Modena e “i sapori della città” ai tempi della seconda ondata.

Posted on 22 novembre 2020

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Un vecchio adagio giornalistico, che potrà anche sembrare scontato ma non lo è, sosteneva che quando parlano le persone di potere, o comunque quelle di una certa rilevanza economico-politica, occorresse sempre prestare una certa attenzione alle loro parole.

In una città come Modena, dove l’ipocrisia è abituale quanto il particolato che c’è nell’aria, questo non sempre avviene. Detto senza mezzi termini, anche l’informazione locale non può certo permettersi eccessive divagazioni nei paraggi della sincerità o del ragionamento ma è altrettanto vero che qualcosa sfugge sempre. Può essere una parola di troppo, una riga, un titolo, un trafiletto di giornale che non passa inosservato, qualcuno che non sta al gioco, oppure, molto più banalmente, qualcun’altro che si lascia scappare una battuta o una proposta che finisce per rovinare una festa che si stava celebrando da anni. Come afferma un vecchio proverbio cinese: basta la caccola di una mosca per rovinare il brodo.

Così può capitare che ascoltando, per caso, la presentazione della nuova Guida turistica di Repubblica dedicata a Modena, con lo chef Bottura e il sindaco Muzzarelli intenti a “raccontare i sapori della città”, si scoprano «i problemi della Fondazione Auxilium e del vescovo» nella tanto decantata “ristrutturazione” dell’ex cinema Cavour.

Dettagli che in tempi di Covid passano indubbiamente in secondo piano, eppure sono sempre dettagli che rientrano nel macrotema della cosiddetta “rigenerazione urbana” – termine sotto al quale potrebbero rientrare tranquillamente anche i brillanti successi delle “riqualificazioni” della premiata ditta Sitta-Pighi, con le grandi imprese edili del Novi Park e dell’Ex Manifattura Tabacchi “salvata” dall’intervento della Cassa Depositi e Prestiti o le torri (vuote) del Centro Ferriere davanti alla Maserati, quelle della fallita Trenkwalder – che nei fatti sta letteralmente ridisegnando la città.

Basti pensare ad esempio a ciò che sta già accadendo e che accadrà nell’area dell’ex Amcm, con la convenzione urbanistica sottoscritta, nell’agosto del 2019, dal direttore generale del Comune Giuseppe Dieci, dalla dirigente Pianificazione territoriale e Rigenerazione urbana Maria Sergio e dal rappresentante legale della Cmb, Roberto Davoli, con il teatro delle Passioni abbattuto e la “svendita – regalocome scriveva Italia Nostra nel luglio del 2018al raggruppamento di imprese di buona parte degli immobili del complesso storicamente pubblico. Si cede gratuitamente un patrimonio apprezzabile in quindici milioni di euro, secondo i criteri ufficiali di stima seguiti dal Comune per determinare le valorizzazioni apportate da varianti urbanistiche.”

Un film già visto in una città che ha smesso da tempo di considerare la cultura come un antidoto e l’ha trasformata direttamente in un bene di consumo come tutti gli altri. Posticci e cementizi, in una parola: senz’anima.

Una città dove il territorio è diventato marketing a tutti gli effetti, dove il turismo era in crescita esponenziale, come ci racconta Massimo Bottura,

«abbiamo creato a Modena un turismo enogastronomico, che non è il turismo da bottiglietta di plastica, guardo il Duomo e vado via […] cioé un turismo, vi dico, appena prima della chiusura per lockdown del 9 di marzo, noi avevamo in centro a Modena messère Rothschild e monsieur Arnault che camminavano a braccetto per il centro di Modena. Capite. Cioé, questo è il turismo di cui stiamo parlando, un turismo importante (un altro modo per dire ricco n.d.r.) che va a fare shopping nei negozi, che passa dal centro ed è parte di quello che è Modena. Sono nati più di ottanta bed & breakfast, negli ultimi cinque anni, solo nel centro storico di Modena. Questo è il turismo.»

chiarendo perfettamente ciò che sostiene Sarah Gainsforth nel suo Airbnb città merce, vale a dire, come il turismo sia diventato «uno strumento di produzione di località per l’estrazione di valore dalla città-merce».

Insomma, una città dove, mentre “messère Rothschild e monsieur Arnault camminavano a braccetto per il centro” ed erano “parte di quello che è Modena”, ai lavoratori in lotta fuori dai cancelli delle aziende venivano recapitati fogli di via, come durante il ventennio. Espulsi dalla città, in confino. Dopotutto, secondo gli suoi organi di Giustizia cittadini, commemorare la marcia su Roma non è considerato apologia di fascismo ma in compenso si può condannare per “concorso morale” a sei mesi di reclusione, 9 anni dopo, chi una celebrazione del genere la contestò. Una città nella quale, infine, a breve, quello stesso Tribunale, manderà alla sbarra per aver osato scioperare oltre 400 operai, tra il silenzio e l’indifferenza più infame del suo primo cittadino.

Scrivevamo, giusto un anno fa, in una panoramica sui loghi sgomberati e riconsegnati direttamente all’abbandono, di cui questo pezzo non è che il prosieguo, “che il sistema migliore per accaparrasi il territorio è quello di far credere di essere l’unica forza in grado di “salvarlo” dal degrado e dall’abbandono e ciò proprio a discapito di quelle comunità che quel territorio lo vivono e lo abitano quotidianamente.”

Il paragone era un po’ quello del pioniere americano che, qualche secolo fa, sosteneva di liberare le terre selvagge mentre al contrario se ne stava impadronendo e le politiche portate avanti in questi anni, con estrema ferocia anche se non direttamente visibili e riconoscibili, in fondo erano tutte tese a distruggere selettivamente i molti “ecosistemi” nei quali si tentava, fra mille difficoltà, di tenere in vita comunità e culture alternative. In pratica tutto ciò che si muoveva in maniera autonoma, libera e slegata da quel groviglio inestricabile di interessi e di potere, che in questo territorio fa rima esattamente col Pd, andava represso, cancellato, emarginato o silenziato.

Ora ritorniamo per un attimo alle dichiarazioni dello chef più illustre della città, o del “grande ambasciatore del percorso di modenesità nel mondo” tanto per utilizzare le parole del sindaco Muzzarelli, e vediamo cos’è sfuggito questa volta di rilevante dalle maglie e dalle reti del politicamente inoffensivo:

«E per ultimo anche il sociale. Ecco, con le nostre… abbiamo dato un esempio… Tra l’altro lancio al sindaco un nuovo progetto, in questo momento che ci guarda in diretta, per me sarebbe stupendo, ora come ora, visti i problemi della Fondazione Auxilium e del vescovo, mettere insieme il Refettorio, l’Associazione per l’integrazione delle donne e il Tortellante che ha bisogno di più spazi, perché stiamo producendo talmente tanti tortellini col Tortellente che abbiamo bisogno di più spazio, quindi mettere insieme le tre identità e fare con la Caritas di Modena un grande polo sociale da poter essere un esempio a livello mondiale di quello che si può fare. Si recuperano delle anime fragili dalla strada e gli si insegna a cucinare, si recuperano le nonne e i ragazzini e si tiene viva la tradizione, si mette tutti insieme i cuochi del territorio e si servono pasti meravigliosi, aprendo le braccia e dicendo a tutti: Buongiorno, ben arrivati, venite qua che ci pensiamo noi a voi.»

L’ex cinema Cavour non viene mai citato espressamente, eppure è evidente ciò di cui si sta parlando: di un luogo storico della città, riaperto dopo diciassette anni di abbandono, il 3 dicembre 2017, a un mese esatto dall’occupazione di un altro ex cinema, l’Olympia sgomberato in fretta e furia manu militari sempre nell’autunno di quell’anno maledetto.

Si trattava di un vecchio teatro di fine ‘800 adibito a cinema nel primo dopoguerra, con un passato che interseca sia la Resistenza che il fermento culturale e politico del ’68. Era chiuso da diciassette anni nostante fosse di proprietà della curia e sarebbe potuto benissimo essere trasformao in un museo solo per la macchina da proiezione che conserva abbandonata al proprio interno. “Perché a Modena ormaicome si scriveva l’anno scorsosono le occupazioni a “fare territorio” mentre l’irrazionalità privata lascia dietro di sé solo un deserto di abbandono e un tessuto urbano sempre più disarticolato.”

Ovviamente, come sempre accade in questi casi, domenica 3 dicembre 2017, il giorno stesso in cui venne riaperto l’ex cinema Cavour, il presidente della fondazione Auxilium proprietaria della struttura, tale Lorenzo Selmi fece subito presente che su quell’edificio “c’era già un progetto”. Dopo diciassette anni di abbandono, “c’era già un progetto”. Una mensa per i poveri, dentro a un ex teatro poi adibito a cinema. Sarà?!

Quasi un anno dopo, nell’ottobre di del 2018, a sette mesi dall’immancabile sgombero, che avverrà il 12 aprile 2018, dopo che una sorta di vita nell’ex cinema era ripresa con concerti, conferenze, presentazioni di libri e assemblee importanti come quella sulla nuova legge urbanistica regionale del 5 gennaio 2018, il sindaco di Modena, Giancarlo Muzzarelli, il vescovo della città, Erio Castellucci e il presidente della presidente Fondazione Auxilium, Lorenzo Selmi, si facevano accendere tutti i riflettori per presentare per mezzo stampa, l’avvio dei lavori di ristrutturazione in pompa magna.

«Apriremo i primissimi dell’anno – spiegava allora il vescovo insieme a Lorenzo Selmi, presidente della Fondazione Auxilium, il ‘braccio’ operativo della diocesi modenese – e diverrà un luogo bellissimo perché salvaguardiamo la sala che è storica e densa di avvenimenti.»

Chiaramente, a più di due anni di distanza, di quell’apertura imminente e della mensa per i poveri che si sarebbe dovuta realizzare all’interno del Cavour, oggi non v’è alcuna traccia, anzi si scopre, grazie alle parole sfuggite al noto chef Massimo Bottura: «visti i problemi della Fondazione Auxilium e del vescovo», che la tanto declamata “rigenerazione dello spazio urbano”, anche in questo caso, pare non stia procedendo affatto nel migliore dei modi.

Ricordiamo, per la cronaca, che per quell’occupazione verranno processate 26 persone e che proprio “l’imminente realizzazione della mensa” sarà uno dei motivi principali che spingerà la curia, tramite la fondazione Auxilium a chiederne lo sgombero a mezzo stampa. Prendiamo dalla Gazzetta:

Qual è la situazione Selmi? «Assolutamente assurda, e non capiamo perché, visto che l’ex Olimpia era stato liberato molto più in fretta e non vorrei che si pensasse di avere comportamenti diversi in base alla proprietà degli spazi occupati. Sono allibito perché l’articolo 633 del Codice penale dice che a occupare luoghi privati si rischia la reclusione. In Procura c’è un fascicolo e ci sarà un magistrato che se ne occupa, ma non accade nulla e io sono preoccupato perché non possiamo realizzare la nostra mensa». […] Ci è stato affidato questo bene a inizio degli anni Duemila (marzo 2018 sigh! n.d.r.), ma qui non riusciamo a procedere…

Ma non è finita qua perché, in parallelo, a pochi giorni di distanza dall’uscita di Bottura, si viene a scoprire, sempre dalla Gazzetta, che tra due mesi, cioé a gennaio 2021, si terrà il terzo tentativo di vendita all’asta di quell’atro ex cinema, anch’esso riscoperto, “riqualificato” e riaperto alla città grazie a un’occupazione nel novembre del 2017, l’Olympia chiuso e inutilizzato dal 2002.

Trattasi, anche in questo caso, di un altro bene storico della città abbandonato dai primi anni del 2000. Uno stabile di estremo valore o, per utilizzare le parole del Ministero dei Beni Culturali, di “una significativa testimonianza di architettura dello spettacolo del Secondo Novecento” e vincolato dal 2008 dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici. Insomma un edificio caro a tanti modenesi, tanto che persino il giornalista della Gazzetta, Carlo Gregori, sarà costretto a domandarsi sibillinamente: «Non si sa quali effetti possa aver avuto la chiusura ermetica per evitare occupazioni messa in atto in questi ultimi anni (l’Olympia fu in effetti occupato per alcune settimane dal Guernica), ma sicuramente chi acquisterà le sale dovrà affrontare lavori importanti per risistemare le sale.» Per la cronaca, durante le operazioni di sgombero, il 30 novembre del 2017, quando i muratori cominciarono a murare gli ingressi laterali dell’edificio e a sigillare l’entrata principale assisteva alla scena una funzionaria del tribunale preoccupata che l’intervento non rovinasse nulla di un edificio vincolato dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici.

I “sapori della città”, dunque, anche ai tempi della seconda ondata della pandemia sembrano essere sempre gli stessi. Capitalismo reale, Stato di polizia e una sorta di vero e proprio fascismo giudiziario che utilizza il codice Rocco come clava e i nuovissimi e scintillanti decreti sicurezza come manganello. Dopotutto, come afferma anche il direttore della celebre rivista scientifica The Lancet, nel suo ultimo editoriale, “il coronavirus non è affatto una livella”, e la pandemia sta rendendo palese come le scelte messe in campo per contrastarla riflettano esattamente i rapporti di forza politico-economici di quel dato momento, ne siano in qualche modo il frutto e a pagare, purtroppo, sarà proprio chi per primo è più debole e/o meno organizzato.

Poi è risaputo che la tanto decantata legalità viaggia spesso su binari adiacenti a quelli della materia, della pecunia e dei baiocchi. Un po’ come l’appeal e se ti chiami Massimo Bottura la tua parola o il tuo progetto varranno infinitamente di più di un qualche centianio e passa di sfigati che, per l’arco di un autunno, sollevarono prepotentemente il tema degli spazi e dell’estrazione di valore dalla città e che provarono in tutti i modi a farsi sentire tentando d’immaginare bislaccamente un’alternativa palpabile alle macerie del presente.

Dissolvenza.

Venerdì 6 novembre. Modena, Piazza Grande. Manifestazione lanciata da un gruppo chiamato “No lockdown Emilia Romagna”. La militarizzazione della piazza è meno minacciosa che in altre situazioni, come sempre più spesso accade ultimamente, sia presente l’intero ufficio Digos della Questura di Modena al gran completo. Non filmano nulla però in questa occasione, si limitano a guardare.

La manifestazione è partecipata – ci sono più persone, ad esempio, che in quella del giorno successivo organizzata dal Consiglio Popolare per accendere i riflettori sulla strage dell’8 marzo nel carcere di Sant’Anna – ed estremamente eterogenea. Si spazia dai curiosi agli scettici del virus, dagli anti-mascherina a persone poste effettivamente in condizioni estremamente precarie dal nuovo dpcm, c’è tanto disagio e tanta improvvisazione però in un primo momento, le poche parole che si riescono a percepire sembrano avere un minimo comun denominatore condivisibile: «Se mi chiudi tu mi paghi.»«Serve una sanità potenziata e pubblica.»«I nostri ragazzi non possono andare a scuola perché la scuola non produce e chi ci governa ci vuole ignoranti.»«Stiamo diventando uno Stato di polizia.»«Con le chiusure faranno fortuna solo le multinazionali come Amazon.» «Serve un reddito universale.» «No, perché l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, serve poter lavorare.»

C’è il cosiddetto (passateci il termine) popolo in quella piazza ma c’è anche un sacco d’ambiguità. Incazzo latente, toni agressivi, molto di pancia, qualche fascio col Moncler osserva dalle retrovie. Al primo intervento contro la mascherina di un saltimbanco che sembra essere estremamente a suo agio in quella piazza (fra l’altro lo stesso che la settimana successiva denuncerà, giustamente, attraverso un paio di video il fermo di polizia di un ragazzino minorenne), risponde il drappello di giovani comunisti con le bandiere appresso. Dopo poco questi ultimi se ne andranno senza nessun rimpianto. Il sindacato intercategoriale – l’unico in città ad aver sollevato in maniera pittosto decisa il tema della sicurezza sul lavoro dopo un focolaio scoperto all’interno della Gls – osserva la situazione senza intervenire direttamente al megafono. Molto presto i contenuti degenerano tra il negazionismo e il paranormale.

Non si capisce bene come bisognerebbe muoversi perché qualcosa c’è ma è schiacciato da un rumore di fondo complottista che urla e spira più forte, sempre più forte.

La sensazione è nettissima così com’è nettissima l’idea che i vuoti si riempiono in fretta e che abbandonare il contrasto serrato della gestione della pandemia da parte del governo sia quanto di più pericoloso si possa fare.

Òc’

Nel mentre, nella vicina Francia si adottano misure pre-dittatoriali. Governanti che regnano a colpi di ordinanze e di ricorsi all’articolo 49.3 hanno da poco adottato una legge (sécurité globale) che vieta ai giornalisti e ai semplici cittadini di filmare o fotografare i poliziotti in azione pena multe fino a 45mila euro e un anno di prigione.