
Primi di dicembre, siamo in piena pandemia con l’Italia che torna ad essere il paese più colpito in Europa. Riparte il valzer dei Dpcm. Ll paese è suddiviso in zone gialle, zone arancio e zone rosse. La provincia di Modena sta per essere sommersa da un’altra alluvione, dopo quella di sei anni fa, dall’ennesimo e “ordinario evento catastrofico”, tanto per riutilizzare l’espressione del metereologo Luca Lombroso, centinaia di sfollati, fango, argini che cedono e la solita sequenza di danni da calcolare. Chi abita in zona esce praticamente senza soluzione di continuità da una zona rossa (Covid) a un’altra (alluvione) mentre, più o meno nelle stesse ore, in città, attori di opposti schieramenti si contendono la “scena politica”.
Da una parte Fratelli d’Italia che va all’RNord, srotola uno striscione giusto per la stampa, rimpiange Minniti e presenta la “mappa del degrado di Modena”, vale a dire, più o meno la stessa poltiglia che giornali del calibro della Gazzetta hanno spacciato per anni e anni.


Dall’altra la lista elettorale più a sinistra delle ultime elezioni modenesi (Modena Volta Pagina) che li segue a ruota perché «il tema della sicurezza è un tabù per la sinistra» (Minniti docet, sigh!) e in un un post in Caps Lock del suo presidente, che fa il coro all’ennesimo articolo della Gazzetta destinato a spaventare ulteriormente il cittadino medio sull’annoso problema del “decoro” e dell’ “insicurezza” che affligge la città e che in questo caso equivale a un gruppo di adolesce… ops scusate, a una “gang dei teppisti adolescenti” e chiede letteralmente che questi giovani siano “circondati, identificati e resi responsabili delle loro azioni UNA VOLTA PER TUTTE.”


Cosa sia effettivamente accaduto o casa abbiano fatto di preciso questi ragazzi non si capisce e non si capirà fino alla fine perché negli articoli che si susseguono è più una questione ambientale quella che traspare che un fatto in particolare. Una questione di “INSICUREZZA, DEGRADO, GANG, MALEDUCAZIONE, PAURA, VANDALISMO, ALCOOL e COS’ALTRO…”. Una questione di framing insomma che contrabbanda l’idea di una fetta di città in mano a una “gang giovanile” dove l’informazione principale non è tanto un “evento” o un “fatto” quanto una cornice fornita da un taglio del linguaggio che ne “confeziona” immediatamente il contenuto e non è un caso se le prime parole sono in maiuscolo, perché si tratta di frame che determinano subdolamente la cornice della “QUESTIONE DA RISOLVERE UNA VOLTA PER TUTTE” sventolando anticipatamente sotto il naso dell’interlocutore emozioni forti come paura e insicurezza. Un seguace attento di Salvini o il suo social media manager non avrebbero di certo prodotto nulla di meglio. Il linguaggio infatti è di chi cerca di ri-evocare una comunità omogenea minacciata da un’esternalità differente e anomala che in questo caso equivale a dei semplici adolescenti.
Qualcuno fa notare sotto il post di Modena Volta Pagina che forse quella non è la maniera migliore per affrontare la cosa “da sinistra” e che in una città dove un tempo c’erano centri giovani poi lasciati morire, che ha visto sgomberati manu militari più di dieci spazi sociali in dieci anni, dove le idee critiche vengono molto spesso soppresse o marginalizzate mentre ogni forma anche minima di autonomia è seppellita da denunce su denunce, forse la si poteva prendere anche da un’altra prospettiva e il post sparisce immediatamente dalla pagina.
Peccato che, il giorno dopo, quello stesso intervento cancellato dalla pagina ufficiale di Modena Volta Pagina (che a quanto pare non aveva considerato le esternazioni del suo presidente come condivise dall’intero gruppo) riappaia magicamente e sia proposto ad un pubblico ben più vasto dalle pagine della Gazzetta, in un pezzo a firma Carlo Gregori dal titolo «Gang di piazza Roma. C’è un quadrilatero di degrado e paura».

Insomma, se una mano leva l’argomento, un’altra lo rimette immediatamente al centro dei riflettori perché pare che senza il pane quotidiano del “degrado” e dell’ “insicurezza” in città non possa esserci nient’altro di interesante per il dibattito e l’opinione pubblica. E forse non è un caso se su quelle stesse pagine della Gazzetta altre “notizie” e altri “argomenti” molto spesso non trovano alcuna cittadinanza. Ad esempio, della manifestazione nazionale del 3 ottobre a Modena idetta dal SiCobas contro la repressione (repressione che ricordiamo in città conta più di 480 procedimenti penali contro lavoratori che scioperavano) la Gazzetta, nella sua edizione cartacea, non ha mai scritto nulla e si tratta pur sempre di un giornale della città. O ancora, la lettera aperta protocollata e consegnata al sindaco di Modena da parte del Consiglio Popolare nella quale si denunciava “il deterioramento del clima democratico e il restringimento delle agibilità sindacali” sul territorio e che era stata spedita preventivamente a tutti i quotidiani della città, Gazzetta compresa, anche questa non ha mai trovato alcuna cittadinanza sulle pagine di quel giornale. E gli esempi potrebbero continuare ancora a lungo.
Risulta quindi chiaro come il ruolo della stampa, come più volte abbiamo cercato di sottolineare su questo blog, non sia affatto marginale nella scelta dei temi da portare all’attenzione dell’opinione pubblica e sembra piuttosto eclatante che alcuni di questi, “degrado” e “insicurezza”, siano immensamente più gettonabili di altri.
A questo punto però bisognerebbe cominciare a domandarsi seriamente dove finisca il confine proprio dell’ “informazione” e dove inizi invece il campo della “propaganda” tout court.
Il marketing politico di base insegna come il consenso politico oggigiorno non si ottenga più tanto da battaglie sui contenuti (quella è roba riservata a quei “disadattati” che vanno ancora in piazza e che manco ottengono un trafiletto di giornale) quanto piuttosto entrando in contatto con l’immaginario comune del cittadino medio o perlomeno con la “cornice” confezionata appositamente per lui. Per chi è alla ricerca di consenso politico, infatti, il carpire gli umori dell’opinione pubblica non è più condizione sufficiente per il gioco del consenso perché è diventato molto più appagante e necessario mimetizzarsi direttamente al suo interno in modo da poter “sembrare attori dello stesso gioco”. In questo senso, il sindaco Muzzarelli che viene aggredito verbalemente (per sua stessa dichiarazione) da quegli stessi adolescenti che poi verranno trasformati dai titoli della Gazzetta in “gang dei teppisti adolescenti”, incarna perfettamente questa compenetrazione tra governanti e governati che sembrano così condividere gli stessi problemi e le stesse preoccupazioni. Il frame in questo caso è quello che ti suggerisce che anche il sindaco è “uno di noi” perché vittima anch’esso della stessa minaccia che aleggia su una parte di città: un gruppo di ragazzini. Non a caso, come ci ricorda perfettamente Tamar Pitch, “puntare sulla sicurezza ha voluto dire non solo legittimare ma fomentare la paura e utilizzarla in funzione di consenso”.
Dove finisce allora la “propaganda” e inizia l’ “informazione” in questi casi?
Ce lo domandiamo perché se “il caso” si fosse esaurito così, con un paio d’articoli sulla Gazzetta e con un post infelice del presidente di Modena Volta Pagina, allora forse non sarebbe stato necessario nemmeno buttar giù questi due appunti spaiati, peccato solo che “il caso” non fosse che all’ininizio.
Oltretutto, chi conosce un minimo i meccanismi dell’informazione sa benissimo che vi sono topic che “tirano” più di altri a seconda del momento e in quegli stessi giorni, guarda caso, nel paese rimbalzava dai media ai discorsi dei politici la megarissa fra adolescenti del Pincio di Roma. Un caso senza dubbio, perché in grado di tenere banco e di sopravvivere per più di dieci giorni in un habitat estremamente alternato e competitivo come quello dello dei quotidiani nazionali.

Perché dunque non avere la possibilità di appassionarsi anche nella più piccola e periferica Modena a una vicenda analoga? Ad una saga che ci parla di “baby-gang”, di «un quadrilattero di degrado e paura» e di una situazione “sempre più difficile da gestire e governare” nonstante Modena sia già una città profondamente e pesantemente presidiata dai militari dell’operazione “Strade Sicure”, sia già videosorvegliata quasi in ogni angolo e, soprattutto in centro, sia già caratterizzata da una presenza costante delle forze dell’ordine.


Passano pochi giorni e “il caso” sale anche in Consiglio Comunale con un’interrogazione di Fratelli d’Italia e del Popolo della Famiglia. Dopodiché è il turno del sindaco, nuovamente, il quale, citiamo testualmente dalla Gazzetta: “prima scuote la testa, poi lancia uno sguardo che fa capiere che no, che la cosa non gli va giù. Che non gli va bene come genitore, prima ancora che come sindaco perché al centro ci sono ragazzini che avrenno si e no sedici anni.” Perché ora, grazie alle “riflessioni del papà Gian Carlo e alle azioni del sindaco Muzzarelli” si proverà a “risolvere una volta per tutte il problema della baby-gang che da mesi – ma a periodi alterni anche da anni – ne combina di tutti i colori nel quadrante nord est del centro, creando il caos nel reticolo compreso tra via Torre, piazzale San Giorgio, via Modonella e la via Emilia” e lo farà ovviamente attraverso una “stretta” che intensificherà “ancor di più il personale, in particolare degli agenti che percorrono il centro in borghese e installando nuove telecamere che si sono rivelate un efficiente strumento di monitoraggio.”

La politica diventa così la polizia e la polizia viene investita invece di un ruolo che dovrebbe essere proprio della politica. Tutto questo però non placa di certo la paura del cittadino medio che anzi sembra essere sempre più spaventato nonostante la tonnellata di denunce e fotosegnalazioni quotidiane e la perenne cantilena politica di sottofondo che continua a riaffermare l’urgenza e la necessità di ancora più polizia, ancora più repressione, ancora più telecamere e ancora più risorse al comparto sicurezza, sottraendole magari da qualcos’altro.
E onestamente troviamo assai bizzarro leggere, da una parte, sul giornale, di una “situazione sempre più difficile da gestire e governare” per un gruppo di adolescenti, mentre dall’altra la quotidianità ti mette di fronte già ora ad un potere pubblico che non si preoccupa minimamente di esibire miltari con armi automatiche in giro per la città. Veramente un gruppo di adolescenti sono un problema “sempre più difficile da gestire e governare” per una città come Modena o come scrive Alessandro De Giorgi:
Queste politiche producono effetti paradossali, perché le persone sviluppano quello che Bourdieu avrebbe definito l’habitus a interagire con uno spazio urbano interamente ripulito di figure ingombranti, scomode, indesiderabili. Il problema è che in questo modo la tassonomia dell’indesiderabilità sociale tende a estendersi indefinitamente, fino al momento in cui ad essere allo status di frequentatori legittimi dello spazio urbano rimangono soltanto cittadini benestanti alla guida di enormi SUV o impegnati a consumare risorse negli spazi privatizzati della città neoliberale. Ma anche quando lo spazio urbano si ripulisce, la paura aumenta. È un dato ovvio di psicologia individuale, prima ancora che sociale: quanto meno le persone sono esposte alla differenza e all’altro da sé, tanto più tali differenze alimentano paure e angosce.
E non è un caso dunque se accanto al filone originario della “baby-gang”, data la morbosa attenzione mediatico-informativa, se ne creano subito di nuovi. Secondari. Degli spin-off della serie principale. Così, nei giorni immediatamente successivi, quasi come funghi a settembre, spuntano sempre sulla Gazzetta pezzi che fanno da eco alla saga principale.
In pratica, ogni gruppo di residenti-commercianti (che un tempo venivano definiti tranquillamente comitati anche se magari nella realtà erano composti da una, due o tre persone) ora reclama la sua fetta d’attenzione, dato il clamore e la facilità con la quale, evidentemente, a parlare di certi temi si finisce facilmente sul giornale.


Così «la Pomposa rivive l’incubo degli anni passati» e «Il grido di dolore dei residenti» fa il coro alla “baby-gang che è tornata” in Piazza Roma. A raccontarlo, guarda caso, è proprio un sedicente “portavoce dei residenti” (che chissà, sicuramente avranno fatto un’assemblea per designarlo, sigh!) il quale spiega che “ad aggravre la situazione ci sono assembramenti che si creano intorno ad alcuni negozi etnici”, “episodi che riguardano soprattutto giovani nordafricani: «Si tratta di un gruppo abbastanza circoscritto di persone, trenta o quaranta giovani, in gran parte marocchini e tunisini, che in quest’aera del centro fanno quello che vogliono, approfittando anche del minor numero di persone che ci sono in giro a causa delle restrizioni»”.
Dopodiché è il turno del “presidente” del Quartiere 4 Carmelo De Lillo che lancia invece l’allarme sulle “bande” a Villaggio Giardino: “giovani di età presumibile tra i 14 e 17 anni che bevono e fumano in compagnia”. Riportiamo sempre testualmente dalla Gazzetta (tagli nostri): “I volti di alcuni giovani sono noti, anche perché le telecamere di videosorveglianza della zona li hanno inquadrati. Molte immagini sono state consegnate alla polizia locale: in alcuni fotogrrammi si nota che l’uso della mascherina è spesso un optional.” O ancora: “lungo l’asse di viale Leonardo si segnalano uova lanciate sui balconi e attraversamenti “bizzarri”. Secondo una testimonianza, i ragazzi premono il pulsante del semaforo, attendendo il rosso per fermare le macchineper transitare da una parte all’altra, riprendendo più volte l’attraversmento.” Infine, la zona adiacente agli esercizi commerciali “si trasforma troppo spesso in uno spazio picnic”. Sigh!
E la domanda in questo senso non può che sorgere spontanea: ma questo genere di faccende sono così importanti tanto da finire elevate alla categoria “notizie” di un giornale di una città di 180.000 abitanti? E ciò mentre una lettera indirizzata al sindaco di quella stessa città di 180.000 abitanti la quale denuncia “il deterioramento del clima democratico e il restringimento delle agibilità sindacali” sul territorio non trova alcuno spazio su quelle stesse pagine?
La risposta ovviamente la sappiamo e crediamo che sia anche piuttosto evidente. A parlare è più il linguaggio della “propaganda” che quello dell’ “informazione” ormai.
Ciò che non salta all’occhio immediatamente, invece, al contrario, è ciò che spiega molto bene Wolf Bukowski nelle prime pagine del suo preziosissimo saggio “La buona educazione degli oppressi” circa il cuore e le ramificazioni di questi meccanismi. Perdonate fin da subito la lunghezza della citazione ma arrivare fino in fondo potrebbe risultare illuminante anche per “il caso” che stiamo trattando:
La meritocrazia è stata spacciata nei più vari modi, compreso quello fintamente egualitario che la vorrebbee come alternativa ai privilegi di nascita, ma è con tutta evidenza semplicemente il pretesto attuale con cui sono legittimati i privilegi di nascita (che un tempo, invece, erano legittimati dalla superiore instruzione, dalla tradizione militaree della famiglia, eccetera). Applicato alle classi inferiori il merito ricorda innanzitutto che chi è povero lo è perché non ha saputo meritarsi la ricchezza; e dunque che la sua povertà è una sua colpa. Nessuno lo dirà chiaramente, come è ovvio, ma si useranno formulazioni di comodo a seconda del contesto. Sul lavoro si dirà, per esempio, che non esiste un problema di disoccupazione, e anzi ci sono un sacco di lavori disponibili, ma sono i lavoratori a essere «non occupabili» e cioè troppo ignoranti per svolgerli con successo (fola, questa, tanto diffusa quanto priva di ogni base fattuale). Secondariamente, applicare la meritocrazia sul corpo delle classi inferiori significa modulare il welfare in modo disciplinare, educando il povero a meritarsi le prestazioni sociali, ponendolo cioè in condizione di dover convincere le autorità a concedergli qualcosa, non potendo esercitare alcun diritto. Siccome molti poveri non ce la fanno proprio ad assumere la parte dell’umile e vergognoso, perché la povertà è una parte già molto onerosa dda portare, la selezione meritocratica del buon povero consentirà anche la complessiva riduzione della platea di chi riceve prestazioni di welfare, realizzando quello che poi è lo scopo principale di tutta l’operazione , conforme al dogma neoliberale di riduzione della sfera pubblica.
Un esempio chiarisce assai bene questa dinamica, riconducendoci peraltro al tema del decoro. Cinque comuni del parmense, variamente amministrati (Lega, civici e sinistra), introducono dal 2019 la «patente a punti» per le case popolari. Se gli assegnatari o i loro familiari si mostrano indisciplinati, contravvenendo al regolamento condominiale in modo anche trascurabile, con violazioni come fumare o bere alcolici in spazi comuni o parcheggiare male, i punti vengono scalati e, di penalità in penalità, si arriva fino alla revoca dell’assegnazione; se invece sono decorosi inquilini modello, ottengono qualche punticino in più. Dall’applicazione di questo semplice regolamento, deliberato da amministratori di paese, risulta una completa distorsione del sistema normativo e sanzionatorio vigente, che diventa compiutamente catastale: chi ha una casa di proprietà se la cava – per un brutto parcheggio – eventualmente con una multa, o con un bel niente nel caso della birretta in giardino (perché poi dovrebbe essere sanzionata?); chi abita in una casa popolare rischia, col ripertersi di presunte violazioni di questo tipo, lo sfratto.
E ancora: l’applicazione di un regolamento di questo tipo è una macchina che produce odio e delazione tra i vicini, e che devassta i rapporti famigliari, per esempio rendendo gravi (per le smisurate conseguenze) comportamenti innocenti, che risulta persino difficile chiamare trasgressivi, di figli adolescenti. Poi magari quegli stessi figli, a scuola, si devono sorbire incontri con sedicenti educatori che spiegano come difendersi dagli haters sui social, quando invece è la società in cui vivono ad essere governata da fomentatori d’odio. Anche quando il diritto che il povero cerca di esercitare è elementare, il modo in cui gli viene negato è innervato da elementi meritocratici. Se la sola possibilità che gli resta è quella di dormire su una panchina, il senzacasa potrà essere colpito dal Daspo urbano, il feroce dispositivo introdotto nel 2017 dal ministro dell’interno Marco Minniti, perdendo così la possibilità di vivere – pur malamente – nella città, e questo non per aver commesso un reato o per una sua quelche pericolosità, ma solo per il fastidio sociale e l’attacco al decoro che la sua presenza comporterebbe. Gli amministratori, ovvero i mandanti del Daspo, diranno sciocchezze sul daspato, peraltro impossibili da verificare, come «non si è voluto fare aiutare», «non ha seguito il percorso indicato dai servizi sociali», ma ciò che nasconderanno tra menzogne e fumosità è che, nella legge e nella prassi, il diritto alla città e alla libertà di movimento del soggetto sono stati sostituiti dal diritto sovrano degli amministratori a scegliersi per via meritocratica, oltre che decorosa, i propri cittadini.
Poiché la meritocrazia finisce per riguardare tutto ciò che non è reperito sul mercato (dove vige invece un incomprimibile diritto ferino, quello del potere d’acquisto) le stesse istituzioni dialogano tra loro in termini meritocratici, perdendo di vista tra l’altro ogni pudore nella redistribuzione delle risorse. L’ente sovraordinato concederà così finanziamenti a quello sottoposto non sulla base dei bisogni sociali ma tramite bandi meritocratici, oppure le regioni ricche pretenderanno di tenersi le tasse che raccolgono perché se lo meritano (ovviamente il merito è provato dal fatto stesso di essere più ricche: ogni altro pretesto non è che di secondo piano rispetto a questo).
A dimostrazione del nesso tra queste prassi amministrative e l’ideologia del merito, la deputata del Partito Democratico Maria Chiara Gadda si indigna per la riduzione dei finanziamenti per i «bandi per le periferie», che sarebbero la dimostrazione che «in questo paese [è] giunto il tempo, e questo il governo Renzi-Gentiloni lo aveva capito molto bene, di premiare il merito». In effetti proprio questi bandi riallacciano sotto il segno della competizione meritocratica tutti i temi che ci interessano: gli amministratori dei quartieri che vogliono accedervi dovranno prima di tutto esibirli come quartieri impauriti, pigiando sul tasto dell’insicurezza e quindi, in definitiva, terrorizzando gli abitanti con la complicità di giornali locali, associazioni commerciali, eccetera; una volta raggiunto questo facile obiettivo presenteranno il progetto per i finanziamenti, spesso privatizzando il lavoro di redazione, perché non è tanto il bisogno sociale a venire riconosciuto quanto la capacità di scrivere bandi a essere premiata; poi, una volta ottenuti, quei soldi saranno usati per ripristinare il decoro e innalzare le quotazioni immobiliari del quartiere, foraggiando nei più vari modi gli speculatori. *
Insomma battere esclusivamnete sui tasti della paura e dell’insicurezza sembra pagare ancora una volta. Letteralmente. Non è detto però che funzioni. Anzi.
In quegli stessi giorni, inoltre, il Comune di Modena inviava a casa dei cittadini un questonario online “sulla sicurezza percepita” [sigh!] nel quale le domande inerenti alla “criminalità organizzata” presente in città, ed evidentemente anche in qualche spazio sulla Gazzetta, erano del tutto equivalenti, in termini numerici, tanto per dire, a quelle sull’“immigrazione” mentre il resto delle domande verteva, ancora un volta, quasi a senso unico, sugli aspetti tipici del binomio decoro/degrado. Perché, giustamente, la tua “sicurezza” deriva dalla presenza o meno di qualcuno che ti chiede una monetina per strada piuttosto che da chi ti leva l’articolo 18 o ti manda in pensione 5 anni più tardi!




Dunque non si può certo dire che l’informazione cittadina svolga un ruolo per così dire “neutrale” nella selezione delle notizie e nell’opera costante di portarle o meno all’attenzione dell’opinione pubblica e questo in un continuo gioco di rimbalzo e di osmosi con le tematiche predilette da chi detiene le redini dell’amministrazione pubblica e dai documenti da essa stessa prodotti.
«Il medium è il messaggio» recitava la fortunata e celebre espressione di McLuhan, il quale sostenva l’importanza di studiare i media non solo per i contenuti trasmessi ma anche e soprattutto dal punto di vista delle modalità con le quali questi contenuti venivano diffusi, alludendo al fatto che, per loro stessa natura, i mass media (e aggiungiamo noi, anche sondaggi e questionari) producevano un’influenza sui destinatari del messaggio che andava al di là dei contenuti specifici veicolati.
Detto ciò, torniamo al nostro “caso baby-gang” e riprendiamo a citare testualmente il penultimo articolo uscito sull’argomento dalla Gazzetta il quale, fra l’altro, mette a corredo del pezzo una foto di minorenni presa da evidentemente da una finestra o da un balcone e pubblicata senza remore sul giornale. Certo non si vede chiaramente il volti dei ragazzi (sarebbe illegale altrimenti senza il consenso genitoriale) ma la scelta è comunque molto discutibile e a nostro avviso e anche un po’ squallida. Il pezzo, a firma Gabriele Farina, in questo senso, risulta piuttosto indicativo: “Social, sballo, social. Sono le “s” che si ripetono in centro. Gruppi di giovanissimi si danno appuntamento via chat. Si ritrovano a nord di via Emilia centro. Fumano, bevono, litigano e si filmano con gli smartphone. Esasperano gli animi di residenti ed esercenti. Si dileguano all’arrivo delle forze dell’ordine. Salvo riprendere poco dopo.”

“Gli ultimi episodi risalgono alla sera di due giorni fa. Nella zona tra corso Canalgrande e via Farini sono state notate decine di giovani di età presumibilme tra i 14 e i 16 anni. La maggior parte italiani. L’aspetto curato da “Modena bene” stride con i comportamenti osservati.”
Chiaramente perché il concetto di degrado, aggiungiamo noi, come ricorda sempre Tamar Pitch, non si applica certo a tutte le posizioni sociali ma è riservato a chi (poveri, giovani, marginali, immigrati ecc.) ha bisogno di imporsi regole di decoro e non certo ai benestanti.
“Superalcolici che passano tra le mani di adolescenti. Mascherine abbassate mentre si alternano bevute e fumate.” Perché i trentenni dell’Irish bevono e fumano per caso con le mascherine alzate? Aggiungiamo sempre noi.
“Assembramenti e schiamazzi a turbare l’ultima domenica in zona gialla.” Poi la parola passa direttamente al “presidente del Quartiere 1” Antonella Bernardo che racconta come i residenti rimangano blindati in casa a causa di qeusta situazione. “Come per il sindaco il suo intervento va al di là della carica istituzionale. «Come mai le famiglie non sono al corrente di quanto fanno i loro figli?» si domanda. «Da madre, quando mio figlio esce, (le poche volte in cui esce) so dove va. Non capisco come mai questi genitori non facciano i loro controlli.»
Insomma il testo parla di “mascherine abbassate”, di “assembramenti e schiamazzi” che turbano “l’ultima domenica in zona gialla” e “di superalcolici in mano ad adolescenti” certamente cose spiacevoli soprattutto quest’ultima, ma nulla che possa giustificare razionalmente una situazione “sempre più difficile da gestire e governare” ed un “rischio” per la “sicurezza della città” tale da giustificare una “stretta” che intensificherà “il personale, anche con agenti in borghese e la necessità di nuove telecamere.”
Oltretutto nel pezzo a fianco, invece, che già dal titolo in stile Minority Report ci avverte di un “assalto” non tanto avvenuto ma che sarebbe potuto accadere se il commerciante non avesse fatto preventivamente il 113, la “notizia” inizia in questa maniera: “La zona è frequentata dalla nota baby gang dedita a scorribande e assalti gratuiti a passanti e negozi. «Andiamo dentro e sputiamogli addosso» è la frase registrata nella conversazione intercorsa tra sette giovani, poco più di quindicenni, appena sbucati da una via laterale, provenienti da via Taglio. I ragazzi si fermano alle soglie della strada che costeggia l’angolo sinistro del Palazzo Ducale, e puntano la vetrina del negozio di scarpe. «Ci vado io» dice uno, il più spavaldo, mentre gli altri se la ridono. Arrivato all’ingresso del negozio cerca di aprire la porta che uno dei giovani titolari fa in tempo a chiudere a chiava evitando che il ragazzo, in stato d’eccitazione da rissa, possa fare ingresso nel locale.”
Nemmeno in questo caso, quindi, pare che l’informazione principale sia un “evento” o un “fatto” chiaro, quanto semmai una “cornice” fornita più dal taglio e del tono dell’articolo che dal suo contenuto. Taglio e tono che indicano in ogni caso, ancora una volta e chiaramente una “QUESTIONE DA RISOLVERE UNA VOLTA PER TUTTE”.
Nel suo saggio “In nome del decoro” Carmen Pisanello scrive:
Lo spettro della devianza o della paura del diverso è agitato come strumento per imporre una normazione fittiziamente neutrale, molto spesso integrata in processi di trasformazione più larghi. La necessità di colpire quei soggetti deviati perché stigmatizzati come pericolo per la pace sociale non di rado sottende a una tutela degli investimenti immobiliari e dei flussi economici e turistici. Quella che è stata spesso definita come “ideologia del decoro” (De Giorgi 2015) è avanzata di pari passo al fenomeno della gentrificazione dei queartieri popolari, che colpisce tutte le città europee, e quello conseguente della delocalizzazione dei vecchi abitanti. La trasformazione dei centri storici in quartieri-vetrina privi di abitanti ma perfetti per il turismo e lo shopping, sono parte di un progetto di trasformazione della città, che è supportato e ageolato da queste misure e da “non ultimo, il sitema dei media, spesso legato ad uno o più di questi attori e comunque interessato all’immediato riscontro che deriva dal cavalcare ondate di panico” (Pitch 2013, p.13). **
Ricorda qualcosa?
Ed arriviamo “finalmente” all’oggi, 23 dicembre 2020, giornata in cui, per la prima volta, si può leggere nero su bianco un fatto di cronaca sull’affaire “baby-gang” e lo leggiamo solo nel titolo del pezzo e nella prima frase perché poi nel resto dell’articolo, sempre firmato Gabriele Farina, si parlerà più che altro di altri casi, precedenti. Però oggi i marcatori del discorso son ben precisi, più connotati, si parla di “rapina” di “aggressione”, di una persona “presa a calci”, dello “scippo” di un regalo e di un intervento del 118.

Significativo nel pezzo ciò che afferma il titolare del negozio di alimentari, Monir Mohammed, perché crea un cortocircuito nel quale tutti i vari livelli si toccano senza mai incontrarsi. Perché c’è il commerciante ma allo stesso tempo c’è anche il “negozio etnico” che ci suggerisce qualcosa riguardo alle attenzioni particolari della Polizia Locale, ci sono i consumi e lo scarso potere d’acquisto degli adolescenti da un lato e il centro-vetrina tutto a misura di turista dall’altro, ci sono i “residenti” adolescenti del centro da una parte e i commercianti, sempre del centro, dall’altra, insomma l’istantanea perfetta di un mosaico di interessi (e di diritti anche) molteplici e variopinti che però non si vedono perché l’unico discorso che può flitrare è quello della valorizzazione economica dell’area e di una sicurezza intesa unicamente come piano securitario: «Sono adolescenti del centro di Modena. Non sono tutti italiani, c’è anche qualcuno dell’est. Sono a Modena dal 2013 ed è la prima volta che succedono episodi così. Qualche gruppo manda avanti qualcuno che ha già fatto 18 anni e prende una birra grande. Poi lui esce e la dà agli altri del gruppo. La Polizia Locale pensa che sia colpa nostra, non sappiamo cosa fare.»
E il bello è che a Modena sembra che nessuno abbia più idea di cosa fare. La scuola così come le unità sanitarie locali si sono trasformate in aziende. Tutto è quantificabile, misurabile e valuatabile in termini di produttività ed efficienza. Abbiamo un unico dio, il mercato, che domina ogni cosa. Sembra che più la città diventa smart, più si dota di occhi elettronici in ogni anfratto, più perda al tempo stesso la sua capacità di riconoscersi. Abbiamo telecamere dappertutto ma non siamo più capaci di indagare alcunché e fenomeni ci sfuggono di mano sotto gli occhi. Abbiamo soldati che girano armati per la città e giornali che titolano che servono più agenti per fermare le “baby-gang”.
A Modena sembra che nessuno abbia più idea di cosa fare e, al tramontare di questo funesto 2020, il nemico pubblico principale della città pare siano diventati i suoi adolescenti.
I suoi figli.
Merry crisis and a happy new fear.
*Wolf Bukowski, La buona educazione degli oppressi. Piccola storia del decoro, Edizioni Alegre 2019
**Carme Pisanello, In nome del decoro. Dispositivi estetici e politiche securitarie. Ombre Corte 2017
Posted on 23 dicembre 2020
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