14 dicembre, nove anni dopo…

Posted on 17 dicembre 2019

0



Il 14 dicembre 2010 l’aria di Roma era leggera. Cuori allegri, teste alte.

 

When the stars threw down their spears 
And water’d heaven with their tears:
Did He smile His work to see?
Did He who made the Lamb make thee?

134966_167886856581043_6418322_o

 

Il sole splendeva alto e le pure le stelle erano apparse ad osservare quella strana “archeologia del futuro” che si sarebbe presto accesa in Piazza del Popolo.

 

Tyger Tyger burning bright, 
In the forests of the night: 
What immortal hand or eye,
Dare frame thy fearful symmetry?

133557_167887023247693_3408551_o

Quel giorno, per le vie di Roma, si manifestava contro la riforma Gelmini mentre in Senato, un “bivacco di manipoli” votava la fiducia al governo del Cavaliere. Dietro ad uno slogan semplice ma efficace come “Uniti contro la crisi” invece scendevano in piazza tutte quelle realtà già isolate e abbandonate da ogni circuito istituzionale: c’erano i terremotati de l’Aquila, il popolo avvelenato di Terzigno e Chiaiano, il movimento per l’acqua pubblica, i NoTav, i metalmeccanici di Pomigliano, gli operai che erano saliti a protestare sui tetti e i migranti sulle gru.

Il futuro era in piazza lo si annusava, lo si assaporava quasi come un impulso utopico, lontani, molto lontani da quella gabbia di “presente invecchiato male” che ci circonda. Quest’ultimo, semmai, lo si poteva ritrovare nei dintorni della “zona rossa” in quel deprimente teatro-farsa della politica istituzionale dove ogni misfatto non andava più celato ma ribadito per renderlo vanto e orgoglio agli occhi dei cittadini, come i cartelli a favore di Scillipoti (l’eroe della giornata) che un gruppo di pakistani, senza lavoro da più due anni, esponeva di malavoglia davanti a una chiesa nel centro di Roma.

Una mattina magnifica quella del 14 dicembre. Poi, alle 13.40 la grammatica della democrazia italiana avrebbe abbandonato definitivamente i binari della dignità e la notizia della fiducia votata al governo scendeva su una piazza che allora esplose letteralmente di rabbia (che è sentimento nobile) e di ribellione. «I tre voti che salvano il governo cancellano definitivamente la fiducia della piazza nella politica, cancellano il futuro di una generazione. E ne condannano un’altra alla precarietà. La stessa rabbia degli operai metalmeccanici arrivati da Padova o da Pomigliano che vedono il modello sociale di Marchionne puntare contro di loro come come i blindati della Polizia e della Finanza. Vedono tornare il panzer Sacconi lanciato a bomba contro lo Statuto dei lavoratori.» come riassumerà benissimo Loris Campetti su il Manifesto. La manomissione definitiva di quest’ultimo, tuttavia (prima col governo Monti poi con Renzi), sarà affidata a quel grimaldello criminale che per convenzione chiamiamo “centro-sinistra”, il quale molto raramente, purtroppo, indigna o preoccupa la cosiddetta società civile.

Affettando con l’accetta la storia recente italiana potremmo riassumere sommariamente dicendo che dopo il 14 dicembre verrà il 15 ottobre 2011 (data per la quale stanno pagando ancora in tanti, troppi, una feroce repressione) poi il riflusso, la quiete, la pace sociale, con l’ideologia del “decoro” spalmata sui residui di partecipazione.

Banalizzeremo enormemente ma, dopo quella data, è come se il conflitto e la politica fossero diventati fattori periferici, marginali, o meglio, marginalizzati. Certo con importanti eccezioni. Le lotte ambientali ad esempio, con il movimento NoTav primo fra tutti, vero e proprio faro in questi anni tristi e bui. O le lotte di genere, con il movimento NonUnaDiMeno che forse risulta essere la punta di elaborazione politica più avanzata presente oggi in Italia (e forse pure a livello globale). I movimenti antifascisti e antirazzisti, in tutte le loro forme ed espressioni locali, da Piacenza a fino agli anticorpi di Macerata. E per finire, ma non certo per ultime, le lotte sul lavoro nelle quali la composizione migrante, quella senza diritto di voto e che subisce costantemente il ricatto del permesso di soggiorno, si posiziona già da tempo al vertice di tutte le lotte sindacali presenti oggi in Italia.

Eppure non c’è più sintesi. Pur essendo il paese pieno zeppo di lotte e di conflitti questi ormai sono stati messi all’angolo, nascosti, minimizzati, silenziati e criminalizzati. Così anche le piazze sono diventate “decorose” e, quando la partecipazione di massa torna prepotentemente sulla scena, ciò che viene espresso è soltanto una sensazione di malessere che sembra declinarsi unicamente in una richiesta di pace sociale e di moderazione.

Le “Sardine” non sono altro che il frutto ammuffito di questi anni invecchiati male, delle nostre sconfitte e del nostro non essere all’altezza di questi tempi terminali. Il grado zero della politica italiana. Banalità.

Non vorremmo nemmeno parlare delle “Sardine” eppure, dopo che queste hanno riempito Piazza San Giovanni il 14 dicembre (qua un bel reportage), nove anni dopo quel 14 dicembre, qualche cosa bisogna pure dirla, per non sfuggire alla realtà.

Partiamo dalla base. Innanzitutto, a nostro avviso, il termine “movimento” in questo caso risulta del tutto fuorviante. Un movimento, per quel che conosciamo, sono persone che per un certo numero di mesi hanno voglia di vedersi, di stare assieme, di parlarsi e incontrarsi mossi dall’urgenza di determinati temi. Marciano insieme, fanno assemblee, discutono, organizzano, creano immaginario, salgono sui tetti, mettono striscioni, bloccano rotonde e cose così insomma. Le “Sardine”, al contrario, assomigliano di più a una “piattaforma” per scendere ed inscatolarsi insieme in una piazza. Per riempirla. Per sentirsi meno soli e ritrovare quella serenità, quei “buoni sentimenti” rovinati dall’avvento dei “sovranisti” e dei “populisti” (chiamiamoli così) nostrani.

Le “Sardine” sono il “bene del paese”. Sono un “movimento” non “movimento” per far tornare le lancette dell’orologio ad un tempo che mai ci sarà, sono Landini che parla della necessità di “un patto tra lavoratori, imprese e governo per rimettere in piedi il nostro paese” sono l’antidoto alla paura. Sono il contraccettivo per la realtà.

A ben guardare sembrerebbe quasi che il nemico non sia più nemmeno Salvini ma l’odio in generale (che è un sentimento nobile quanto la rabbia), il “populismo” e tutti  quei cattivi che non consentono al buon governo del Pd di vincere facilmente le elezioni in Emilia-Romagna (sono nate a Bologna un mese fa le “Sardine” durante la campagna elettorale per le regionali).

ggg

Banalizzeremo ancora una volta ma a noi ricordano da vicino quello che fu un altro “movimento” non“movimento”.

Piccolo flashback.

L’ondata di promesse che, dentro la crisi, è  riuscito a catalizzare il M5S andrebbe analizzata più con la psicologia che con una fantomatica scienza politica anche se, quello che ci preme sottolineare, è il dislivello che intercorre tra le aspettative e le realtà “sul campo”, così mentre le piazze si riempiono per lo show di un comico-politico, le lotte subiscono una repressione sistematica: sgomberi di centri sociali, centinaia di denunce in tutta Italia, multe per “blocchi stradali” con richieste da 2.500 a 10.000 Euro, perfino processi alle carriole risalenti al terremoto dell’Aquila e senza contare la fila di Ministeri (Presidenza del Consiglio, Ministero degli Esteri, Difesa, Economia) che si sono costituiti parte civile contro i NoTav, nel silenzio più tombale.

“I mezzi cambiano il fine”

Ovvero: se tu hai un obiettivo, il fatto di raggiungerlo con la pratica X o con la pratica Y, cambia la natura di quel che raggiungi, modifica l’obiettivo stesso…

Dalla Casaleggio Associati agli admin dei gruppi Facebook delle “Sardine” c’è una certa distanza, i risultati concreti prodotti in questi anni dai primi, tuttavia ,dovrebbero farci riflettere sui rischi (già parecchio evidenti) che corrono i secondi.

Prendiamo da qua: “Il movimento delle Sardine recupera consensi sul terreno del centro-sinistra e finisce così per rispondere a una necessità delle classi dominanti, non solo in Emilia Romagna ma in tutto il paese. Nel paese dell’ex-Ilva e di Alitalia, bombe sociali in grado di mettere in ginocchio il nostro paese, l’area politica che ruota attorno al PD continua ad utilizzare strumentalmente il radicamento sociale ereditato dal vecchio PCI ed a usare – sfruttando il mondo dell’associazionismo ad esso affine – le strutture giovanili e sindacali per far sì che tutto cambi, senza realmente cambiare nulla. Nel frattempo si lascia alla Lega il rapporto con gli strati popolari che maggiormente sentono gli effetti della crisi e per questo non possono contenere la loro rabbia. Si produce così quella contraddizione tipica del dualismo politico italiano in cui la sinistra dice di combattere contro la Bestia (ieri Berlusconi e oggi Salvini) mentre costruisce materialmente l’ipotesi reazionaria consegnando la rappresentanza politica delle classi popolari alla destra e condividendone con essa le politiche reali.”

E se diamo per buono che il contesto sia questo abbiamo già tutti gli elementi per osservare come “i mezzi cambiano il fine” e come vadano a modificarsi poi sul campo gli obiettivi stessi.

Piccolo esempio:

79103123_2648684851834552_6877113101917880320_n

Così, mentre in Francia una ragazza di 21 anni può essere arrestata solo per aver filmato dei poliziotti intenti a commettere violenza sui manifestanti e condannata a 8 mesi di carcere per la «violence psychologique» inflitta agli agenti filmati, qua in Italia, il “movimento” più nutrito e partecipato pensa bene di equiparare la violenza verbale a quella fisica.

Un intento magari pure opportuno a un primo sguardo superficiale ma che andrà a modificare inevitabilmente l’obiettivo stesso una volta applicato sul campo. Un intento che non colpirà affatto Salvini e i suoi accoliti (i quali hanno tutti i mezzi per proteggersi o sedersi in qualche studio televisivo) ma ogni forma di lotta e di conflitto che con estrema fatica tentano ancora di affacciarsi e barcamenarsi in questo paese. Senza contare che equiparare tout court la violenza verbale a quella fisica significa entrare in un campo nel quale è prevista la fine di ogni critica, verbale!

Non ci dilunghiamo oltre perché, come scrivono giustamente in questo blog collettivo:

Lo scenario è talmente desolante che tutte le polemiche di questi giorni sembrano veramente superflue, siamo arrivatx a un punto in cui tutto è stato reso invisibile e i movimenti assomigliano alla parodia che può mettere in campo Roberto Saviano dalle colonne di un giornale del gruppo L’Espresso. Niente a che vedere con la realtà, si disputa solo una partita di potere tra blocchi simili e contrapposti che vogliono governare questo paese, con gli stessi obiettivi e gli stessi morti sulla strada. Uno di centrosinistra e uno di centrodestra, of course. Nel frattempo ogni rivolta e ogni conflitto sociale viene represso con la violenza brutale della polizia e dei tribunali. Ma le Sardine sono lì al sicuro, in quella piazza recintata, a cantare canzoncine e innalzare cartelli colorati.

Qualche giorno fa, lavoratori e lavoratrici delle campagne hanno bloccato uno dei maggiori porti commerciali di questo paese, mentre altrx bloccavano contemporaneamente un centro commerciale in un’altra regione del sud. La risposta della polizia è stata come al solito violenta e brutale, con denunce, pestaggi, lacrimogeni e manganellate. Zingaretti del PD si è subito dissociato e ha condannato la lotta, mentre il sindacalista della sezione locale della FLAI CGIL si è addirittura complimentato con la polizia: “Un lavoro encomiabile quello che stanno facendo i poliziotti del commissariato e dei carabinieri di Gioia Tauro”. Ecco, quando vedo che le piazze delle Sardine sono gestite da gente come questo tizio della FLAI e che ringraziano Digos e Polizia penso che non ci sia davvero nulla da aggiungere.

Fortunatamente corpi e realtà evolvono col tempo. A volte basta poco, a volte ne occorre di più. Prima o poi però si giunge sempre ad un bivio e allora occorre scegliere. Guardare le crepe e far emergere le contraddizioni.

Il “cattivo esempio” lo abbiamo già dato. Ed è stato estremamente bello…