Basta guardare chi detiene oggi l’Italia per capire dov’è diretta…

Posted on 12 settembre 2018

0



Turi VaccaroChamseddine Bourassine e Massimo Lettieri, nomi che ai più non diranno quasi nulla eppure queste tre vicende possono darci un’idea precisa della direzione nefasta intrapresa dall’Italia di oggi.

Non fosse chiaro, stiamo parlando di persone attualmente rinchiuse rispettivamente, nel carcere di Palermo, ad’Agrigento e in quello di Salerno. Per la loro liberazione sono state fatte manifestazioni, firmati appelli, si son mossi pezzi di società e dello spettacolo e – nel caso di Chamseddine Bourassine – persino il governo della Tunisia si è fatto sentire, ma nulla, l’in-giustizia italiana parla una lingua a sé stante, sorda, ipocrita, quella propria dei regimi di polizia e dei commissari Javert.

Sosteneva Kapuscinski: “La gente che scrive libri di storia dedica troppa attenzione agli eventi cosiddetti significativi, studia troppo poco i periodi di silenzio. Difetta dell’infallibile intuizione di cui è provvista ogni madre che avverte un improvviso silenzio nella camera del bambino. Una madre sa che quel silenzio indica qualcosa di brutto, che nasconde sempre qualcosa e si precipita ad intervenire perché sente un pericolo nell’aria. Lo stesso vale per il silenzio nella storia e nella politica. Il silenzio è un segnale di disgrazia, spesso di un crimine. È uno strumento politico esattamente come lo scatto di un’arma o il discorso fatto a un comizio. Tiranni e occupanti hanno bisogno del silenzio per nascondere il loro operato. […] Sarebbe interessante indagare fino a che punto i sistemi mondiali di informazione di massa lavorino al servizio dell’informazione e fino a che punto al servizio del silenzio e della quiete. È più quel che si dice o quel che si tace? Possiamo tranquillamente contare coloro che lavorano nel campo della comunicazione. E se provassimo a contare coloro che lavorano a mantenere il silenzio? Quale gruppo risulterebbe più numeroso?” *.

Certo, sarebbe interessante andare ad osservare quanto sia profonda la deriva autoritaria del paese attraverso i dati sull’ordine pubblico (qualcosa lo si trova qua), sulla repressione politica e sugli attacchi per via poliziesca e giudiziaria ai movimenti sociali in questi ultimi anni, ma vorremmo sottolineare e rimarcare, attraverso queste tre vicende, quanto possa essere incolmabile lo iato che intercorre tra la cosiddetta legalità  (concetto con il quale, ancora troppo spesso, ci si continua riempire la bocca ipocritamente) e la giustizia, fra quest’ultima e la sua applicazione effettiva e perché no, anche fra nozioni quali il Bene e il Male tornate prepotentemente sulla scena in questi tempi oscuri.

In un paese nel quale le uniche cifre che aumentano costantemente sono quelle dei morti sul lavoro, nel quale il tessuto economico e produttivo si fa di giorno in giorno sempre più mafioso e fraudolento, dove dilaga il neoliberismo criminale e il Capitalismo necroforo dei nostri tempi divora ambienti, esistenze, culture e forme di vita, ecco come pericolose diventano esattamente persone come queste…

Turi Vaccaro

Turi è il più “noto” dei tre, storico attivista antimilitarista ha intersecato, in questi ultimi anni, anche le vicende di cronaca della lotta contro il Tav. Una persona che emana un’aurea tutta particolare. Abbiamo avuto la fortuna di incrociarne passo e sguardo in più occasioni, una a Ravenna ad una manifestazione contro la Cmc e altre in Val di Susa. Non si rimane indifferenti a Turi Vaccaro. Turi indica la strada, dà l’esempio, è la creatura più leggera e consapevole di questa Terra, una specie d’incontro tra Gandalf e un hobbit, un elfo lo definirà qualcuno…

Il 4 agosto 2018, a Niscemi, la polizia lo ferma e lo arresta. Ha sessantacinque anni e da quel giorno è rinchiuso nella Casa Circondariale “Pagliarelli” di Palermo. Lì dovrà scontare una condanna a undici mesi di reclusione inflittagli dal Tribunale di Gela per un’azione del dicembre 2014 contro il Muos, la mega-antenna satellitare statunitense progettata per essere “al servizio delle guerre del XXI Secolo”.

Turi è colpevole. Colpevole di aver combattuto con le armi della nonviolenza quel militarismo tanto aggressivo quanto demente che imperversa nella nostra società. In quel dicembre del 2014, Turi trova un varco nelle recinzioni esterne del sistema Muos, entra nella base e danneggia con una pietra alcune apparecchiature dell’impianto. Una base militare abusiva che, ricordiamo, era stata osteggiata anche dalla Regione Sicilia in un primo momento per via dei possibili danni che avrebbe potuto causare alla salute della popolazione locale.

A richiedere la sua liberazione si comincia quasi subito. Una manifestazione fuori dal carcere di Gela, dove è rinchiuso in un primo momento, poi un appello (qui), firmato fra gli altri anche da Alex Zanotelli e dal Sindaco di Palermo e infine una campagna di solidarietà che potete trovare qua.

Ma chi è Turi Vaccaro? A descrivere Turi abbiamo le sue azioni e non c’è forse modo migliore di farlo se non con questo pezzo tratto dal libro Un viaggio che non promettiamo breve.

Turi era siciliano, originario di Marianopoli, provincia di Caltanissetta. Si era trasferito a Torino da ragazzo ed era stato operaio Fiat. Aveva cinquantasei anni, lunghi capelli e barba selvatica. Girava scalzo e sovente a torso nudo. Viveva tra l’Italia e l’Olanda, dove aveva una figlia ventenne di nome Annekie. Turi aveva preso parte alla lotta per l’obiezione di coscienza, alla mobilitazione degli euromissili a Comiso, alle battaglie antinucleari, a tutte le più importanti campagne nonviolente degli ultimi trent’anni. Purché vi fosse azione diretta. Perché Turi era un uomo da azione diretta. Anzi, da gesto profetico, testimonianza concreta e viva, fatta col corpo e affrontandone le conseguenze.

Sole rosso
al tramonto
sole grosso
e stanotte
cercherò la stella piangente
che mi porti verso il Sud

Così cominciava San Lorenzo, una poesia scritta da Turi tanti anni prima. La notte del 10 agosto 2005, il cielo sopra Woensdrecht era velato da un bagliore giallastro che nascondeva le stelle cadenti. Turi aspettava, seduto sull’erba umida, fuori dai campi visivi delle telecamere di sorveglianza, davanti a una delle più importanti basi dell’aeronautica olandese.

Porte chiuse
cancelli di ferro e binari
ritmano l’angoscia
quando il sole muore
e su un cucuzzolo di sabbia
gorgheggi ingenui
attimi di felicità.

All’alba Turi era penetrato nella base. In un angolo buio, aveva fatto yoga per calmarsi. Poco dopo le sei del mattino, aveva rotto una finestra ed era entrato in un hangar. Nell’immenso salone d’officina respiravano due bombardieri F-16, predisposti a portare bombe B-61. Bombe nucleari all’idrogeno. Turi era arrivato a Woensdrecht il giorno prima, settantesimo anniversario dell’atomica su Nagasaki. Aveva con sé un martello. L’aveva comprato ad Assisi, per esplicito richiamo al messaggio di pace di Francesco. Sul manico di legno aveva scritto SPADE IN ARATRI, una citazione da Isaia 2, 4.

Egli sarà giudice fra le genti
e arbitro fra molti popoli.
Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri,
delle loro lance faranno falci;
una nazione non alzerà più la spada
contro un’altra nazione,
non impareranno più l’arte della guerra.

Nel 1980 quei versi biblici avevano ispirato il movimento pacifista dei Plowshares, le lame d’aratro, nato negli Usa per iniziativa dei fratelli Berrigan. Nel 2005, Turi ne faceva parte da quindici anni. Il martello aveva sfasciato la consolle e i computer di bordo dei due aeroplani. Negli abitacoli, Turi aveva sparso un po’ del proprio sangue – gesto simbolico tipico dei Plowshares – e una manciata di semi di segale, poi aveva appeso qui e là disegni di bambini contro la guerra. Aveva anche lasciato una torta – rigorosamente biologica – e un libro su Giona e la balena. Sul pavimento dell’hangar, accanto agli F-16, aveva scritto col gesso PEACE, PLOWSHARES, NOT READY FOR THE NEXT WAR, ppi si era messo a suonare il flauto. Attendeva che venissero ad arrestarlo. Nel frattempo, una telefonata aveva avvisato la polizia: – In uno degli hangar c’è un intruso che sembra un elfo.

Così ora il flauto riposa
tra i rovi di rosa
e saranno queste patate
l’ultima fatica dell’estate.**

 

Chamseddine Bourassine

Il secondo “criminale” di cui parliamo è Chamseddine Bourassine. Un pescatore. Dal 29 agosto lui e il suo equipaggio sono rinchiusi nel carcere di Agrigento con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione “clandestina”. Avevano soccorso e salvato 14 migranti in difficoltà a largo di Lampedusa.

straGESi sa, di questi tempi salvare vite in mare può costare caro, soprattutto quando si è al cospetto di governi che perseguono politiche tese esclusivamente a un graduale e silenzioso sterminio nelle acque del Mediterraneo.

I pescatori arrestati a fine agosto dalle autorità italiane, infatti, non sono pescatori qualsiasi. Sono noti da tempo quali testimoni scomodi della strage silenziosa che si sta compiendo nel Mediterraneo. Chamseddine Bourassine è presidente dell’Associazione “Zarzis le Pecheur” (ADPE) e della “Rete delle attività di pesca su piccola scala” nonché protagonista del film documentario “Strange Fish” di Giulia Bertoluzzi. Pecheur de Zarzis, pescatori di Zarzis, gli stessi che, lo scorso anno, impedirono all’equipaggio della nave fascista C-star di attraccare nella loro città.

Prendiamo da qua: Le persone arrestate sono note da tempo, a livello internazionale, per il loro impegno umanitario e per la grande quantità di corpi ritrovati a mare, corpi che hanno dovuto riportare a terra, dopo avere interrotto le loro normali attività di pesca. Sono testimoni scomodi di una strage silenziosa che si è compiuta nell’indifferenza generale. Mentre i porti sono stati sbarrati per le navi umanitarie, dalla Tunisia è ripreso un flusso costante di natanti di piccole dimensioni e dunque assai pericolosi, che raggiungono direttamente Lampedusa e le altre coste siciliane.ChamseddinBourassine Quando non fanno naufragio. I pescatori attualmente in carcere ad Agrigento sono conosciuti a Zarzis e nel resto della Tunisia come persone che si sono sempre battute per garantire la salvaguardia della vita umana in mare e per scoraggiare l’immigrazione clandestina. Una manifestazione di protesta si è già tenuta a Zarzis ed un’altra a Tunisi. Il governo tunisino, sulla base della ricostruzione dei fatti in suo possesso, ha già chiesto il rilascio dei pescatori, tra i quali si trova anche il responsabile dell’associazione dei pescatori di Zarzis.

Le autorità italiane tuttavia fanno orecchie da mercante e nemmeno la testimonianze diretta dei naufraghi –  “senza di loro saremmo morti – sembra scuoterle più di tanto. Non è la prima volta che si compie il tentativo di criminalizzare chi di fatto salva vite umane nel Mediterraneo e lo scopo risulta chiarissimo: scoraggiare i soccorsi in mare per eliminare scomodi testimoni della strage che si sta compiendo.

Mio padre è scioccato perchè è la prima volta che ha guai con la giustizia. Mi ha detto che hanno incontrato una barca in pericolo e hanno fatto solo il loro dovere. Non è la prima volta. Chameseddine ha fatto centinaia di salvataggi, portando la gente verso la costa più vicina. Prima ha chiamato la guardia costiera di Lampedusa e di Malta senza avere risposta“. “Chameseddine l’ha detto anche alla guardia costiera italiana, se trovassi altre persone in pericolo in mare, lo rifarei” Sono le parole dei famigliari di Chameseddine raccolte in questo bel servizio di Raffaella Cosentino per Rainews Sicilia.

 

Massimo Lettieri

41370457_10217652892779198_8438192860561408000_nIl 26 luglio 2018, a Trezzano sul Naviglio, la fabbrica recuperata Ri-MAFLOW (una realtà lavorativa che sperimenta da anni autogestione, mutualismo e solidarietà) viene coinvolta in un’indagine su un traffico illecito di rifiuti, che porta Massimo Lettieri, presidente della cooperativa, ad essere arrestato.

Gli operai della ex Maflow avevano lottato prima contro la chiusura dello stabilimento poi contro la delocalizzazione in Polonia, dopodiché, ispirati dalle esperienze delle fabricas recuperadas in Argentina, nel 2012 decidono di recuperare la fabbrica riconvertendola verso il riuso e il riciclo di apparecchiature elettriche.

All’interno della fabbrica prende vita anche il progetto dell’ Amaro Partigiano (buonissimo)  ed una vera e propria Cittadella dell’altra economia che stravolge le sorti di quei lavoratori e dello stesso territorio del piccolo comune a sud-ovest di Milano.

AmaroPartigiano

Il comunicato dei lavoratori della Ri Maflow a seguito all’arresto di Massimo Lettieri (Chi è Massimo Lettieri) parla abbastanza chiaro: “La nostra unica ‘illegalità’ è quella di essere ancora in attesa di un titolo di utilizzo del sito da quando quasi sei anni fa la Maflow ha chiuso licenziando 330 persone e abbandonando la fabbrica. Gli operai si sono ricostruiti un lavoro con una regolare Cooperativa, sono nate molte botteghe artigiane che – insieme – hanno dato vita a un centinaio di posti di lavoro, mentre un business plan è stato preparato con il concorso di varie Università. La sperimentazione sul riciclo è stata condotta acquisendo materiali (scarti di produzione di carta da parati) da ditte a cui lo restituivamo lavorato (con fatture di lavoro conto terzi) o vendute a ditte con regolari fatture. Non sappiamo l’iter successivo di questi materiali. La sperimentazione, peraltro onerosa e quindi una perdita per noi, è terminata mesi fa, in attesa di una regolarizzazione del sito ormai in dirittura d’arrivo. Quindi nessuna attività lucrativa da parte della Cooperativa!!! Nel capannone posto sotto sequestro abbiamo invitato a più riprese molti enti, tra cui Città Metropolitana, AMSA e A2A, con la massima trasparenza rispetto ai nostri progetti.”

Prendiamo da qua: “Sono arrivati poi settanta o ottanta lavoratori, artigiani ed operai, che oggi lavorano nel capannone. L’obiettivo è sempre stato quello di riutilizzare, riciclare, rimettere in funzione senza consumare” racconta Gigi Malabarba a Radio Popolare “abbiamo sempre rivendicato l’occupazione della fabbrica per poter lavorare, e siamo in trattativa per regolarizzare la nostra posizione e lavorare con dignità. Ma l’accusa che ci viene rivolta è falsa ed infamante” Il fatto che una indagine antimafia, che coinvolge diverse imprese della zona, accusa la Ri Maflow di essere parte di una associazione a delinquere finalizzata allo smaltimento illegale dei rifiuti rappresenta “una cosa per noi infamante, perchè siamo nati e lavoriamo e lottiamo in un territorio dominato dalla ndrangheta” afferma Malabarba “e siamo parte di una rete che vuole costruire alternative economiche anche per sottrarre manovalanza alla mafia”.

Insomma anche in questo caso sembra di essere in presenza di un attacco diretto e frontale a un’esperienza riuscita di autogestione e di lavoro senza padroni. Esperienze che non possono avere cittadinanza o vita troppo “facile” in un mondo ufficiale dominato dal saccheggio, dallo sfruttamento e dal profitto.

Un’Italia alla rovescia, che persegue con feroce zelo chiunque si batta per un mondo migliore e che, contemporaneamente, chiude occhi, naso e orecchie verso chi sfrutta, inquina, discrimina e depreda la ricchezza collettiva.

Un’Italia a testa in giù.

 

 

* Ryszard Kapuściński, Cristo con il fucile in spalla, Feltrinelli – Universale economica, 2013
** Wu Ming 1, Un viaggio che non promettiamo breve – Venticinque anni di lotte No Tav, Einaudi – Stile libero big, 2016