«Non vedo l’ora che finiscano ‘ste elezioni.»

Posted on 21 aprile 2019

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«Non vedo l’ora che finiscano ‘ste elezioni.»

Ecco, se c’è una frase che è andata per la maggiore in questo periodo a Modena è senz’altro questa. La città è tutta in subbuglio per via della campagna elettorale per le imminenti amministrative e il clima che si respira è piuttosto ambivalente. Da una parte è tutto un proliferare di iniziative, di eventi, di impegni, di prese di posizione, di luoghi e di attenzioni che quasi ti domandi se non hai per caso vissuto in un’altra città negli ultimi cinque anni, dall’altra si sente netto quel forte sapore amarognolo da ultima chiamata, da partita dirimente, da salto nel buio. Il prodotto che ne esce fuori, la somma, risulta asfissiante tanto quanto l’aria della città. Un mix tra il tossico e il deprimente e che riflette e scandisce esattamente tutte le dissolutezze e tutto il piano inclinato in cui versa la politica “ufficiale” cittadina.

Cosa potrebbe mai andare storto in un contesto simile?

Più o meno tutto e proveremo a spiegarlo. Tuttavia, prima di poter sbirciare in qualche maniera sul domani forse è utile riavvolgere un attimo il nastro e andare ad osservare ciò che è andato storto fino ad ora. Perché il domani che temiamo è già successo e il presente che abitiamo è in stallo da tempo. Un presente che si avvita annoiato su se stesso scivolando sempre più in basso ad ogni giro compiuto. È, in sostanza, l’aria che si respira nella città dai miasmi sempre più infetti e autoritari. Li avete visti? Li avevate già notati?

Fernand Braudel sosteneva che ogni realtà sociale è, prima di tutto, spazio. Bene allora proviamo a tratteggiare il sistema che abbiamo di fronte partendo proprio dallo spazio, domandandoci cosa ha proiettato, in questi anni, il principale spazio pubblico della città, Piazza Grande. Di una città, la piazza è da sempre il luogo dello stare insieme, degli incontri, il suo cuore, il suo nucleo, il luogo in cui i simboli si fanno  rappresentativi. Mentre dai pilastri del balcone sbiadiscono pian piano gli stencil dei manifesti del Fronte Democratico Popolare del ’48, quale film è andato in scena nel frattempo in quel luogo?Piazza Grande e maròIn principio furono mega-manifesti per la liberazione dei marò che penzolarono dal balcone del Comune per più di un anno. Eravamo nel 2012, all’epoca della giunta grigio-pallida di Pighi, sgomberi, privatizzazioni dello spazio pubblico da una parte e abbandono di intere aree urbane sacrificate dai cicli di valorizzazione dall’altra ma la pellicola tutta decorosicurezza™ aveva ancora da venire. Certo i giornali pompavano già stigmi a più non posso, dai militari sui manifesti ai militari in carne ed ossa il passo era breve, ma il discorso pubblico era ancora distante dalle derive odierne. Nel frattempo in città chiudeva un lager (il Cie, distrutto dalle rivolte nell’agosto del 2013 e “ufficialmente” per decreto ministeriale nel dicembre di quello stesso anno) e qualcosa sembrava in fondo muoversi.

Tutto un’illusione, in realtà era il tempo che si contorceva su se stesso, i militari uscivano dai manifesti e cominciavano a presidiare i luoghi “sensibili” della città [sigh!] sinagoga e tribunale per cominciare e una militarizzazione dello spazio pubblico che avanzava in maniera sempre più marcata. Piazza Grande con una jeep in presidio fisso, poi la Pomposa, i luoghi della movida con ronde itineranti e il motore sempre acceso, poi, pian piano, si cominciava a estendere la presenza militare anche ai quartieri più “caldi” della città [sigh!], tipo la zona di viale Gramsci e del parco XXII aprile, vale a dire la  zona Nord, quella popolare e a ridosso del centro storico, cioè quella da riqualificare e investita dal “Piano periferie”.

Una presenza sempre più visibile (solchi nei parchi compresi) e intensa che si accompagnava oltretutto ad un discorso pubblico sulla città tutto incentrato sull’intreccio tra la cosiddetta “sicurezza” e sul falso, assunto per vero, della stretta correlazione tra migrazioni e criminalità. Li sentite ora? Ci avevate fatto caso?

Il discorso attorno alle nostre città e la retorica che esso produce assume sempre più caratteristiche di tipo militare. Ciò avviene dal punto di vista linguistico prima che materiale. Gli spazi pubblici sono soldati che hanno perso dei gradi (il degrado) e che devono riconquistarli con nuove decorazioni al valore (il decoro).

Un pensiero unico, quello securitario, che avanzava inesorabile da oltre un ventennio, un rumore di fondo, quasi un’ombra che si adattava e anticipava (molto più spesso) il flusso degli eventi. Una costante con alti e bassi, tipo marea, che tuttavia, solo recentemente, ha vissuto una vera e propria escalation (in fondo, se ci pensate bene, l’Operazione Strade sicure è attiva già da un decennio però solo ultimamente, nella nostra città, sono cominciate ad apparire jeep, mimetiche e fucili d’assalto [sigh!]).

Welcome to Modena citizens and tourists!

Ecco, se si dovesse definire esattamente un boiling point della situazione, uno scatto, questo sarebbe collocato indubbiamente nel 2017, nell’anno cioè in cui decoro e degrado entravano a far parte del lessico della normativa italiana (decreto Minniti) e in cui arriva a precipitazione un’escalation di discorsi e di pratiche non tanto diverse, anzi proprio le stesse, da quelle che ci troviamo di fronte oggi col governo penta-leghista (attacchi alle ong, criminalizzazione della solidarietà e della povertà, militarizzazione ossessiva dello spazio pubblico, il mantra sulla sicurezza…)

A Modena, una città che ama associare il suo nome a paroline come aperta, accogliente e solidale, tutto ciò è stato accettato senza alcun tipo di interrogativo, anzi. Se ci voltiamo un attimo e facciamo mente locale a quali erano le forze politiche che avevano portato avanti con più veemenza la campagna per la liberazione dei marò abbiamo una misura dei valori e dei principi erogati dalle giunte cittadine in questi anni (a confronto, il manifesto per Giulio Regeni, vittima di un regime e non accusato di aver sparato e ucciso dei pescatori, è durato pochissimo e non ha mai ricevuto l’onore di essere affacciato su Piazza Grande). como Non solo, vedere le reazioni e i dubbi (esistenti) di una città a trazione leghista come Como (vedi qua a sinistra) alla militarizzazione dello spazio pubblico, cosa che a Modena è già un dato di fatto da tempo, dovrebbe far riflettere parecchio sulla reale identità della città e sul suo spirito politico.

Dopo aver accettato il neoliberismo senza condizioni in città, con la complicità di giornali e di un’informazione semplicemente squallida quando non proprio direttamente pericolosa, abbiamo portato abbondantemente a compimento e in netto anticipo sui tempi anche l’altro assunto del sacerdozio neoliberale, il securitarismo. Un binomio, quello tra capitalismo neoliberale e securitarismo  che non poteva procedere se non nel vuoto lasciato dal ritirarsi progressivo dello stato sociale e che, soprattutto, purtroppo si è trasformato nell’unica dimensione di pensiero possibile e applicabile oggi alla società. Non si parla d’altro ormai a Modena, non si riesce a parlare d’altro. Non c’è discorso ambientale, sulla mafia, urbanistico, di diritti o precariato lavorativo che tenga, vale solo l’allarme sicurezza perennemente inserito e lo spettacolo sulla sicurezza incessantemente montato.

Sarà che a Modena non è mai emersa prepotentemente una destra che potesse impensierire seriamente il partitone sul piano elettorale perché quest’ultimo ne anticipava praticamente ogni mossa, tuttavia oggi, che il populismo penale viaggia a pieno regime e porta a compimento naturale gli afflati di un securitarismo neoliberale poco compatibile con la democrazia, persino con quella formale e rappresentativa, lasciateci coltivare seri dubbi.

Esattamente in  questi giorni, nel bel mezzo della campagna elettorale e a poco più di un mese dal primo turno, il cortocircuito securitario è deflagrato in tutto il suo splendore. Comincia la metastasi.

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Il Prefetto dice che a Modena ci sono GIÀ le ‘zone rosse’ e che il daspo urbano è GIÀ stato utilizzato in molte occasioni.

Da una parte abbiamo un Salvini che con la sua terribile direttiva su decoro e zone rosse sembra aver voluto riportare indietro le lancette dell’orologio un po’ ai tempi di Minniti e un po’ all’epoca dei podestà, dall’altra sempre un Salvini entrato a pieno titolo nella campagna elettorale cittadina, rubando la scena e indirizzandola dalla comoda poltrona del Viminale. (Nelle ultime amministrative la Lega a Modena era al 3,12%, 2.986 voti per essere precisi, chi voterà Lega tra un mese voterà Salvini non Prampolini, basta leggere tra le righe o più comodamente tra i commenti sui social network).

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Muzzarelli è già lì dietro a rincorrere ma soprattutto a “rivendicare” quanto fatto finora in termini di sicurezza™ senza manco accorgersi che “daspo urbani” e “zone rosse” erano già parte integrante e sostanziale della fascistizzazione della città e del senso comune del cittadino-medio_brava-gente.

La domanda è sempre la stessa, che si contorce soffocante su se stessa: più soldi per forze dell’ordine e telecamere. Rovesciando la frittata, sembrerebbe quasi che sia proprio la Modena a guida Pd a risultare come  modello da seguire per lo sceriffo Matteo Salvini.  Insomma, un disco rotto o il confronto fra due adolescenti che si sbirciano nelle mutande a vicenda per vedere chi ce l’ha più lungo. Un celodurismo da ultima spiaggia, da sempre terreno identitario del leghismo.

28575622_10215252455975731_3127700041476419128_nA nostro modesto parere, a Modena siamo ormai giunti al precipitare degli eventi, ai frutti nefasti portati definitivamente a maturazione da un securitarismo bipartisan che ha modellato e scalpellato il senso comune da almeno due decenni.

In territorio urbano le ingiustizie sociali sono prima di tutto ingiustizie spaziali, di segregazione,  paure e insicurezze indirizzate ad arte diventano dunque il fondamento emotivo e psicologico dell’abitare cittadino. Sono cambiamenti profondi, quasi antropologici quelli in atto, se “il discorso sulla sicurezza” è rimasto l’unico discorso possibile e disponibile sul mercato politico (proprio mentre tutti i dati raccontano il contrario) è perché tutto ormai è plasmato unicamente dal mercato. Lo è la città stessa diventata oggetto di consumo nel suo suolo, nei suoi beni, tra le sue memorie, così come lo sono diventati il tempo, le relazioni, gli affetti o la vita stessa dei suoi abitanti. A “regolare” tutto questo non c’è più la “politica”, da trent’anni al capezzale della mano libera del mercato, ma la “polizia”. Soprattutto quando tutto in torno i muri crollano e persino le fondamenta cominciano a scricchiolare.

Siamo in presenza di una situazione paradossale: la militarizzazione dei centri storici non ha risolto alcun problema, serve a vendere l’immagine delle istituzioni attenti alla sicurezza dei cittadini, quindi l’obiettivo potrebbe essere ben altro ossia quello di “normalizzare” le aree urbane cacciando via migranti, studenti, centri sociali, sottoponendo istituti scolastici e universitari a un regime di stretta sorveglianza.

Si dimenticano le politiche sociali e urbanistiche, si affidano superpoteri ai comitati provinciali, si spinge ad utilizzare la Pm per compiti di pattugliamento dei centri storici  coinvolgendo istituzioni locali, associazioni di commercianti e altro ancora, scenari che ricordano quanto già accaduto in epoca fascista. (Da qua)

Volete un esempio? Osservate come in città risponde la politica alle richieste della manovalanza del suo tessuto produttivo (vedi Italpizza, Gls, distretto carni…). Manganello, lacrimogeni e silenzio, quando va bene, e non si attacca direttamente chi «spacca nelle fabbriche».

Un “vuoto” già occupato da quello stesso Prefetto a cui Salvini ora elargisce poteri commissariali, quasi riesumando la vecchia figura del podestà di epoca fascista.

Ma a Modena il Pd è “Sistema”, una piovra che sussume tutto, un buco nero capace di inghiottire ogni istanza, ogni idea, ogni partecipazione. Muzzarelli, inoltre, è politico di razza, fiuta il pericolo e, per le elezioni, ha già apparecchiato una tavola imbandita di tutto e il suo contrario.

Per la sua “corte” ha messo in riga tutti, dando l’idea di essere costretto persino a raschiare il fondo del barile. Prima ha richiamato sull’attenti gli eterni indecisi vorrei-ma-non-posso, valgo-di-più-se-vado-o-non-vado, di Sinistra (giusto sulla carta) per Modena”, poi ha resuscitato addirittura i “Verdi” di Silingardi e rinsaldato  legami con Porta Aperta (con Caleidos in ritirata sul fronte “accoglienza”) e col mondo cattolico attraverso “Modena solidale” di Dori e Caldana.

L’ipocrisia è un omaggio che il vizio rende alla virtù.
François de La Rochefoucauld

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Accanto a Muzzarelli c’è di tutto: da chi dirige il Centro Servizi Per il Volontariato o uno dei due finti “centri sociali” della città (lo Spazio Nuovo e Ovestlab) fino al “ras/portavoce” di Italpizza Montanini, dai Verdi di Silingardi agli interessi dei costruttori.

Un’accozzaglia che può stare insieme giusto un mese e rispondere solamente alla paura di una possibile vittoria della destra salviniana. Una politica  bolsa e fasulla fino al midollo che si fa scudo di un antifascismo di maniera perché non più in grado di offrire alcunché che la possa differenziare sostanzialmente dal suo nemico. Una fiera dell’ipocrisia paragonabile quasi solo allo show dei motori (Motor Show traslocato da Bologna a Modena) allestito giusto a ridosso delle elezioni, in pieno stile Modena Park.

In assenza di promesse elettorali, a cui non crede ormai più nessuno, l’unica risorsa estraibile dal sottosuolo di questa moribonda democrazia formale e rappresentativa, è rimasta la paura.  Se è quest’ultima però, ad impossessarsi dello spirito del tempo, allora sono i fascisti odierni ad incarnarne al meglio linguaggio e significati: in tempo di crisi non c’è spazio per i diritti, basta buonisti!

Esclusa la lista di Modena volta pagina (che non sosteniamo affatto, men che meno stimiamo ma che non avversiamo) il resto del panorama elettorale è piuttosto eloquente.

Il Movimento 5 Stelle sembra essere scoppiato come la bolla di sapone che era, alla fine dei conti. Candida come sindaco Andrea Giordani, vicino alla Lega, tra i fondatori del comitato “viale Gramsci e dintorni”, attivo in chiave anti-degrado nell’area nord della città.

Una lista dal nome improponibile G.O.L. (Giustizia, Onore, Libertà) [sigh!]  di un imprenditore modenese Socio della Confraternita delle Misericordia (quella dell’ex lager Cie per intenderci). celloni-gol1-2

La destra civica di Modena Ora che candida l’ex presidente Fita-Cna Cinzia Franchini, già fondatrice del quotidiano on-line indipendente La Pressa, presenta nelle tra file anche Stefano Bellei, ex candidato sindaco della Lega alle scorse amministrative.

ModenaOra «Sicurezza, sicurezza e ancora sicurezza!», tuttavia sembra che, almeno dalle parti de La Pressa, ci sia stata una certa presa di distanze nonché forse l’attacco più duro e smascherante ad schieramento a trazione leghista con una Lega ben diversa da quella “tradizionale”.

Vernole

La Lega che rischia di vincere a Modena alle prossime amministrative, infatti, non è il Carroccio di Mauro Manfredini, bensì la Lega della svolta lepenista di Salvini organizzata, in Emilia, intorno all’intellighenzia di Stefano Vernole. Perndiamo da qua:

Diciamo subito che è l’esperto di dossieraggio della Lega in provincia di Modena. Che ha una lunga militanza nel Fronte della Gioventù e che poi alla fine del secolo scorso passò con i rautiani fino ad approdare adesso nella Lega di Matteo Salvini. Non è indagato nell’inchiesta sul dossieraggio e la corruzione, né aspira a diventare sindaco o consigliere comunale a Modena che, per la prima volta, a maggio, rischia di essere espugnata. Da roccaforte “rossa” a feudo leghista. E il primo cittadino dovrebbe diventare il leghista Stefano Prampolini.

da questo pezzo firmato Giuseppe Leonelli:

Vernole leghista doc oggi si diverte ad attaccare l’ala ex missina (rappresentata appunto dal prestante Galli) in Regione. Bene, allora vale la pena sfogliare il volume ‘Modena vista da destra’ di Bruno Zucchiniper scoprire come la storia del leader nascosto leghista Vernole sia intrecciata a quella del ‘buon samaritano’ (così egli lo definisce) Galli. 

Leggiamo infatti come Zucchini tratteggia il nuovo uomo forte (più forte anche degli stessi consiglieri regionali a partire da Stefano Bargi, e del segretario nazionale Gianluca Vinci) della Lega emiliana.

Segretario del Fronte della Gioventù di Modena dal 1992 al 1995, Vernole caratterizza la propria azione politica su posizioni antiamericane e anticapitaliste, rifiutando l’etichetta di ‘destra’. Particolarità del Fdg in quegli anni sono i volantinaggi effettuati dai suoi militanti con keffiah palestinese al collo. Esce dal Msi subito dopo il congresso di Fiuggi seguendo i destini di Rauti fino al 1999. Dal 2000 esce completamente dall’Area e scrive di geopolitica per la rivista ‘Eurasia’ (di cui oggi è anche responsabile relazioni esterne) mantenendo comunque una attitudine militante e organizzando presidi anti Nato davanti alle basi statunitensi in Italia.

Ora che la Lega regionale affidi la sua linea politica a un ex missino (come lo era Galli), militante del Fronte della Gioventù e convintamente antiamericano, non vi è nulla di male. Si può sempre cambiare idea. Vernole forse avrà cambiato idea negli anni divenendo un convinto leghista (anche federalista ai tempi Bossi).
Detto questo sta dimostrato con il suo attacco a La Pressa di non aver mutato i metodi peggiori tipici della destra cui appartenne.

Una Lega in pieno stile Terra dei Padri che, nella vicina Carpi, ha fatto scandalo per una storia di dossieraggio, concussione, corruzione.

CarpiMusti

Stampa molto leggera sulla vicenda (La Pressa a parte) e una Procura di Modena (a guida Lucia Musti) decisamente meno aggressiva rispetto ad altre occasioni nonostante una storia, descritta dal comandante dei carabinieri Alessandro Iacovelli, in questi termini: «di malaffare, malversazioni, di commistioni tra pubblica amministrazione, imprenditori privati e clero». 

Questo il quadro elettorale in quel di Modena, al tempo del califfato sovranista pentaleghista, un mix tra il tossico e il deprimente e dove non vi è nulla che possa girare nel verso giusto.

Insomma, buon 22 aprile … scarpe rotte eppur bisogna andar.