La Cgil a Modena fa campagne ma il sindacato è un’altra cosa.

Posted on 27 luglio 2018

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Che le cose non procedessero assolutamente per il verso giusto l’avevamo già notato un po’ di tempo fa.

Flashback

Piazza Grande e maròPiazza Grande. Festa dei lavoratori. Doveva essere all’incirca il 2012. L’orazione, che non ascolta quasi nessuno, viene pronunciata sotto il megamanifesto che si affaccia dal balcone del Comune da qualche tempo. È la gigantografia di due fucilieri di marina (Marò) con tanto di logo comunale con sotto la scritta “riportiamo a casa i nostri marò“. Le parole d’ordine del Primo maggio di quell’anno (governo Monti) erano “lavoro e crescita per uscire dalla crisi”, lavoro e crescita e un discorso a elettroencefalogramma piatto che sarebbe andato bene tanto sulla bocca di un padrone quanto su quella di un lavoratore. Lavoro e crescita e parole pronunciate proprio sotto la gigantografia di due “presunti” assassini di  lavoratori. Lavoro e crescita decantati in una liturgia esausta che vendeva agli elettori/telespettatori l’oppressione in forma di scienza facendo leva sull’idea, tradizionalmente accettata, di sapere come spazio neutro – non esisteva più il padrone ma c’erano le imprese trattate come “beni comuni” a cui risparmiare ogni critica e una legalità decantata come un faro ma solo ed esclusivamente come fenomeno etereo da non calare mai tra le meccaniche di sfruttamento e produzione aziendale. Nessun accenno alla crescente militarizzazione, all’aumento delle spese militari o all’intervento bellico in Libia come se la guerra non fosse da sempre estranea e opposta agli interessi dei lavoratori. Nessun imbarazzo, nessuna contraddizione e l’alfabeto politico che non arrivava nemmeno alle prime lettere A,B,C.

Che le sorti della Cgil, il più grande sindacato italiano, fossero inesorabilmente legate al fallimento del Pd non è un mistero per nessuno. Come queste però si intrecciassero con le faccende del territorio, con le sue eccellenze, con i suoi distretti produttivi, con i centri di potere o con le stratificazioni di classe e di “razza” e come si interconnettessero con i desideri e l’immaginario della working class locale, questo era tutto un altro paio di maniche.

Ma partiamo proprio da queste ore. Dal fallimento.

Castelfrigo

La Cgil ci aveva puntato molto. Era una battaglia dalla doppia importanza e l’aveva sia sul piano simbolico (a ridosso delle elezioni e in un comparto come quello della lavorazione delle carni che aveva visto fino ad allora il protagonismo di altri sindacati) sia su quello dannatamente materiale. Parliamo ovviamente della vertenza alla Castelfrigo, un caso di quelli che avrebbero “fatto scuola” anche a livello nazionale.

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Le dinamiche della vicenda Castelfrigo sono quelle tipiche del distretto della macellazione più importante d’Europa (quello di Modena) in una regione (l’Emilia Romagna) che vanta la più alta infiltrazione di mafie nel tessuto economico e produttivo.

Quando parliamo di questo territorio – l’angolo di provincia compreso tra Castelnuovo, Castelvetro, Spilamberto, Vignola – stiamo parlando di un pezzo importante del Pil italiano, circa tre miliardi di euro, realizzati da 179 aziende, 5000 addetti, con 8 milioni di quintali all’anno di carni fresche lavorate e salumi: una macchina produttiva potente che importa dagli allevamenti del nord Europa 200 camion di suini macellati ogni giorno – la materia prima che, lavorata in loco, rifornirà tutti i grandi marchi nazionali ed esteri. […] Appalti, sub appalti, spezzettamenti, la filiera che si slabbra e si allunga come un verme. Migliaia di lavoratori, principalmente stranieri, collocati nei gironi via via più degradanti del lavoro in appalto, tra cooperative spurie, terziarizzazioni, consorzi fittizi creati dalle stesse imprese appaltatrici – ovviamente nei segmenti produttivi dove regnano fatica, nocività, rischio per la salute. (Da qua)

Sciopero ad oltranza dal 17 ottobre 2017, presidio permanente dal 19 di dicembre più 12 giorni di sciopero della fame e tre giorni di blocco totale delle merci con quest’ultima modalità che sembra essere l’unica a interessare veramente i vertici della Castelfrigo. Siamo agli inizi di febbraio e dopo il blocco delle merci si fanno sentire un po’ tutti. Interviene il presidente della regione Stefano Bonaccini che invita tutte le parti al buon senso e ricorda l’accordo siglato in regione a fine dicembre che prevedeva l’impegno da parte di imprenditori, mondo delle cooperative, sindacati e istituzioni a ricollocare i lavoratori licenziati presso le aziende del territorio. Chiacchiere e melassa. Interviene anche il prefetto Maria Patrizia Paba che incontra i titolari dell’azienda.

Ma il vero intervento è quello di polizia e carabinieri che si apprestano a sgomberare il presidio che va avanti da più di tre mesi e ad interrompere il blocco delle merci. Grosso sdegno da parte di tutti e la Cgil Emilia-Romagna che dichiara “inaccettabile e ingiustificabile” un blitz delle forze dell’ordine – come se cariche e lacrimogeni fossero stati elementi estranei alle vertenze dei lavoratori del distretto carni modenese degli ultimi anni [sigh!]. Se però le vertenze non le agisce la Cgil non se ne trova quasi traccia sui giornali, non esistono denunce, non esistono vertenze e non esiste repressione.

Il quarto giorno di blocco non ci sarà. La Cgil alla prima minaccia di sgombero fa marcia indietro e l'”inaccettabile e ingiustificabile” si trasforma magicamente in “buon senso” che evita il blitz delle forze dell’ordine, come se, all’interno del palazzone della Cgil si intrattenessero rapporti privilegiati più con la Questura che coi lavoratori. Mesi di presidio, scioperi della fame tutti cancellati a favore di un “buon senso” a senso unico, quello invocato da Bonaccini e dal prefetto, che prevale sulla voce dei lavoratori (perché la via giudiziari dura anni e nel mentre si rimane senza lavoro). Le “istituzioni” sono salve e il lato più cattivo della governance locale può evitare così di mostrarsi in tutta la sua essenza ed essere riservato solo ed esclusivamente ad altri tipi di lotta e ad altri sindacati.

sicTutto scema. A metà giugno, dopo sei mesi, vengono smontate le tende della Flai Cgil davanti alla Castelfrigo. La vertenza entra in tribunale e ne esce con le ossa rotte, con la stessa Cgil costretta a dichiarare, per bocca di Marco Bottura (lo stesso che il giorno precedente, sui giornali, accusava il sindacato S.I.Cobas di essere contro lo Stato) che la sentenza rischia di essere un «lasciapassare per i comportamenti antisindacali per le aziende che appaltano nel distretto delle carni».

E che tra gli appalti e i sub appalti del distretto carni modenese così come all’interno dei magazzini della logistica si sia infiltrata la malavita e che tutti quei comparti ormai possano essere riassunti in una vera e propria “guerra tra bande” è un dato di fatto che conosce chiunque si sia affacciato un minimo sulla soglia di questo lembo di campagna emiliana.

Il distretto carni rappresenta la vetrina delle scelleratezze italiane degli ultimi due decenni, un esempio della svalorizzazione del lavoro, della mortificazione operaia. E delle viltà, delle complicità, della subordinazione della politica e del sindacato, della retorica del primato dell’impresa come valore unanimemente condiviso. […] Oggi non c’è tempo per favole rassicuranti. Sei euro lorde all’ora, una settimana a casa l’altra lavorare 60 ore – anche 12 ore filate, fino a pisciarsi addosso o mangiare in piedi come i cavalli. E a ogni cambio appalto si sfoltiscono i ranghi dei sindacalizzati e dei riluttanti. […] È una storia di pervicace illegalità, quella del distretto carni. Un morto ammazzato nel 2001 (fanno capolino anche i soliti servizi segreti), pestaggi, minacce, auto bruciate, criminali di ogni risma che attraversano la vita, e spesso i cancelli, di aziende prestigiose. (Sempre da qua)

Ma se si riavvolge un secondo il nastro delle vicende nell’ultimo paio d’anni di vertenze nel territorio modenese si capisce chiaramente come l’azione del  più grande sindacato italiano sia stata una strategia molto più mediatica che reale. “Ci potranno essere altri momenti di forte tensione”, come sono accaduti sul territorio modenese con le vertenze Castelfrigo, Alcar e Globalcarni, anche nei prossimi mesi, “se le Istituzioni dello Stato non intervengono celermente per ripristinare un sistema di concorrenza leale dichiarava, nel novembre del 2016 Umberto Franciosi segretario Generale Flai Cgil dopo le cariche e i lacrimogeni contro i lavoratori a Modena e a Castelnuovo. Quando qualcosa “accadeva” nel tessuto produttivo del territorio era la Cgil a parlare anche se erano altri sindacati (S.I.Cobas) ad aver organizzato i lavoratori e le vertenze.

Esemplare l’operazione mediatica sulla stampa modenese il giorno seguente all’arresto di Aldo Milani. Da un lato, in “prima pagina” ci finisce la Cgil (il sindacato buono, quello “legale”) per vicenda Trankwalder con Elisabetta Tiddia della Filcams (già candidata alle amministrative del 2014) che si nota giusto sui giornali, dall’altro la stessa Cgil non ci pensa due secondi ad attaccare i SiCobas con un comunicato come questo: “lavoratori del distretto modenese delle carni sono stati sfruttati due volte: una prima volta nel sistema degli appalti, una seconda attraverso sindacati che avevano altri fini.

Articoli, interviste e una bellissima inchiesta sull’Espresso (I forzati del mattatoio) poi però quando l’allora questore di Modena, Paolo Fassari, vietava una manifestazione nazionale ai S.I.Cobas in città (fatto gravissimo e rilevante per ogni sigla sindacale) la Cgil sceglieva la via del silenzio e dell’ignavia.

Quando una vertenza entrava nel vivo la Cgil compariva sui giornali denunciando l’illegalità diffusa in alcuni settori produttivi ma mai che si muovesse seriamente sul campo per risolverli. Eccezion fatta per la Castelfrigo. “Non iscrivetevi a quel sindacato che rappresenta solo gli stranieri” sembrava essere il parallelo acustico sui luoghi di lavoro degli attacchi al sferrati al SiCobas da parte della Cgil mediaticamente.

I SINDACALISTI
Ne sono passati tanti, dentro e davanti quei cancelli. Non si deve essere ingenerosi o qualunquisti, molti danno l’anima per organizzare e dare sbocco alla rabbia sorda della gente – se si va domattina, alle 5, ai cancelli della Castelfrigo o della Alcar, li si trova là davanti, col megafono e la bandiera. Ma tanti sono stati anche i vili, gli imboscati, gli impotenti che allargavano le braccia davanti a ogni abuso, quelli che limitavano la loro funzione alle denunce e agli esposti. Per non parlare di quelli che si sono prestati a fare da consulenti occulti nell’interesse delle aziende. Se avesse incontrato davanti a sé, il muro di un movimento sindacale serio e autorevole, tutta questa metastasi non si sarebbe mai estesa negli anni.  (Sempre da qua)

Ovunque si lotti però i risultati arrivano e dove arrivano i risultati arriva pure la lunga mano della repressione perché, checché ne dica la Cgil, le “istituzioni” non sono affatto neutrali (in certi uffici della Questura di Modena, su alcune scrivanie, si potevano vedere in bella mostra calendari di Alcar Uno) e alle volte non “tifano” nemmeno per quella legalità tanto sbandierata a destra e a manca. La “legalità” in voga oggigiorno è una legalità modulare, simil-fascista, che colpisce dove vuole colpire e chiude gli occhi dove c’è da garantire un profitto che sembra quasi un’accumulazione primaria. E ovunque il denaro dovuto torni nelle tasche dei lavoratori e non in quelle dei padroni arrivano le denunce, come in questi giorni, dove tra Modena e provincia sono già 70 quelle inviate ad altrettanti operai e sindacalisti nel solo mese di giugno, in alcuni casi notificate di notte o con altri metodi intimidatori.

Allora non è un caso che anche mediaticamente si torni a parlare delle irregolarità (anche se forse ormai bisognerebbe cominciare a definirle la “norma”) nel distretto delle carni modenese.

Soltanto che ciò che “esce” sembra essere soltanto l’atteggiamento tipico di chi si sbraccia e si sbraccia ma che, in fondo in fondo a tutto questo dimenarsi tifi perché nulla cambi effettivamente. È sempre l’eterna dicotomia tutta politica tra una realtà e la sua rappresentazione e tra lo iato che intercorre e che la affonda su un piano del reale. Peccato che oggi i tempi siano leggermente diversi e che l’ora tarda non la smetta di lanciare ovunque i propri rintocchi (anche giudiziari). Sarebbe bene prenderne atto.

Dopotutto siamo ormai un paese nel quale fa molto più rumore un funzionario intercambiabile del Capitale che se ne va rispetto ai 469 morti sul lavoro nei primi sei mesi del 2018, siamo ormai un paese nel quale, quasi una volta a settimana, un cittadino esasperato™ prende un’arma da fuoco e spara su qualcuno solo per il colore della pelle che ha, dove si fanno saluti fascisti nelle aule consiliari delle città come se fosse una cosa naturale e un Ministro degli Interni può lasciarsi tranquillamente andare quotidianamente con frasi di questo genere (vedi sotto).

https://twitter.com/piersant3/status/1022407893029670912

Dopotutto, pure a Modena, se provi a scendere in piazza per la Festa della Liberazione, il 25 aprile, ecco che ti becchi una denuncia per la violazione di un Regio Decreto del 1931, residuo attivo di un’epoca fascista mai scomparsa completamente e più attuale che mai.