
Se c’è una controindicazione insopportabile all’azione avvilente di questo governo rivoltante essa risiede indubbiamente nella sgradevole sensazione di essere di fronte ad un qualcosa di “nuovo”, ad una sorta di annozero della politica e dell’etica pubblica italiana.
Un colpo di spugna e uno spazio vuoto sul quale le varie anime della sinistra di professione, quelle stesse che hanno distrutto e dileggiato la voce “si-ni-stra“, ora tentano di riscriverla come se nulla fosse, con appelli su quegli stessi giornali che hanno contribuito a creare il clima attuale. Come se quella parola, ormai difficilmente digeribile, non fosse associata inesorabilmente al privilegio, al liberismo, all’austerity, a politiche reazionarie e repressive e alla sistematica manomissione di diritti faticosamente acquisiti. Un partito su tutti ha gestito direttamente questo processo e l’indignazione semi-automatica suscitata dalle perverse esibizioni di questo governo è quella tipica di chi confonde gli attori con la recita. Si rimestano gli ingredienti e si alza un po’ di polvere giusto per riposizionare al meglio le varie coscienze ma, nel mentre, si trascura opportunisticamente quanto il fascismo esplicito di Salvini & Co. non sia altro che il figlio sguaiato di quello “perbene” e “democratico” di Minniti e del Partito della Nazione.
Senza contare che la melma nella quale siamo immersi fino al collo ha confini ancora più estesi ed affonda le proprie radici in anni e anni spesi a seguire il bombardamento quotidiano ed i suggerimenti di una comunicazione funzionale esclusivamente alla paura. Servizi su servizi, giornali su giornali, trafiletti e talk show in pieno stile – “Gli stranieri rubano il lavoro? Cosa ne pensate? Diteci la vostra” – tutto ingozza quando c’è da sostituire il legittimo timore esistenziale con la paura indotta e con bersagli ben definiti.
Bisogna spaventarli, inculcargli la paura, bisogna imbottirli di paura come si fa con le oche finché non gli scoppia il fegato per fare il pâté, bisogna fare in modo che quella paura fermenti e si trasformi in odio, un odio assoluto, irrazionale, sguaiato… Slobo questo lo aveva capito subito. *
Anni e anni di martellamento mediatico ininterrotto avrebbero piegato qualsiasi realtà e deformato anche l’occhio più vaccinato, figuriamoci in un contesto nel quale impegno e partecipazione diminuivano progressivamente anno dopo anno. O si parlava di sicurezza legandola al tema immigrazione oppure si parlava di migranti come di un male sul quale catalizzare tutte le attenzioni, ecco, in sintesi, il regime di dieta mediatica di questi ultimi anni. Capacità di banalizzazione, superficialità ed enfasi le caratteristiche più richieste nelle redazioni.
Con un’agenda di questo tipo anche il pensiero non avrebbe potuto far altro che risentirne. Una falsa coscienza fabbricata a suon cronaca e da domande indotte dal retrogusto di tranello. Una specie di Gríma Vermilinguo perennemente acceso e sussurrante al ventre della nazione.
Come si possa poi stupirsi oggi o rimanere di stucco di fronte a al montare della canea nera proprio non ci è dato saperlo.
Non è tanto per far polemica quanto piuttosto per avere dati ed elementi su cui riflettere e ragionare.
Rimanendo in città, cosa significa quando persino un giornale del gruppo l’Espresso come la Gazzetta di Modena, a firma del suo direttore veicola messaggi che sono perfettamente sovrapponibili per enfasi, temi e toni a quelli di un’estrema destra neofascista tipo Forza Nuova?
Significa che se certi temi hanno avuto cittadinanza arrivando fino ad essere patrimonio condiviso e senso comune cittadino è perché, in Italia, c’è sempre stata attiva una borghesia retrograda e repressiva che gli ha spianato la strada. Significa che certi discorsi, che fino a pochi anni fa erano confinati ad alcune galassie minoritarie con poco seguito e ancor meno consenso, sono stati, passo dopo passo resi accettabili e consentiti politicamente.

Un noto giornalista modenese e il Piano Kaleregi all’opera in città.
Prima gli italiani, sovranismo, sostituzione etnica non sono topic spuntati dal nulla, da un giorno all’altro, ma nutriti e accuditi quotidianamente da una santa alleanza composta da media, istituzioni e potere produttivo.
Come sono stati raccontati questi ultimi dieci anni di crisi e austerità in Italia dai professionisti dell’informazione? Su cosa sono stati messi i punti esclamativi e gli indici puntati? Come mai, secondo una recente ricerca dell’Istituto Cattaneo, l’Italia è il paese Ue con la maggiore percezione distorta riguardo ai migranti? Perché “l’Italia si segnala come il paese caratterizzato dal maggior livello di ostilità verso l’immigrazione e le minoranze religiose” dove “all’aumentare dell’ostilità verso gli immigrati, aumenta anche l’errore nella valutazione sulla presenza di immigrati nel proprio paese“? Dati chiari che non possono di certo essere legati esclusivamente alla propaganda e all’azione di certe fazioni politiche. Ma c’è qualche giornalista che si è posto seriamente la questione o continuerà ad essere evasa da quella stessa mano che ora critica Salvini?
Forse se oggi ci ritroviamo un individuo come quello che spadroneggia con fare da bullo bimbominkia sulla poltrona del Viminale è perché la società è stata educata a certi umori e a certi discorsi. Persone come Salvini governano perché la gente è stata preparata accuratamente ad accoglierle.
Chi produce quotidianamente quel tipico contenuto informativo confezionato alla perfezione per rilanciare la propaganda fascio-leghista? Chi l’ha prodotto acriticamente anche qua da noi in città negli ultimi anni?
La città segregata e organizzata spazialmente dalle caratteristiche che assumono le disuguaglianze nell’ambiente urbano non è una città che è stata, prima di tutto, anche descritta e raccontata in questa maniera? Quanti occhi sono stati chiusi da un lato in questi anni, quante cose sono state minimizzate mentre al tempo stesso si smerciavano narrazioni tossiche tra la perenne emergenza sicurezza, le retoriche sul degrado e una sistematica razzializzazione della cronaca spiccia?
Le persone non diventano razziste o intolleranti così, all’improvviso, ma sono state educate dall’alto a diventarlo e quando la benedizione istituzionale arriva a legittimare o minimizzare addirittura il terrorismo suprematista (vedi Macerata) allora è normale che si possa tirare fuori tranquillamente il peggio di sé.
Non si tratta soltanto un problema d’informazione infatti, perché se da una parte abbiamo i Traini, i Casseri e le aggressioni ormai quotidiane dall’altro abbiamo il razzismo istituzionale veicolato in molti modi. In città aleggia invisibile un clima di perbenismo benestante, di retoriche padronali e di strizzate d’occhio alla demagogia xenofoba senza mai ammetterlo chiaramente – non sia mai – che è come una melassa che ti si appiccica addosso, piano piano, tipo l’umidità. Un manto banale che si indossa così, in maniera burocratica.
Provate, ad esempio, a fare una segnalazione al Comune perché l’erba del principale parco cittadino a fine giugno non è ancora stata tagliata e arriva praticamente alle ginocchia. Vi viene detto che c’è un’applicazione apposta per fare le segnalazioni, si clicca sulla cartina, si seleziona la voce circa il tipo di problema, due righe e si invia. Tra le categorie che si possono scegliere l’unica che riguarda direttamente gli esseri umani è la voce che ti permette di denunciare sulla mappa la presenza di immigrati o nomadi con la stessa facilità con cui si segnala un tombino che non funziona o un divano abbandonato.
Una banalità ma una banalità che se sommata ai dispositivi di controllo della città, ai protocolli di sicurezza urbana e alla “migrantizzazione” di un certo tipo di cittadinanza, quella povera, ci restituisce un quadro non esattamente idilliaco e ben lontano dalla dottrina di una città che si professa includente e progressista.
Prendiamo da questo articolo che traccia un primo bilancio di un anno di Daspo urbano: “Quello che sta accadendo sotto i nostri occhi, nelle nostre città, non sono fenomeni slegati, ma uno spostamento dell’immaginario della vita comune e del concetto stesso di umanità. Le nostre città sono popolate da persone che non vengono riconosciute in quanto tali, che non sono degne di assistenza e restano invisibili, fino a quando non intralciano il cammino dei flussi economici e turistici. In quel caso vengono allontanate con ogni tipo di strumento, anche architettonico.
Le nuove città “anti-povero” sono costruite con elementi di arredo urbano “funzionale”: sbarre sulle panchine, dissuasori contro il bivacco, uomini e donne scacciati come se fossero piccioni, esistenze vessate, negate, recluse.
Sono queste le caratteristiche delle società neoliberiste, in cui le politiche sociali e di sostegno alle povertà vengono totalmente abdicate in favore delle decisioni prese dalle istituzioni fiscali internazionali e dei pareggi di bilancio. Ai governi nazionali non resta che gestire l’enorme disagio sociale che ne consegue, solo in termini di ordine pubblico e con le gravi conseguenze che già conosciamo. Ci aspetta un futuro in cui una parte della società potrebbe venire non solo esclusa, ma negata in tutta la sua interezza e umanità.”
Quante è stata forte in città la critica che si è levata per denunciare le storture e i rischi contenuti nel decreto, poi convertito in legge D.L. 14/2017, meglio nota come Minniti-Orlando? Quanto si è fatta sentire? Quali sono le forze politiche della cosiddetta “sinistra” che hanno alzato la manina quando l’allora assessore con deleghe alla sicurezza, il “sinistro” Bosi, spiegava il nuovo regolamento di polizia urbana appena approvato dal consiglio comunale che ne recepiva in pieno i dettami?
Rispondiamo noi: è stata fievolissima. Quasi impercettibile. Eppure il filone era lo stesso che portava direttamente alla riapertura in città del lager etnico, del Cpr.
E quest’inverno quando era aumentata anche la presenza di militari con una nuova jeep di ronda attorno a la Pomposa che si andava ad aggiungere ai presidi fissi in Piazza Grande e davanti al tribunale. Presenze tutte tese a spettacolarizzare lo spazio pubblico in chiave ansiogena ma che mai nessuna forza politica, fin ora, si è mai sognata di mettere in discussione esplicitamente.
Riprendiamo sempre da qua: “Affinché l’epopea della pubblica sicurezza possa essere consumata e utilizzata «la parola e l’azione securitarie devono essere metodicamente messe in scena, esagerate, drammatizzate, persino ritualizzate» scriveva il sociologo Loic Wacquant e, dunque, particolarmente prevedibili in modo da soddisfare le esigenze dello spettatore medio, alimentandone le paure, ma incanalandone la rabbia, senza lasciare spazio alla riflessione.”
E chissà se oggi, che siamo arrivati ad avere persino i militari armati di fucili d’assalto a presidio della stazione, non si levi qualche manina coraggiosa a denunciare il carattere tecnicamente ed esteticamente antidemocratico di una presenza come quella.
Permetteteci di rimanere scettici così come rimaniamo scettici di fronte ai riposizionamenti dell’ultimo minuto che solo ora, a cose fatte, lanciano allarmi circa la pericolosità (effettiva e reale) di questo governo senza aver mai, fino all’altro ieri, proferito parola lungo il percorso che ci portava fin qua.
“Io credo che ci sia la possibilità che il fascismo stia aspettando di tornare in Europa. Non verrà con le camicie nere, né brune né cose simili… Ma il fascismo non si nasconde più. E’ lì, è uscito in strada, è arrivato anche sui media. E può succedere che ci troviamo in una situazione politica prefascista senza rendercene conto. E che improvvisamente il fascismo arrivi a governare. E noi continuiamo a non rendercene conto. Perché la facciata si mantiene. E la facciata è l’illusione democratica.”
Josè Saramago, Corriere della Sera 26/3/2007
E così, tra un silenzio e un altro, l’8 settembre a Modena avremo anche un paio d'”onorevoli”, targati Lega e 5 Stelle, che verranno a festeggiare i 100 giorni di governo direttamente nel covo di Terra di Padri.
Perché la facciata si mantiene, si mantien.., si man..
* Clara Usón, La figlia, Sellerio editore, Palermo 2013
Posted on 2 settembre 2018
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