricostruzioni post terremoto, risate e cemento depotenziato. Meglio etnicizzare anche il sistema che infrastruttura la governance locale tanto per sviare un po’ l’attenzione. A parlare, in prima pagina sul Resto del Carlino di oggi, è Roberto Mirabile, presidente e fondatore dell’associazione “La Caramella Buona”, dietro alla quale, secondo un’inchiesta de L’Espresso (questa) si nasconderebbe la sigla neofascista Lealtà Azione. Lealtà e Azione, in prima pagina, nazisti e fake news. L’avevamo già intravisto qua, in un articolo sulle dinamiche e sulla qualità della stampa modenese. Chiusa parentesi – )
È un processo molto profondo quello che sta riconfigurando le nostre città, le nostre aree metropolitane e i nostri assetti territoriali. Certo, ogni territorio ha le sue specificità ma la città neoliberista presenta caratteri comuni che si riscoprono anche a livello internazionale. Accanto a noi, a Bologna, comitati tipo #mobastacemento e reti affini lottano contro le stesse problematiche, contro la stessa gestione del territorio, contro le stesse pianificazioni e, in definitiva, contro un modello di sviluppo che ha prosciugato definitivamente ogni goccia di utilità per servire unicamente il credo del profitto e della distruzione.
Rifiuti e macerie come l’osso gettato al cane, sono i nostri stessi avanzi quelli che ci attendono, quelli che ci spettano.
Accanto a noi, in una dimensione un po’ più grande, in Francia, si lotta per cause identiche. Là si parla di convergence des luttes, di convergenza delle lotte, che in quanto a “presenza” e movimento sembra non si riducano affatto al solo scopo dichiarato sulla carta. A fine gennaio avevamo già cercato di tracciare un parallelo verso una grande battaglia sia ambientale che sociale che allora si andava concludendo con una vittoria del movimento e col funerale del progetto dell’aeroporto di Notre Dame des Landes. In questi giorni, nei quali è andata in scena la vendetta militare dello Stato contro quel movimento, con immagini che assomigliano più ai prodromi di una guerra civile (tipo piazza Maidan nell’Ucraina del 2013) che a quelle che erroneamente continuiamo ad associare in automatico sotto la cartella “democrazia occidentale”, proviamo a proporre una breve traduzione di un articolo nel quale un comitato che si occupa di lottare contro le pratiche abusive della grande distribuzione e a difesa di commercianti e artigiani si schiera apertamente a difesa di quei “terroristi” e “blackblocche” degli zadisti.
ZAD vs grande distribuzione: uno “Stato di Diritto” a geometria variabile.
Negli ultimi dieci giorni, lo Stato francese sta moltiplicando mezzi e formule semantiche per evacuare i cittadini francesi che vivono nella ZAD di Notre-Dame-des-Landes. Motivo principale martellato su tutti gli schermi: gli zadisti occuperebbero i terreni senza alcuna autorizzazione. Al tempo stesso, uno studio rivela come numerosi ipermercati si siano accaparrati illegalmente di terre agricole negli ultimi 20 anni al punto da dovere teoricamente svariate decine di miliardi di euro allo Stato. Eppure nessuna di queste imprese e multinazionali è mai stata indagata in virtù dell’illegalità della loro situazione. Una sproporzione che lascia parecchi pensieri sulla nozione a interpretazione variabile di “Stato di Diritto” in bocca alla politica.
L’informazione non ha fatto molto rumore: Martine Donnette, membro dell’associazione di piccoli commercianti En toute franchise che si occupa di lottare contro le pratiche abusive degli ipermercati a difesa di commercianti e artigiani, ha stimato che nel 2017 i supermercati dovevano all’incirca 418 miliardi di euro allo Stato francese per le loro irregolarità nei piani di implementazione e di estensione e questo solo per la regione PACA.
Il problema, secondo l’inchiesta dell’associazione? Non solo i supermercati s’impiantano regolarmente sopra aree per le quali non avevano ricevuto alcun accordo con le autorità (il più delle volte realizzando ipermercati su superfici più grandi di quelle coperte dall’autorizzazione iniziale), ma soffocano pure le imprese locali dei centri urbani che subiscono una concorrenza a cui difficilmente si è in grado di resistere.
In assenza di intervento da parte dello Stato in favore di questi ultimi, e semplicemente per far rispettare la legge, il fenomeno contribuisce ad una devitalizzazione delle città osservata in tutta la Francia, che sta uccidendo anche l’occupazione locale. Il comportamento degli ipermercati non è qui giustificato per nessun’altra ragione se non quella di aumentare i loro profitti e di controllare il mercato schiacciando ogni forma di concorrenza.
Un anno dopo l’allerta lanciata da Martine Donnette e En tout franchise, risulta sorprendente come il governo francese sia più incline a concentrare tutta l’attenzione pubblica su alcune persone che si trovano a Notre-Dame-des-Landes piuttosto che iniziare un braccio di ferro con i proprietari della grande distribuzione nonostante i miliardi di euro sottratti alla collettività. Un paragone azzardato? In entrambi i casi si tratta di situazioni in cui i protagonisti sono accusati di utilizzare terre e spazi senza avere la piena autorizzazione.
Per quanto riguarda la ZAD, sono state inviate circa 2.500 forze di polizia, nel bel mezzo di un procedimento giudiziario in corso avviato dai contadini per recuperare la terra, che hanno agito in maniera brutale, distruggendo luoghi di vita e di cultura, schierando armi e veicoli blindati che hanno prodotto molti feriti non solo tra i manifestanti ma anche tra le file dei giornalisti. E questo nonostante il fatto che gli zadisti trasmettano un messaggio collettivo e difendano alternative a un modello di sviluppo economico e sociale che non è più ecologicamente sostenibile. Nel secondo caso, quello della grande distribuzione toccata dall’inchiesta, di vaste aree naturali cementificate ben oltre i limiti autorizzati per far spazio a poli di consumo con in vendita oggetti prefabbricati derivanti dalla globalizzazione. In questo secondo caso, sebbene l’associazione abbia avviato tutti i procedimenti legali di sorta, il governo è rimasto particolarmente assente su questo fascicolo.
Ciò che alcune persone sarebbero tentate di descrivere come “due pesi e due misure”, come un “doppio standard” ideologico segna la linea politica economico-centrica seguita indistintamente dai governi che si succedono, che attaccano più facilmente piccoli progetti collettivi e di cittadini, con mezzi straordinari, piuttosto che le grandi imprese percepite come intoccabili, sotto la motivazione che, queste seconde, si sviluppano in una logica di crescita. La nozione di Stato di Diritto, così cara a Emmanuel Macron e Édouard Philippe quando si tratta di accusare pubblicamente coloro che cercano di costruire il Domani, sembra decisamente molto malleabile.
Ricordiamo, a fini utili, la definizione di “Stato di Diritto”: «Uno “Stato di Diritto” (“Rule of Law” in inglese) è un sistema istituzionale in cui l’autorità pubblica è soggetta alla legge.» Vale a dire che il governo stesso, presidente e ministri inclusi, così come la multinazionale VINCI che è all’origine delle richieste d’espulsione per gli zadisti, non possono essere al di sopra della legge. A tal fine, un gruppo di avvocati aveva inviato una lettera aperta a Edouard Philippe intitolata «Osservazioni sull’illegalità dello sfratto degli abitanti dello” ZAD “di Notre-Dame-des-Landes» a fine marzo. Un gruppo sostenuto dall’associazione Droit au logement, dal sindacato della magistratura e dal sindacato degli avvocati di Francia. Secondo loro, la ZAD di Notre-Dame-des-Landes non poteva essere sgomberata. A questi reagirà direttamente il Ministero degli Interni, il 2 aprile, tramite i media, in questi termini: «Non ci lanceremo in un dibattito giuridico.» Senza commento.
Un tipo di panorama che, con le dovute differenze e le dovute proporzioni, ci racconta anche di una realtà piccola come la nostra, di una città nella quale la riarticolazione gerarchica degli spazi e dei rapporti sociali ha ricominciato a premere prepotentemente sull’acceleratore, con leve di comando, sia del tessuto produttivo che della gestione e della pianificazione dello spazio urbano nel suo insieme, sempre più dispotiche.
La domanda dunque, in vista della mobilitazione di domenica, rimane quella che ci ponevamo mesi fa, circa gli anticorpi residuali che una città come Modena è ancora in grado di disporre e di produrre prima di cedere definitivamente il passo alla sua rovina. Una rovina sia ambientale che sociale perché le due dimensioni si muovono e deperiscono in parallelo. Occorre cominciare a percepire la città come il nostro habitat e la politica come una sorta di ecologia perché l’aria irrespirabile, la malavita, un modello di sviluppo insostenibile e fondato sostanzialmente sulla predazione fanno parte di uno stesso discorso.
“Non difendiamo la natura, siamo la natura che si difende.”
Una domanda a cui, temiamo, non si risponderà affatto questa domenica, ma nei giorni e nei mesi immediatamente successivi…
Giù, le mani, da Vaciglio. Giù, le mani, da Vaciglio. Giù, le mani, da Vaciglio…
Posted on 21 aprile 2018
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