
Trento, mercoledì 2 dicembre 2020, in una via Belenzani chiusa da entrambi i lati da una folkloristica parata d’assembramento di mezzi del forze dell’ordine, un uomo prende il microfono e inizia a parlare.



Per rompere il ghiaccio comincia a raccontare, e quella che racconta è una storia che sembra uscita direttamente da Blu Notte o da un romanzo di Cammilleri. Siamo intorno al 20 novembre ed una coppia di persone, un lui e una lei, che stavano passeggiando in località Palazzi intorno all’area faunistica di Casteller vengono fermati dalla polizia e portati in Questura. Il fermo, ingiustificato, è “motivato” dal fatto che le due persone in questione, oltre ad essere dei cittadini, sono anche due noti attivisti NoTav della zona. Dal verbale che la Questura gli rilascia si viene a scoprire che i due sono stati fermati semplicemente perché nei pressi di un cantiere Italferr; cantiere del quale non sa ancora nulla nessuno perché né la Provincia, né il Comune, né gli assessori o i consiglieri comunali si sono presi la briga di informare in alcun modo la popolazione di questi lavori. Insomma, è solo grazie alle forze dell’ordine se si scopre che lì, in una zona recintata poco sopra Mattarello a sud di Trento, c’è una trivella che sta eseguendo i sondaggi geognostici per l’Alta Velocità ferroviaria in Trentino.
Il giorno seguente, grazie al tam tam sull’accaduto, una sessantina di NoTav si ritrova al presidio permanente di Acquaviva (terreno acquistato da più di settecento persone nel 2014 proprio per ostacolare i lavori di progettazione dell’Alta Velocità) per discutere il da farsi. Domenica 22 altrettanti NoTav raggiungono l’area recintata intorno al Casteller e constatano con i propri occhi la pesante militarizzazione dell’intera zona nonché l’effettiva presenza della trivella di Italferr. I NoTav cominciano così a denunciare pubblicamente la cosa e ad informare adeguatamente la popolazione di Mattarello di quanto sta avvenendo.
Il giorno successivo, lunedì, la Provincia autonoma di Trento è costretta ad ammettere i lavori in un comunicato nel quale si parla apertamente di sondaggi geologici sotto la Marzola con un doppio carotaggio fino a una profondità di 250 m per “la ripresa dei lavori per la realizzazione della circonvallazione ferroviaria di Trento, opera dalla valenza strategica sia per il corridoio europeo sia per il Capoluogo, nel più ampio progetto di recupero dell’areale ferroviario e dell’eliminazione del transito merci in concomitanza con l’apertura del tunnel del ferroviario del Brennero.” La parola Tav (come vedremo) non viene mai menzionata espressamente ma è sottointesa.
Nel frattempo però accadono anche altre cose. C’è un morto. É il povero Piergio Cattani, il più innocente di tutti, presidente e co-fondatore assieme a Paolo Ghezzi di “Futura”, una formazione politica che siede anche ( proprio con Ghezzi) nel Consiglio della Provincia Autonoma di Trento. Pochi giorni dopo la tragica scomparsa, Paolo Ghezzi dà le dimissioni da consigliere provinciale, mantenendo inalterata l’intenzione che aveva già anticipato proprio ai funerali di Cattani. Passano alcuni giorni e l’assessore alla mobilità e alla transizione ecologica del Comune di Trento, Paolo Zanella, si dimette anche lui per sostituire Ghezzi in Provincia. A questo punto, l’ex segretario provinciale della Cgil da poco eletto sindaco di Trento, Franco Ianeselli, è costretto a nominare un nuovo assessore con deleghe alla “mobilità e alla transizione ecologica”. La scelta ricade su un cosiddetto tecnico: Ezio Facchin.
E qua in qualche maniera il cerchio del nostro noir si chiude perché è la stessa carriera di Ezio Facchin a parlare esplicitamente. Nello stesso comunicato stampa diramato dal Comune, sebbene la parola Tav fosse nuovemante assente, si poteva leggere: “ingegnere, ha una lunga esperienza nel campo dei trasporti maturata in svariate posizioni di vertice nelle Ferrovie dello Stato, alla Trentino Trasporti, di cui è stato presidente, e come commissario straordinario del Governo per la realizzazione delle opere di accesso al tunnel del Brennero e del quadruplicamento della tratta Fortezza-Verona.”
É dunque evidente, oltre ogni ragionevole dubbio, che Ezio Facchin sia l’uomo del Tav, arrivato sulla poltrona dell’assessorato alla “mobilità e alla transizione ecologica” (trasporti) del Comune di Trento in un momento estremamente particolare per via del Covid-19.
Ezio Facchin, dunque, la stessa persona che nel dicembre di due anni, fa si era dimesso, in polemica col governo, da commissario straordinario per le opere di accesso al tunnel del Brennero, lamentando «l’assenza di interesse del governo verso i progetti di sviluppo delle tratte di accesso programmati fin dal 2003 per la realizzazione della nuova linea tra Fortezza e Ponte Gardena, in continuità con il nuovo tunnel del Brennero nonché delle circonvallazioni ferroviarie di Bolzano, Trento e Rovereto e dei nuovi accessi al nodo di Verona, per complessivi 85 chilometri di linea a doppio binario» ora ritorna in primo piano, in un ruolo chiave del territorio, in un momento nel quale le mobilitazioni sono estremamente difficoltose e ai problemi si sommano i problemi.
Insomma, Ezio Facchin sembra l’uomo giusto (per il Tav) al momento giusto e tutto questo avvicendamento di nomine e di cariche, così come l’arrivo della trivella della quale nessuno ufficialmente aveva fatto menzione, è avvenuto nel silenzio più totale da parte delle istituzioni, senza nemmeno l’ombra di un dibattito politico, senza un’informazione adeguata alle dimensioni dell’opera in questione e, per ultimo ma forse più importante, senza nemmeno più le parole per definire concretamente l’oggetto della contesa: una nuova linea ad Alta Velocità che andrà ad impattare enormemente sia sui bilanci che su un’ambiente già in sofferenza.
Sarà lo stesso Facchin, infatti, ad ammonire, qualche giorno più tardi, durante il suo “debutto in aula” da assessore: «non chiamiamola “Tav”, è un nome che rischia di confondere l’opinione pubblica», confermando poi i carotaggi in corso a Mattarello. Ma, ammonimenti a parte, analizzando un minimo il linguaggio, non sarebbe stato troppo difficile scoprire quall’era la vera posta in gioco di una siffatta nomina. Persino nel suo primo intervento da assessore le allusioni di Facchin erano chiare: «Per fare questo metto a disposizione la mia esperienza e il mio impegno. Le scelte fondamentali riguardano le infrastrutture in grado di dare una risposta brillante alla domanda di mobilità, attraverso una graduale attuazione di interventi che portano con sé azioni collegate alla transizione ecologica […] È fondamentale investire per creare un valore aggiunto sul territorio, ridurre i costi di gestione, creare opportunità di crescita sostenibile per le persone e per le imprese. Solo così potremo giustificare il ricorso al debito, considerato oggi l’unico strumento di sostegno per superare la grande crisi provocata dalla pandemia. […] Lo chiameremo PROGETTO INTEGRATO […] Ad oggi, il PROGETTO INTEGRATO, ha incassato il sostegno della Provincia e di Rete Ferroviaria Italiana.»
Insomma, il Tav non si nomina mai apertamente perché «è un nome che rischia di confondere l’opinione pubblica», meglio utilizzare dunque altre espressioni per confondere le carte come “circonvallazione ferroviaria di Trento”, “interramento della linea storica”, “alta capacità”, “quadriplicamento della linea” e di “tratta d’accesso Sud al tunnel del Brennero”. Che, più o meno nelle stesse ore in cui Facchin diventava il nuovo assessore alla mobilità del Comune di Trento, ovunque, intorno al Trentino, fossero ripartiti i cantieri dell’Alta Velocità è solo un dettaglio.



Ma c’è di più. Lunedì 30 novembre il governo Conte inseriva nel Decreto Ristori quarter un articolo, il 25 “Disposizioni in materia di infrastrutture stradali”, che coi problemi economici legati al Covid non c’entrava praticamente nulla perché contenente una norma ad hoc per favorire la trasformazione di AutoBrennero in una società pubblica ed evitare la messa a gara della concessione autostradale. Il fatto in sé, come ha fatto notare giustamente Stefano Lugli, ex candidato presidente per L’Altra Emilia-Romagna e segretario regionale di Rifondazione, potrebbe persino non essere così male, il fatto cioè che AutoBrennero possa diventare una società pubblica dal momento che si tratta di un asset strategico per il Paese a meno ché, quella manina che inseriva l’articolo 25 nel Decreto ristori, non intendesse con questa operazione dare il là ad opere obsolete e anacronistiche. Tipo per l’Emilia i cantieri della Cispadana o della Bretella Campogalliano-Sassuolo, per il Trentino magari un’opera per l’Alta Velocità di 180 chilometri, di cui solo 27,4 non in galleria. Su l’Adige di un mese fa, inoltre, poi si poteva leggere:

Insomma, in quello stesso inizio di dicembre dove l’Italia, nonostante coprifuochi, finti lockdown e misure di contenimento varie, comprese le Regioni a colori, si avvicinava alla tragica cifra del migliaio di morti al giorno per Covid; in quello stesso territorio nel quale tornavano ad accendersi gli allarmi meteo (anche in questo caso con zone arancioni, gialle e rosse) di un clima modificato che più che l’eccezionalità stava diventando la nuova normalità, la guida politica del paese manteneva del tutto inalterata la propria, prima sbandierata ora silenziosa, ricetta: “grandi opere!”
Ma una volta appurato che si tratta effettivamente di cantieri Tav perché opporsi concretamente alla realizzazione di queste opere?
Tralasciando anche solo per un istante il fatto che, in questo tragico 2020, dovrebbe essere cresciuta ormai enormemente l’evidenza che le risorse che abbiamo a disposizione dovrebbero essere gestite al meglio ed orientate verso opere e settori che realmente servano al bene comune piuttosto che interessi privati e limitati; dunque magari evitare di continuare a tagliare la sanità mentre, al tempo stesso, si investono 6 miliardi in nuove armi, se mancano medici e infermieri magari assumere quelli invece di 4.535 nuovi poliziotti, infine puntare sulla prevenzione, sulla manutenzione e sulla messa in sicurezza del territorio piuttosto che su grandi opere ritenute dannose, inutili, imposte dall’alto e invise alla popolazione.
Ecco, anche tralasciando tutto questo, le ragioni per opporsi al Tav in Trentino sono molteplici. Le informazioni che ora tenteremo di riassumere in maniera speriamo non troppo sommaria, sono tutte prese da un piccolo opuscolo «Tav in Trentino: un buco nell’acqua» autoprodotto dal Coordinamento Trentino NoTav, il quale, nonostante l’apparenza, risulterà infinitamente più chiaro, esaustivo e comprensibile di qualsiasi discorso pubblico istituzionale in merito a questo tema così celato e camuffato.
Come già anticipato nel titolo del libretto “fra tutti gli impatti” del Tav “quello sulle risorse idriche è il più rilevante, soprattutto in relazione agli scavi per la realizzazione delle gallerie” e, come vedremo, di chilometri in galleria in quest’opera ne sono previsti parecchi. “A questo si aggiungerebbero altri danni, come il consumo di suolo e la movimentazione ed il deposito dell’enorme quantità di materiale inerte che risulterà dagli scavi. La combinazione degli effetti sul paesaggio fisico determinerebbe infine inevitabili pesanti ricadute sul paesaggio culturale e colturale dei territori attraversati dall’opera tenendo conto dei lunghissimi tempi di realizzazione e delle sue dimensioni.” E non è un caso se il primo progetto di Alta Velocità in Trentino, elaborato da RFI nel 2003, venne rigettato anche dalla Provincia perché “avrebbe inflitto una ferita insanabile ai produttivi e rinomati vigneti della Piana Rotaliana.” Da quel momento la Provincia si fece dunque promotrice di un progetto alternativo, spostato dalla Piana Rotaliana all’altra parte della valle ma progettato quasi interamente in galleria. “Si stima”, inoltre, “che nel 2013 fossero già stati divorati dalla Provincia 200 milioni di euro solo in progettazione.”
Ora “gran parte dei” nuovi “tracciati ipotizzati interessano i massicci carbonatici che caratterizzano i rilievi montuosi che si affacciano sulla Vallagarina e Valle dell’Adige. I monti Lessini, il Pasubio, il Finonchio, le alture di Folgaria, la Vigolana/Scanuppia, la Marzola, il Calisio, il Monte Corona sono formati prevalentemente da calcari, dolomie e altre formazioni sedimentarie, con alcuni settori dove compaiono rocce di origine vulcanica.[…] La possibilità di scomparsa di scorgenti e specchi d’acqua è tutt’altro che remota e peregrina, dimostrata sul campo da ogni opera di escavazione eseguita dal secondo dopoguerra in Trentino. I canali di gronda ed i tunnel di alimentazione dei bacini idroelettrici, opere del diametro di qualche metro, hanno determinato la scomparsa di molte sorgenti anche a distanza di chilometri […] Anche lo splendido Lago di Loppio fu prosciugato dalla Galleria Adige-Garda, la cui realizzazione ruppe il delicato equilibrio che permetteva la presenza di un tale specchio d’acqua tra la Val Lagarina e l’Alto Garda. Altre opere di scavo in roccia hanno dimostrato la difficoltà dell’intervento nel complesso roccioso interessato dalle opere dell’Alta Velocità, come nel caso del primo cantiere dedicato al Depuratore di Trento Sud, subito interrotto dopo importanti fuoriuscite di acqua, in un luogo, guarda caso, dove il toponimo Acquaviva qualcosa forse significava…”

Il rischio dunque è che si ripeta, come riporta precisamente anche l’opuscolo che stiamo citando, quanto già accaduto con “il clamoroso caso del Mugello: 73 chilometri di tunnel sotto gli Appennini, 57 chilometri di fiumi in secca, 37 sorgenti prosciugate e 5 acquedotti fuori uso, molti Comuni per anni costretti a rifornirsi dalle autobotti, oggi con le pompe.”
“Un esempio vicino, tangibile, di cosa accadeva senza un movimento come quello valsusino, cioé quasi ovunque, l’avevo alle mie spalle. Se, distogliendomi dalla contemplazione delle Alpi, rivolgevo lo sguardo a sud, oltre il succedersi di crinali e fondivalle potevo immaginare la Toscana, e quindi il Mugello, e ricordare le catastrofi ecologiche causate dai lavori dell’Alta velocità Bologna-Firenze. Gli scavi del tunnel ferroviario avevano intercettato le acque di falda. Nel 2004 si erano già drenati o dispersi – stando agli atti del processo a carico dei dirigenti del consorzio Cavet e subappaltatori – «non meno di 44 933 milioni di metri cubi», quantità ben presto raddoppiata e triplicata. Le conseguenze? 57 chilometri di fiumi e torrenti essiccati, 37 sorgenti scomparse, 30 pozzi e 5 acquedotti prosciugati, falde acquifere abbassate di decine di metri… Agricoltori e allevatori in ginocchio, comunità costrette per anni a rifornirsi di acqua dalle autobotti, pompe e chilometri di tubi installati per riportare in alto l’acqua precipitata in basso. Ma mentre quell’acqua prima scorreva in torrenti e irrigava la terra, ora finiva nell’acquedotto civile, così la montagna restava all’asciutto, gli animali pativano la sete e scendevano in pianura. Per non parlare dello smaltimento abusivo di fanghi e rifiuti, dei terreni inquinati. Il processo Cavet era stato lungo e difficile, con un’alternanza di condanne e assoluzioni nei vari gradi di giudizio, e c’erano state altre inchieste, arresti eccellenti, uno strascico lunghissimo per un futuro ipotecato.” *
Anche per quanto riguarda il materiale di scavo l’opuscolo «Tav in Trentino: un buco nell’acqua» fornisce dei dati: “il volume di scavo in esubero da smaltire a deposito il totale sarebbe circa 8,5 milioni di metri cubi. La smaltimento di una tale quantità di roccia renderà necessari almeno 55.000 viaggi mezzo camion (con relativi effetti sul traffico e sull’inquinamento) e la creazione di nuove discariche sul territorio.”

Ma come si può procedere nella realizzazione di un’opera così impattante sul territorio, con “180 chilometri di percorso, di cui solo 27,4 non in galleria” e al tempo stesso sommergere il più possibile l’intera portata del progetto?
Anche a questo risponde esaustivamente l’opuscolo: “La strategia portata avanti da Provincia e RFI per riuscire a iniziare i lavori dell’Alta Velocità sembrerebbe attualmente quella di partire dal cuore del progetto, ovvero dai lavori all’interno della città di Trento. Spacciare l’inizio di un’Opera devastante con l’alleggerimento dell’attraversamento ferroviario in città è lo specchietto per le allodole cui politici e progettisti sperano che la popolazione trentina abbocchi.” Più o meno esattamente ciò che Ezio Facchin ha chiamato “PROGETTO INTEGRATO” nel suo primo intervento da assessore, mentre gli importi girati al Mef (Ministero dell’economia e delle finanze) e a Rfi (Rete ferroviaria italiana) dal Fondo Ferrovia di Autobrennero servirebbero proprio per “finanziare il rinnovo della infrastruttura ferroviaria del corridoio del Brennero, le infrastrutture connesse al nodo stazione di Verona, l’interporto di Trento, quello ferroviario di Isola della Scala-Verona.” Anche di questo fatidico “Fondo Ferrovia” si parla nell’opuscolo: “quello che comunemente viene chiamato tesoretto, è un’altra delle variabili, più o meno impazzite, dell’ingarbugliato triangolo “Tav Brennero-Verona, A22, Valdastico Nord”. Il “tesoretto” sono circa 500 milioni di euro che la società Auto-Brennero ha messo da parte, naturalmente godendo di esenzione fiscale, a titolo “fondo ferrovia”, da essere appunto usato per la realizzazione del Tav.”
I carotaggi silenziosi di questa fine di novembre a Mattarello, dunque, farebbero parte di quel lotto, il Lotto 3 – Circonavallazione di Trento della tratta di accesso Sud al Tunnel di base del Brennero e anche la forte militarizzazione dei lavori, con l’ausilio addirittura di droni, non lascerebbero affatto ben sperare sulla volontà di accelerare sui primi tratti di quest’opera tanto mastodontica quanto devastante. Perché al di là della retorica del Covid, quando dagli opinionisti e dai racconti della classe dirigente, ci veniva ripetuto per mesi e mesi che quest’emergenza del virus avrebbe cambiato tutto, compreso l’approccio alla società, all’ambiente e rivisto una buona volta le priorità effettive della politica, tutto è rimasto immutato e ci si appresta, al contrario, ad investire miliardi di euro in opere calate dall’alto e non richieste in alcun modo dalla popolazione. Forse qualcuno ha pensato bene di approfittare di un coprifuoco imposto in nome della salute o di una situazione oggettivamente difficile da tutti i punti di vista per favorire, ancora una volta, il sistema delle Grandi Opere, una delle cause principale dell’impoverimento generale del paese.

“Tav, Tac o Bypass” sembra evidente ciò che sta accadendo in Trentino e allora magari sarebbe utile cominciare a ribadire ciò che ci verrà sottratto con ogni singolo metro di Tav che, ricordiamo, equivale più o meno al costo di 100 giorni di terapia intensiva, che con l’equivalente di 500 metri di Tav ci si costruirebbe un nuovo ospedale da mille posti letto mentre con un singolo chilometro si potrebbe coprire un anno di tasse universitarie per 250 mila studenti, il ché non sarebbe affatto male in un paese che, in piena pandemia, lamenta carenza di medici e infermieri.
Già nel 2014 e nel 2015 il movimento NoTav in Trentino riuscì a bloccare le trivellazioni, prima a Marco poi a Novaline, con centinaia di persone che si opposero fisicamente ai primi cantieri. Oggi, obiettivamente, l’ora sembra più tarda di quella di allora e anche la situazione appare più complicata, in ogni caso la segretezza e l’omertà con la quale le istituzioni si stanno muovendo rivelano, ancora una volta, come quest’opera non sarà facile da far digerire alla popolazione.
Di questo e di tanto altro, presumibilmente, si discuterà alle prossime iniziative del movimento che non mancheranno certamente.
Lèbius nci passamus in sa terra.
- * Wu Ming 1, Un viaggio che non promettiamo breve – Venticinque anni di lotte No Tav, Einaudi – Stile libero big, 2016
Posted on 5 dicembre 2020
0