Il voto in Emilia visto da Modena. Tra un putsch al pub e una normalità asfissiante.

Posted on 29 gennaio 2020

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Modena, fine gennaio 2020.

Sono da poco terminate (finalmente) le elezioni regionali, quelle dell’Emilia-Romagna sulle quali pesavano incognite di respiro nazionale. Bonaccini, il presidente-governatore uscente, ha vinto. Salvini ha perso. L’Italia è salva. L’Emilia-Romagna resiste. Evviva, evviva l’Emilia-Romagna.

Sinceramente, nemmeno lo si sarebbe voluto scrivere un altro pezzo inutile sulle elezioni emiliane se non fosse che la distanza che separa un certo racconto speranzoso sull’Emilia e l’Emilia vera e propria, non risultasse così profonda.

Perché non tutti in Italia, fortunatamente, si sono dovuti assorbire tonnellate di retoriche tossiche sull’emiliano che se deve fare una macchina fa una Ferrari, su una Regione di eccellenze, sulla locomotiva d’Italia, sui «numeri alla mano», sul «stiamo bene così, grazie», sul «Bonaccini ha governato bene», sulla spocchia quasi razzista e coloniale di una Regione “particolare” e “diversa” da tuute le altre.

Lo diciamo chiaramente perché forse, “da fuori”, non lo si comprende ancora appieno ma alle regionali del 26 gennaio ha vinto un “sovranista”.

«Siamo l’Emilia-Romagna» era lo slogan. Siamo «un passo avanti». «Emilia» idea senza parole.

Non si tratta solo di slogan purtroppo. Ha vinto un “sovranista” perché Bonaccini è capofila di quella truppa di presidenti, leghisti, Zaia per il Veneto e Fontana per la Lombardia, che rivendicano con forza la realizzazione della cosiddetta “autonomia differenziata”. Una specie di “secessione” delle ricche regioni del Nord dall’Italia. Una riedizione molto concreta di quel vecchio sogno leghista denominato Padania. Ha vinto un “sovranista” perché «siamo l’Emilia-Romagna».

Qualche tempo fa, in una celebre intervista, fu chiesto a Margaret Thatcher quale fosse stato il suo più grande successo e lei rispose affilata con una battuta che il suo più grande successo era il New Labour di Blair.

Ecco, battere la Lega di Salvini votando un leghista, questo forse è stato il più grande capolavoro di queste elezioni regionali.

In fin dei conti a ciò si riduce quella competizione elettorale permanente che caratterizza le attuali “democrazie” realizzate e che scambiamo spesso e volentieri per la democrazia tout court. Un imbroglio puro e semplice. Una patacca che si nutre di consenso democratico mentre appiattisce ogni differenza distruggendo e fagocitando, al contempo, ogni istanza di cambiamento.

Così, forse, l’unica cosa intelligente da fare nel tentativo di spiegarle queste elezioni, è raccontarle in carne ed ossa, dal territorio, quasi in presa diretta, da uno dei due fortini (Bologna e Modena, che sono state anche le prime due città ad assitere alla comparsa delle Sardine) che hanno retto meglio l’assedio leghista . Questo consentirebbe anche di lasciar trasparire il “non detto” di questa campagna elettorale, la molestia quotidiana, lo stalkeraggio politico ai danni del cittadino, con l’aristocrazia televisiva in visita in città, il solito codazzo di Fdo aprresso e la grancassa della (LORO) “sicurezza” a farla da padrona ovunque.

Un esempio: quando Salvini arriva per la prima volta in città per il suo show di questa campagna elettorale, mezza città viene occupata militarmente. In molti si lamentano per il disagio ma il sindaco, il giorno dopo, sembra quasi fargli da eco. Si rinfaccia all’ex ministo dell’Interno il mancato stanziamento di ancora più forze dell’ordine, così quando il pericolo-per-la-democrazia rappresentato dal fascioleghista tornerà in città si potrenno chiudere militarmente altre tre o quattro strade per consetirgli una più confortevole passerella.

Perché osservata da “dentro”, questa campagna per le Regionali, questa “democrazia” realizzata, appare quasi come un’avventura coloniale che cala come una cappa soffocante sul territorio. E attenzione, non ci stiamo riferendo semplicemente agli eserciti materiali, visibili e riconoscibili, ma anche a quei meccanismi psichici che una tale polarizzazione competitiva tende a produrre sotto traccia.

Ad esempio, negli ultimi giorni di “campagna” abbiamo scoperto tanti insospettabili (amici, conoscenti, persone di «sinistra») che si sarebbero donati alla pratica del voto “disgiunto” pur di scampare al pericolo Salvini. Spaesamento e incomprensione poi capisci che semplicemnete le scorie del neoliberismo hanno intaccato ogni cosa nel profondo e si sono insediate anché lì, nella competizione politico-elettorale.

Capisci che anche in questa situazione la retorica dominate è chiaramente un residuo neoliberale, come se la “responsabilità” di un’ipotetica vittoria della Lega percolasse sulle responsabilità di ciascuno più che sulla merdate fatte dal Pd in questi anni.

Si tratta, a ben guardare, dello stesso meccanismo neoliberale che ti dice che se non trovi un lavoro è perché non ti sei impegnato abbastanza, che se sei povero è sostanzialmente colpa tua e non di una società diseguale la quale, le disuguaglianze, non fa che produrle e aumentarle. È un dito puntato che ti dice che sei tu, “votante”, che devi essere “responsabile” in questa situazione e votare “responsabilmente” contro le “forze del male”, perché altrimenti la colpa sarà tua e non di poteri istituzionali sempre più sordi, feroci e criminali o di una calsse politica poco dissimile da quel pericolo fascioleghista che si vorrebbe scongiurare.

Esattamente un anno fa (il 26 gennaio), in quello stesso territorio dove oggi si celebra la grande vittoria della “democrazia” contro le “forze del male”, veniva sparato il record di lacrimogeni lanciato in una sola giornata dai tempi del 3 luglio 2011. Il bersaglio? Lavoratori in protesta davanti ai cancelli di Italpizza. Così, mentre operai e i facchini si battevano contro lo sfruttamento e per la conquista di condizioni di lavoro migliori, i notabili del Pd locale, dal sindaco fino all’ultimo dei consiglieri, si schieravano con la parte datoriale, stigmatizzando picchetti e scioperi, appoggiando l’utilizzo della forza pubblica per ristabilire l’ordine, le serrate e l’utilizzo dei crumiri. Perché questo è il «buon governo» del Pd oggi in Emilia-Romagna, e queste sono le «radici emiliane» che farebbero della nostra regione un unicum irripetibile, assemblato con profonde dosi di “superiorità morale” e perbenismo.

Alla fine, il succo di questa campagna per le Regionali emiliane si poteva tranquillamente ridurre ad un paio di parabole spiritualizzate che non esigevano alcuna spiegazione. «Idee senza parole» come l’affermare costantemente la fandonia del «buon governo» dell’Emilia, delle sue «eccellenze» o della sua «unicità» non fosse altro che il contraltare del ripetere, a disco rotto, «Bibbiano!»  «Bibbiano!» «Bibbiano!».

a51ed54efe67c033Dopotutto, nella palude politica emiliana le variazioni genetiche erano già in atto da tempo e i mutanti ormai venivano a galla. Così, a Modena, potevi ritrovarti un riciclato cinque stelle, candidato per il Pd, che tentava di stoppare l’avanzata leghista contrastandola col verde Lega (litá) e una conferenza nello stesso luogo (la Camera di commercio) nel quale, un paio di giorni prima avrebbe fatto la sua passerella Giorgia Meloni. Oppure i dettagli cromatici che, a nostro avviso, risultavano indicativi. Salvini che “vince” ai magini della città, nella Bassa, in Appennino o nelle sua vasta periferia urbana che non conosce macchie di discontinuità, a Maranello ci va vestito di “rosso” e non si tratta solo di un omaggio alla Ferrari, riteniamo, così come il “verde” di Bonaccini non è affatto affare casuale. Sincretismi e ibridazioni di un territorio che ha ancora bisogno di raccontarsi per ciò che non è già più da tanto tempo.

 

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Confezioni differenti che devono competere per mostrarsi più accattivanti e raccogliere un voto in più dell’avversario per un prodotto commercializzabile sostanzialmente simile. É la politica ridotta a marketing con la ricetta che rimane invariata e immodificabile: politiche securitarie, grandi opere (Passante di Bologna e Bretella Campogalliano-Sassuolo), regali alle imprese, pugno duro e criminalizzazione degli scioperi, «decoro urbano» invocato contro i più deboli, ordinanze e regolamenti comunali contro gli ultimi, sorveglianza diffusa, telecamere ovunque, incessanti richieste di più polizia o «controlli di vicinato» tipici dei regimi dittatoriali.

Perché, lasciatecelo dire, l‘unica vera differenza che intercorre fra la Lega e il Pd (Peggiore Destra), è che i primi della cattiveria e della disumanità se ne vantano mentre i secondi fanno finta di non vederla, o peggio, di nasconderla sotto fiumi di retorica e maquilage.

A differenza di quella sera di metà nevembre, nella quale le Sardine riempirono Piazza Grande, dopo il “bagno di folla” di qualche giorno prima a Bologna, Salvini e la sua Bestia torneranno ancora in città, più volte, e lo faranno in tutta tranquillità. Come fossero già di casa.

Si faranno trovare e fotografare nei luoghi della “movida” modenese come se nulla fosse, giocheranno a ping pong con tale Brumotti di Striscia la notizia (non linkiamo certa merda) il quale manderà in onda un servizio sullo spaccio a Modena proprio il giorno coincidente a un’altra visita di Salvini e che, come in un perfetto triangolo calcistico, gli fornirà anche la location” ideale e l’argomento principe per la passerella successiva a poche ore di distanza, fra l’altro, dallo schifoso blitz al Pilastro che, verosimilmente, gli si ritorcerà contro come un boomerang. Ma Brumotti che fa da amplificatore alla propaganda del fascioleghista è semplicemente la versione su scala nazionale di una qualsiasi “inchiesta” di una Valentina Reggiani o di molti articoli che escono quotidianamente sulla Gazzetta, così come il putsch al pub non avrebbe fatto altro che confermare cose già ampiamene risapute sulla fauna di via Gallucci.

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È strano. Viste da vicino, queste elezioni, hanno rappresentato qualcosa di molto diverso dalle narrazioni che ne sono venute fuori a livello nazionale. Il sospiro di sollievo nella notte di domenica, alla notizia che Salvini e il suo partito fascioleghista non avrebbero espugnato l’Emilia-Romagna non è durato neanche una frazione di secondo. Anzi.

Chi conosce e ha lottato anche solo un minimo in questo territorio sa perfettamente che le differenze tra una vittoria di Bonaccini  e quella di “una che negli anni Novanta incrociavi nei centri sociali d’impronta meno militante adesso milita eccome: è candidata «governatrice» di estrema destra” sarebbero state minime. Di contorno, di toni, di sfumature e la tendenza alla “rimozione” applicata in questo territorio rispetto al cattivismo esplicito di un Salvini qualunque è affare altrattanto pericoloso.

Bisogna tenere a mente che in queste città lungo la via Emilia (Modena e Bologna in particolare), quelle che le retoriche nazionali di questi giorni descrivono come «resistenti» all’avanzata leghista, e nelle quali sono attivi violentissimi processi di speculazione, di turistificazione e di gentrificazione, il Partito ha dimostrato ancora una volta di possedere tutta l’ “attrezzatura” necessaria per governare al “meglio” nel peggiore dei modi.

Si festeggia.

Sarà, ma a noi parevano leghisti.

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