3 gennaio 1925. Moniti di entrata negli anni ’20.

Posted on 3 gennaio 2020

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Il 3 gennaio 1925 è convenzionalmente indicata dalla storiografia come la data in cui il fascismo, anche se non ancora formalmente, si fece dittatura.
È il giorno in cui il Presidente del Consiglio, Benito Mussolini pronuncia alla Camera il suo celebre discorso sull’omicidio Matteotti, il parlamentare socialista rapito e ucciso il 10 giugno da una banda di squadristi guidata da Amerigo Dumini.

Il 3 gennaio è l’atto costitutivo del fascismo. La giornata in cui, a un Mussolini con le spalle al muro (è uscito da poco il memoriale di Cesare Rossi, vice segretario del Partito Fascista, che lo accusa apertamente dopo il suo coinvolgimento diretto nell’omicidio) la Camera dei Deputati risponde con un pavido silenzio.

 

raimo

 

Roma, 3 gennaio 1925
Parlamento del Regno, Camera dei deputati, ore 15.00

L’aula di Montecitorio è gremita dal centro fino alla destra estrema eppure bastano quei pochi banchi ostinatamente vuoti dell’ala sinistra a necrotizzarla come un infarto del miocardio. Quasi tutti i deputati secessionisti dell’opposizione sono, però, comunque presenti, nascosti tra la folla delle tribune. Giù in basso, nell’emiciclo, Francesco Giunta scherza con Alfredo Rocco al banco della presidenza, l’onorevole Lanza di Trabia grida “viva l’Italia”, Farinacci ribatte urlando “viva il fascismo!”, gli squadristi intonano Giovinezza. Oggi nel Parlamento d’Italia si scherza, si urla, si canta,nessuno parla.

Da due giorni i ventricoli del Paese fibrillano, le voci di dimissioni del presidente si susseguono, le piazze risuonano di clamori antifascisti poi, incassata la smentita, tornano silenti. La scena muta di minuto in minuto, in un’altalena di passioni tristi, la vita si vive come in un film cinematografico. Si vocifera che “Lui” sia accasciato, umiliato dalla raffica che lo ha investito, prossimo al collasso; altri sostengono che i consoli della Milizia gli avrebbero inoculato il bacillo della resistenza. In ogni caso, aspettano tutti Lui, con il fiato sospeso, lo aspettano come l’evento capace di stendere le proprie conseguenze sul resto di un’esistenza, di spezzare il cinema naturale della vita in un prima e in un dopo.

Pochi minuti dopo le 15.00, l’onorevole Mussolini entra in aula dalla solita porticina di destra, seguito dagli onorevoli Di Giorgio, Federzoni e Ciano. Appare “accigliato e scuro in volto”, annota il cronista del Corriere della Sera. Il Duce del fascismo liquida con un cenno della mano destra gli applausi rituali dei suoi accoliti e prende il posto dietro il banco della presidenza. Quando l’onorevole Rocco gli chiede la parola, nel silenzio più teso, con un gesto abituale, Benito Mussolini si aggiusta il nodo della cravatta. Poi parte subito all’attacco. Una secessioni delle opposizioni funziona se l’avversario patteggia, ma quest’uomo, messo con le spalle al muro, creduto oramai spacciato da tutti i suoi nemici, dimostra subito che non scenderà a patti. La sua poltrona di presidente del Consiglio è ancora una barricata, la sua apostrofe è rivolta a viso aperto ai suoi nemici. “Signori! Il discorso che sto per pronunciare non potrà essere classificato a rigore di termini come un discorso parlamentare. Io non cerco da voi un voto politico, ne ho avuti già troppi.” L’oratore adesso impugna un libro. È il manuale dei deputati che contiene lo Statuto del Regno. L’attenzione di tutti si concentra sul volume rilegato come su una granata innescata. “L’articolo 47 dello Statuto dice: la Camera dei deputati ha il diritto di accusare i ministri del re e di tradurli dinanzi all’Alta corte di giustizia. Domando formalmente: in questa Camera, o fuori da questa Camera, c’è qualcuno che si voglia valere dell’articolo 47?” È un ostensione. Benito Mussolini alza il libro delle regole democratiche in faccia ai parlamentari come un prete che esibisca ai fedeli la particola del corpo di nostro Signore Gesù Cristo.

Silenzio.
Uno solo.
È sufficiente che parli uno solo e lui sarebbe perduto. Tra i capi delle opposizioni, seduti ai loro scranni o mischiati tra la folla delle tribune, ci sono uomini di coraggio. Per anni la loro vita quotidiana è stata una trincea, hanno sopportato continue minacce, alcuni sono già stati picchiati più volte. Basta che si alzi uno soltanto di loro, che si erga solitario nell’accusa, spezzando la disciplina di partito, l’anello della violenza, opponendo forza morale a forza fisica, rispondendo all’appello del futuro, giustiziato nel presente per esser vendicato dai posteri, sommerso dalla vita per salvarsi nella storia. È sufficiente che si alzi uno solo per avvelenare tutto ciò che “Lui” avrebbe ancora da dire, annotato in pochi appunti aperti all’improvvisazione su di un foglio volante.

Nessuno si alza.
Balzano in piedi soltanto i cortigiani fascisti per applaudire il loro Duce. Allora il Duce dilaga. Se nessuno in quell’aula ha osato alzarsi solitario nell’accusa, sarà lui, Benito Mussolini, a levare l’accusa contro se stesso. E così la sua voce s’innalza potente nell’aula di Montecitorio mitragliando una sillaba dopo l’altra. Si è detto che lui avrebbe fondato una Čeka. Dove? Quando? In quale modo? Nessuno potrebbe dirlo. Se nessuno lo incolpa lui, allora si discolpa: lui si è sempre detto discepolo di quella violenza che non può essere espulsa dalla storia ma lui è coraggioso, intelligente, lungimirante, la violenza degli assassini di Matteotti è vigliacca, stupida, ceca. Non gli si faccia il torto di crederlo così cretino. Lui non si è mai dimostrato inferiore agli eventi, lui non avrebbe mai nemmeno immaginato di poter ordinare l’assurdo, catastrofico assassinio di Matteotti, lui non l’odiava affatto quell’avversario inflessibile, lo stimava perfino, ne apprezzava la testardaggine, il coraggio, così simile a quel duo coraggio che gli ha mai fatto difetto. E ora sta per darne una prova.

Benito Mussolini tace per qualche secondo come chi debba ricaricare un’arma. Poi si pianta le mani sui fianchi, protende il collo e riprende a scandire le sillabe, martellando le frasi in rapida sequenza. Per mesi si è fatta una campagna politica immonda e miserabile, si sono diffuse le menzogne più macabre, più necrofile, si sono fatte inquisizioni anche sotto terra. Lui è rimasto calmo, ha frenato i violenti, ha fatto opera di pace. E i suoi nemici come hanno risposto? Alzando la posta, aggravando il carico. Si è inscenata la questione morale, si è detto che il fascismo non sarebbe una passione superba del popolo italiano ma una libidine sconcia, che il fascismo sarebbe un’orda di barbari accampati nella nazione, un movimento di banditi e predoni. In questo modo, riducendo tutto a delinquenza, si suggerito agli italiani di non prendere mai nulla per vero, si è insinuato il velenoso sospetto che il cielo, la terra, l’aria, i colori, i suoni, gli odori siano tutti solo l’inganno di un demone maligno, che il dramma grandioso della Storia – la lotta dei popoli giovani contro quelli decadenti, il molo mediterraneo del continente europeo lanciato verso quello africano – andrebbe derubricato come un banale, inutile caso di cronaca nera. Si è, insomma, revocata in dubbio l’intera creazione, attribuendola alla farneticazione di un dio idiota che vomiterebbe stringhe di frasi insensate dal centro di un universo ignoto, si è sostenuto che il mondo sarebbe nient’altro che un perpetuo errore regolato dal male.

E, allora, Lui, adesso, con il suo abituale coraggio, Lui si opporrà ai calunniatori della vita, del mondo, della storia:

“Ebbene, signori, io dichiaro qui, al cospetto di questa assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere!”

Di nuovo, nessuno si alza ad arrestare il figlio del secolo. L’aula risponde con un unico urlo, rispettoso, devoto, entusiasta:  “Tutti con Voi! Tutti con Voi, presidente!”

Lui, allora, issa il mento verso l’orizzonte, gonfia il petto, tira le somme. Quando due elementi sono in lotta e sono irriducibili, la soluzione è la forza. Non c’è mai stata altra soluzione nella storia e non ce ne sarà mai. Lui, uomo forte, promette che la situazione sarà chiarita “su tutta l’area” nelle 48ore successive al suo discorso. Quell’espressione ambigua, prefettizia – “su tutta l’area” – cala sulla Camera dei deputati come una pietra tombale. La seduta è chiusa senza discussione né voto. L’assemblea sarà riconvocata a domicilio.

Smorzatosi il clamore delle ovazioni fasciste, l’aula, lentamente, a poco a poco, si svuota. Benito Mussolini rimane a lungo, da solo, seduto al suo banco di presidente.*


 

Nella stessa notte, viene diramata una circolare ai prefetti nella quale si proibiscono manifestazioni, si mette un bavaglio definitivo all’informazione e agli “abusi della stampa periodica”, per evitare che si diffondessero “notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico” e si ordina lo scioglimento delle formazioni antifasciste.
Il giorno dell’Epifania, il ministro degli Interni Luigi Federzoni espone un primo bilancio di quest’attività: 55 circoli chiusi o sciolti; 150 esercizi pubblici chiusi; 25 organizzazioni sciolte; 125 gruppi dell’associazione antifascista sciolti; 111 arresti; 655 perquisizioni.
Tra l’inizio del ’25 e la fine del ’26 entreranno in vigore le cosiddette “leggi fascistissime” architravi della dittatura.

 

Ma perché ricordarsi del 3 gennaio del ’25, a quasi un centinaio d’anni di distanza?

Perché in questo breve capitolo del volume di Scurati su Mussolini, che racconta quella giornata e che abbiamo trascritto, si ritrovano alcuni sintomi di un vecchio morbo che allunga i suoi tentacoli fino a noi, a questi primi giorni del nuovo decennio.

C’è innanzitutto il richiamo ad una “legalità” tutta formale (quante volte l’abbiamo sentita in questi anni!) che ha già ridotto la “democrazia” ad una mera “governabilità” tutta a favore delle élites, dei potentati economici e degli interessi esclusivi ed escludenti del mercato. È la stessa legalità criminale di chi invocò lo “Statuto” e che oggi riprende vita e vigore nei decreti sicurezza targati Minniti e Salvini. È la “legalità” che non dimentica certamente che in Italia è ancora in vigore il Tulp (il Testo unico di pubblica sicurezza del 1931) e che in questi mesi sta elargendo “fogli di via” a più non posso o multe di 4.000 euro a chi ha osato scioperare o semplicemente solidarizzare con uno sciopero.

Novantacinque anni fa Giacomo Matteotti veniva rapito e assassinato da una squadraccia fascista per metterlo a tacere. Il deputato socialista, infatti, si stava preparando ad accusare pubblicamente i vertici del governo e della monarchia di corruzione. Era in possesso dei documenti che provavano tangenti per la concessione di terreni ad una compagnia petrolifera straniera (anche allora i fasci erano i primi sovranisti!) la Sinclair Oil.

Oggi, mentre il Tav si rivela, ancora una volta, per ciò che è sempre stato, un enorme buco inutile con la mafia intorno, con “associazioni a delinquere” tipo la ‘Ndrangheta interessate ai lavori in Val di Susa, lo Stato, tramite il suo apparato giudiziario, decide di occuparsi con estremo zelo e ferocia di chi si oppone da sempre a quell’opera divoratrice di risorse pubbliche e dopo Giorgio, Mattia e Luca che hanno già trascorso il Natale in carcere, va a prendere anche Nicoletta Dosio per rinchiuderla.

Nicoletta Dosio

Così, dopo Turi Vaccaro in carcere da oltre un anno, in un disinteresse quasi totalitario, la “democrazia” italiana può richiudere tranquillamente in una cella Nicoletta Dosio, coordinatrice nazionale, fra l’altro, di un partito politico candidato alle elezioni, Potere al Popolo, nel più assordante silenzio dei cosiddetti “sinceri democratici antifascisti”.

Un silenzio che ricorda tanto quello che caratterizzò la Camera dei Deputati, esattamente novantacinque anni fa.

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*Antonio Scurati, M. Il figlio del secolo, Bompiani 2018.