Amazon, il Rio (a) Secco del cantiere emiliano.

Posted on 29 marzo 2021

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È un caso che proprio l’Emilia sia al centro di questo passaggio? L’Emilia che coltiva ancora i suoi rituali fuori tempo, come una vecchia signora che ha visto tempi migliori – la regione in cui si firmano con la medesima disinvoltura, “Patti per il lavoro” e rinvii a giudizio (per chi lavora)?

A osservarli da vicino certi passaggi, dalle rive della via Emilia, là dove gli stantuffi di un territorio quasi completamente antropizzato incontrano la propria “valorizzazione“ nel placare la sete di profitto di un “modello di sviluppo“ sempre più squilibrato, insostenibile ed iniquo, si possono ricavare le prime tracce inequivocabili degli smottamenti che stanno investendo il nostro modo di vivere, quella way of life che nella ricca Emilia è ancora celebrata come prospettiva possibile e realizzabile. Così succede che in provincia di Modena, più o meno in concomitanza con il “primo sciopero di filiera Amazon al mondo“, una piccola polemica tutta interna al Pd – partito che in questo territorio affonda i suoi tentacoli praticamente ovunque – squarci per un attimo quel velo d’ipocrisia che da tanto, troppo tempo annebbia questa fetta di pianura e i suoi distretti produttivi.

Succede così che un giovane sindaco di Spilamberto, Umberto Costantini, in un maldestro tentativo di difendere la contestatissima costruzione di un nuovo centro logistico Amazon nel suo comune, si lasci sfuggire dichiarazioni che, ad un tratto, travalicano quel muro impenetrabile che caratterizza, da almeno un ventennio, un gran pezzo del mondo del lavoro in terra emiliana, in quella landa cioè che di “rosso“ conserva soltanto la fascia cromatica delle restrizioni anticovid e chi si appresta (come vedremo) a privatizz... ops ad “esternalizzare“ anche quei servizi pubblici eccellenti (nidi e materne) che venivano spesso associati e presi come sinonimi di buona amministrazione.

Ma partiamo proprio dalle parole di Costantini che non possono di certo essere facilmente equivocate e che si posizionano direttamente come interne a quel partito di governo che amministra il territorio:

«É giusto chiedere ad Amazon di favorire condizioni sempre migliori per i propri lavoratori, ma bisognerebbe fare lo stesso per alcuni settori che da anni e decenni, nel Modenese ma non solo, potrebbero fare meglio in questo ambito. Penso alle aziende della lavorazione delle carni, della pizza, del surgelato, del settore alimentare in generale.»

Dunque, sebbene il sindaco di Spilamberto non faccia alcun nome nello specifico, i riferimenti sembrano essere piuttosto chiari e indirizzati verso quelle aziende del territorio conosciute per le vertenze che si sono succedute in questi anni davanti ai loro cancelli. Così, ipotizziamo, che con “aziende della lavorazione delle carni“ si intenda AlcarUno, ad esempio, nota società“ attiva nel settore carni del distretto modenese a cui lo scorso marzo la finanza sequestrava beni per oltre 16 milioni di euro su una maxievasione di oltre 80, o che con “del surgelato“ si faccia riferimento alla Castelfrigo mentre “con della pizza“ a Italpizza. Riferimento, quest’ultimo che diventerà ancor più esplicito con la provocazione successiva:

«Quindi lancio una provocazione per il mio partito, il Pd: rifiutiamoci di accettare anche un solo euro, nei bilanci delle feste dell’Unità del territorio, di sponsorizzazioni o contributi da parte di aziende che non rispettano come dovrebbero, nonostante gli annunci, i diritti dei lavoratori.»

Agosto 2020, Nicola Zingaretti alla Festa del Pd di Modena.

Insomma, per una volta, a far emergere il lato oscuro del territorio e a collegare idealmente la “città ufficiale” – quella che parla di “eccellenze”, di Motor Valley, di turismo importante” come “messère Rothschild e monsieur Arnault” tanto per dirla come Bottura e di rigenerazione urbana – a quell’altra, alla “città sommersa” che le scorre accanto invisibile e parallela – fatta di sfruttamento, di lotte per i diritti più basilari, di manganelli, di lacrimogeni e di teoremi giudiziari – non è qualche radicale imperterrito facilmente derubricabile a scocciatura attraverso gli strumenti dell’ordine pubblico o della censura informativa; no, questa volta è lo stesso Partito Democratico ad ammettere che effettivamente qualcosa che non va c’è nel tessuto produttivo amministrato.

E sono ammissioni” importanti perché fatte in una città e in un territorio che si dà il caso contino già più di 400 persone alla sbarra, fra lavoratori e solidali, per processi inerenti a scioperi riguardanti esattamente settori e aziende citate da Costantini.

Chiaramente a quest’aspetto repressivo, che forse è il lato che dovrebbe maggiormente interessare e interrogare chi si definisce “democratico”, non si fa alcun accenno anche perché, quest’opera di verità del tutto inedita e inaspettata, è più che altro un artificio retorico “sfuggito di mano” e teso più che altro a giustificare la concessione edilizia per l’insediamento nell’area di Rio Secco di una multinazionale come Amazon. Posto che invece i diritti dei lavoratori si conquistano battaglia dopo battaglia, mi ritengo ancora convinto della nostra scelta su Amazon.

«Attorno al centro Amazon di Spilamberto non ci saranno le coop spurie di facchinaggio che abbiamo imparato a conoscere, anzi che hanno flagellato il nostro territorio. Posto che invece i diritti dei lavoratori si conquistano battaglia dopo battaglia, mi ritengo ancora convinto della nostra scelta su Amazon. Preferisco un settore dove ci sono diritti da conquistare, perché questo non mi spaventa, piuttosto che un settore dove i diritti sono negati da decenni e le cose cambiano poco».

Insomma, si ammette che sul territorio in alcuni settori industriali i diritti dei lavoratori “sono negati da decenni” parlando addirittura di “flagello” delle cooperative spurie solo per aprire le porte ad una multinazionale il cui ex ceo, Jeff Bezos, a fronte di un arcinoto sfruttamento della manodopera e di condizioni di lavoro imposte ai propri dipendenti al limite del distopico, guadagnava qualcosa come 4.000 dollari al secondo, l’incremento di capitale più importante della storia. Ora per dare un’idea della proporzione di questo osceno squilibrio, immaginiamo di guadagnare 4.000 dollari di stipendio per 13 mensilità e di farlo dall’anno in cui Colombo mise piede per la prima volta in America fino ad oggi, il patrimonio che avremmo accumulato sarà comunque di gran lunga inferiore a quanto questa persona guadagna in un solo giorno. “Bezos ha un patrimonio di 186 miliardi di dollari. È l’uomo più ricco del mondo, ed è così ricco che se oggi regalasse 105mila dollari a ogni dipendente, il suo patrimonio personale sarebbe comunque uguale a quello che aveva a metà marzo” scriveva su Internazionale Giovanni De Mauro nel dicembre del 2020.

Il problema però è che, come scrive Robert Reich sul Guardian, Amazon è in grado di esercitare vere e proprie azioni estorsive nei confronti degli stati – extorted states to provide them tax breaks as condition for locating facilities there (Amazon is a champion at this game) – e di “bullizzare” le città nelle quali si installa – bullied cities where they’re headquartered (Amazon forced Seattle to back down on a plan to tax big corporations to pay for homeless shelters). Insomma, non è affatto detto, come sostiene il sindaco Costantini che Amazon non sia poi tanto peggio delle finte coop.

Ma per comprendere a modo queste dichiarazioni che, come vedremo, non sono state di certo lasciate senza reazioni all’interno del partito, bisogna calarle nel contesto del primo sciopero nazionale dell’intera rete di distribuzione Amazon in Italia. Quello del 22 marzo. E se certe dichiarazioni non hanno avuto altro scopo se non quello di strumentalizzare in favore di un nuovo hub Amazon a Spilamberto le lotte dei lavoratori, di quegli stessi lavoratori che erano invisibili – «Sono invisibili secondo voi?» – quando scioperavano, quando venivano gasati e manganellati così come lo sono tutt’ora, oggi, quando vengono repressi e processati, non è detto che il problema non torni a presentarsi allo stesso identico modo, pure con le stesse sigle sindacali protagoniste.

Come nota e descrive molto bene Francesco Massimo su Jacobin Italia, infatti:

Amazon è uno dei più grandi datori di lavoro al mondo e all’avanguardia della «rivoluzione» digitale, un potente monopolio che ha la pretesa di infrangere le regole del gioco, non solo le leggi sul lavoro, ma anche le normative antitrust e fiscali. Il suo potere è cresciuto ulteriormente con la pandemia e la riorganizzazione dell’economia globale capitalista e le condizioni erano mature per la reazione della forza lavoro.

Per questi motivi questo sciopero ha un significato politico innegabile. Allo stesso tempo l’importanza di questa iniziativa dei sindacati va compresa nell’insieme delle relazioni industriali che oggi governano il mondo del lavoro in Italia e in particolare nel settore della logistica. 

Negli ultimi due decenni i sindacati confederali italiani hanno attraversato un processo di istituzionalizzazione. La concertazione e il corporativismo sin dagli anni Novanta hanno alimentato il processo incorporazione del ruolo dei sindacati nello stato. I sindacati hanno ottenuto l’accesso alla definizione delle politiche pubbliche e in cambio hanno reso marginale il conflitto industriale e accettato la svalutazione dei salari.

Tale ridimensionamento ha avuto ripercussioni soprattutto sulla capacità dei sindacati di mobilitare la periferia del mercato del lavoro, vale a dire l’industria emergente della logistica, per resistere alla deregolamentazione del mercato, alla diminuzione dei salari e all’aumento del potere discrezionale manageriale. Nel settore della logistica i lavoratori, soprattutto migranti, sono stati segregati in una catena frammentata di outsourcing: grandi società di logistica (come Dhl, Ups, FedEx, Tnt, Xpo, Sda e Brt) hanno subappaltato il lavoro nei magazzini a cooperative che operano in un condizione di lavoro spesso illegale, ricattando i lavoratori migranti, la cui libertà di movimento è condizionata all’accettazione di un lavoro, al fine di imporre straordinari e orari di lavoro non retribuiti e dispotismo nella gestione delle cooperative.

Contro questo regime operaio dispotico, i sindacati confederali non hanno preso alcuna iniziativa seria, influenzati anche dal legame storico tra il movimento cooperativo e le organizzazioni sindacali. Lo status quo è stato scosso dalla nascita dei sindacati di base, Si Cobas e Adl Cobas. Dal 2011 questi sindacati indipendenti di base, formati da attivisti e addetti alla logistica, hanno sconvolto il paese da Milano a Roma, da Torino a Venezia e hanno cambiato i rapporti di forza nel settore.

Nella maggior parte dei casi, l’azione dei Cobas ha avuto successo grazie alla loro agile struttura sindacale, che faceva molto affidamento sulla rete preesistente di interconoscenza tra le comunità di migranti e ha permesso ai lavoratori migranti di agire direttamente e assumere la guida dei sindacati. Un’altra chiave fondamentale del successo della campagna Cobas è stata l’arma dei sit-in e dei blocchi alle porte dei magazzini. In questo modo i lavoratori sono stati in grado di paralizzare la circolazione delle merci e danneggiare efficacemente le loro controparti. Attraverso questi strumenti i lavoratori hanno migliorato notevolmente le condizioni economiche e lavorative e generato un’ondata di rivitalizzazione sindacale in tutto il settore. Oggi Si Cobas e Adl Cobas sono i sindacati più rappresentativi in alcune delle più importanti società di corrieri espressi e trasporto. Hanno pagato questo successo con un livello di repressione senza precedenti: picchetti attaccati dagli scagnozzi dei datori di lavoro o dalla polizia, serrata dei datori di lavoro, licenziamenti politici, indagini penali, multe e processi (solo la scorsa settimana sono stati arrestati alcuni attivisti Si Cobas a Piacenza dopo un duro ma vittorioso sciopero contro FedEx-Tnt). Tuttavia ciò non ha impedito l’avanzata dei Cobas.

I sindacati di base non sono stati in grado di stabilire una presenza significativa in Amazon né nei magazzini né tra i conducenti. […] Nella strategia dei sindacati confederali lo sciopero acquista così un significato simbolico e politico. È la conseguenza dell’improvviso stallo delle trattative, e i sindacati vogliono dimostrare la loro forza di fronte al colosso dell’e-commerce ma, fedeli alla loro strategia concertativa, non rinunciano alla possibilità di un accordo. Si mobilitano i lavoratori per riaprire un tavolo di trattativa (bisogna tenere presente che questo sciopero è nato dalla crisi delle trattative sui conducenti e poi è stato esteso alle Fc). In altre parole, i sindacati italiani vogliono instaurare rapporti industriali «normali» con questa azienda. Se falliscono, questa sconfitta potrebbe avere implicazioni politiche per l’intero assetto delle relazioni industriali.

È altamente probabile che nel breve-medio periodo ricorderemo le parole del giovane sindaco di Spilamberto «Posto che invece i diritti dei lavoratori si conquistano battaglia dopo battaglia… » per quello che sono: pura retorica strumentale sui diritti di persone che, in quanto lavoratori per la maggior parte privati persino dei diritti politici più elementari (leggi diritto di voto) saranno già ritornati dei puntini sfuocati e semi-invisibili sullo sfondo al primo sciopero. Senza contare che in Italia il discorso pubblico è ormai così sclerotizzato da questo punto di vista che si parla ormai “naturalmente” di immigrati di seconda generazione in riferimento a persone nate qua e che non hanno mai migrato, sigh! Una sorta di sistema castale “democratico” che di “democratico” ormai non ha nemmeno più l’imballaggio.

Dunque, nonostante le parole di Costantini servissero soltanto a far digerire l’apertura al colosso americano dell’e-commerce, per il Pd sarebbe stato impossibile lasciar correre un’incursione che chiamava in causa addirittura il finanziamento del partito. A “fare le penne” al sindaco di Spilamberto è inizialmente il segretario provinciale, Davide Fava che dichiara (senza mettere in alcun modo in discussione la scelta dell’insediamento naturalmente) in un politichese stretto: «Caro Umberto, se ritieni, da sindaco, di dover vestire i panni del difensore d’ufficio di Amazon e non sentirti partecipe delle rivendicazioni della società fragile, quella che lotta per diritti che da noi devono essere patrimonio di tutti, probabilmente non hai nemmeno molto chiaro. […] Come si finanzia il Pd di Modena è sotto gli occhi di tutti. Se poi ti nasce il sospetto che il partito in cui militi e con il sostegno del quale eserciti il ruolo di sindaco si possa finanziare in modo inopportuno o possa aver perso la radice dei valori fondanti come la tutela del lavoro e che non si riesca a trovare dentro gli organismi e nella normale interazione con la classe dirigente la risposta, e che il tema debba essere affrontato con affermazioni sensazionalistiche a mezzo stampo, sii coerente, fatti un esame di coscienza e chiediti se sussistano ancora le ragioni della tua permanenza nella comunità del Partito democratico.»

Poi, a stretto giro, è il turno del sindaco Muzzarelli, uno che conosce il territorio (che sa bene quanto Modena sia una provincia piccoloborghese, con la puzza sotto il naso e abituata a lasciar pensare il partito al posto suo), che il mestiere di politico lo veste da tempo e che sa alternare i registri della comunicazione a seconda delle circostanze.

E per ciò che è diventata Modena nel 2021 anche un linguaggio schietto, da padroncino della ditta, come questo, può risultare estremamente efficace: «… non si lanciano accuse senza fondatezza, non si trasforma un dibattito in una sfida. […] non sto dicendo che i panni sporchi si lavano in famiglia. Sto dicendo che qui non ci sono panni sporchi. E se qualcuno ne ha visti o ne ha sentito parlare, faccia quel che deve fare un cittadino onesto, non perda tempo a rilasciare interviste o a scrivere post sui Social. La legalità è un principio irrinunciabile e fondativo del Partito Democratico e vi assicuro che so di cosa parlo, anche personalmente. Se c’è qualcosa di strano, la telefonata si fa alle forze dell’ordine.»

“Non si trasforma un dibattito in una sfida” – detto da uno che con la parola “sfida” ha condito praticamente quasi tutte le pietanze delle sue campagne elettorali – ed in effetti forse il problema è il “dibattito”, che a Modena non può essere fatto in alcun modo su un terreno “reale” e “pubblico” perché “i panni sporchi si lavano in famiglia e qui non ci sono panni sporchi.” E se proprio c’è qualcosa di strano, la telefonata si fa alle forze dell’ordine.Perché “la legalità è un principio irrinunciabile e fondativo del Partito Democratico” anche se la legalità che ha in mente Muzzarelli è una legalità estremamente selettiva, feroce con chi sciopera e puntualmente tenera quando le denunce raggiungono l’ispettorato del lavoro. Che poi “qui non ci siano panni sporchi da lavare” è tutto da vedere visto e considerato che solo lo scorso anno ad una “nota società“ attiva nel settore carni del distretto modenese la finanza sequestrava beni per oltre 16 milioni di euro su una maxievasione di oltre 80. Dettagli. Senza contare che se a Modena esistesse realmente un dibattito pubblico fertile e informato sarebbe difficile spacciare la costruzione di nuove palazzine come parte integrante dell’impegno ad un consumo di suolo pari allo zero o ampliare senza battere ciglio l’autodromo di Marzaglia “un caso esemplare di aggiramento delle prescrizioni ambientali”, come sostenuto dai Verdi in Regione, tanto per fare un paio di esempi.

In realtà però, giusto per tornare ad Amazon ed ai problemi pregressi dei distretti produttivi del territorio, la “legalità” a cui fa rifermento Muzzarelli è un tipo di concezione della “legalità” dai confini estremamente più larghi che intersecano sia la dimensione nazionale e sovranazionale sia un portato costituzionale che mette in causa direttamente il diritto di sciopero. Proviamo a spiegarci, il terreno che richiama anche Costantini nelle sue uscite è quello di un bilanciamento tra gli interessi delle imprese e dell’economia del territorio e i diritti già acquisiti sulla carta ma disattesi nella realtà, dai lavoratori. Un equilibrio già oggi estremamente incrinato, come testimoniato pure dalla critica “istituzionale” del sindaco di Spilamberto, che tuttavia per essere flesso dalla parte dei lavoratori necessita di quei sit-in e di quei blocchi alle porte dei magazzini […] in grado di paralizzare la circolazione delle merci e di danneggiare efficacemente” la controparte, in buona sostanza di tutte quelle pratiche che nell’Italia di oggi sono represse, criminalizzate e considerate illegali.

Il punto lo ha spiegato molto bene Luca Toscano, del S.i.Cobas di Prato, in questi giorni: “Abbiamo una Costituzione che dice molto chiaramente che il diritto di impresa ha dei limiti, che non può esercitarsi negando la dignità umana, la sicurezza e l’utilità sociale. La pratica del blocco delle merci é la pratica che ci ha consentito – e non l’abbiamo inventata noi, ma é una pratica vecchia quanto la storia del movimento operaio e dei lavoratori – di superare queste condizioni e riportare i diritti all’interno di queste fabbriche”.

Peccato che nell’Italia del 2021, così come nella Modena degli ultimi anni, questo tipo di picchettaggio sia stato spesso considerato dalla magistratura inquirente un equivalente o una specie di sinonimo del reato di “violenza privata”. Anche i recenti e gravissimi arresti dei due sindacalisti del S.i.Cobas di Piacenza sono stati effettuati attraverso questo dispositivo legislativo (violenza privata e resistenza aggravata) e non, come in molti hanno erroneamente commentato, col reato di “blocco stradale”, re-introdotto con l’ultimo decreto sicurezza di Salvini, che se possibile andrà ad aggravare ancora di più l’arsenale legislativo sfoderabile contro le lotte dei lavoratori. Ricordiamo che “il reato di blocco stradale è punito con la reclusione da uno a sei anni e le pene sono raddoppiate se il fatto è commesso da più persone”, il ché significa che la follia penale-padronale oggi vigente nella legislazione italiana può colpire più duramente chi sciopera rispetto a chi compie una rapina a mano armata. Solo per questo le intenzioni del legislatore e dei bersagli dei cosiddetti pacchetti sicurezza dovrebbero lasciar poco spazio ai dubbi e all’immaginazione.

Dopotutto, il punto sulla recente ondata repressiva che ha accompagnato in parallelo l’insediamento del nuovo governo Draghi, lo ha colto, a nostro avviso, ancora una volta Giovanni Iozzoli nel suo pezzo su Carmilla, “AAA Associazione a delinquere cercasi”:

Tra le pieghe della società reale stanno invece increspandosi le onde della repressione politica tradizionale: ci riferiamo in particolare all’inchiesta di Piacenza contro i Si Cobas e a tutto il corollario di provocazioni con le quali si sta cercando di schiacciare all’angolo questa esperienza sindacale. Gli esiti dell’offensiva della Procura di Piacenza, sono noti: perquisizioni all’alba del 10 marzo nelle case di diversi operai, sequestri di pc e telefoni, 21 indagati, 5 divieti di dimora, 6 vigliacchissimi avvisi di revoca dei permessi di soggiorno, multe salate per tutti, e due noti dirigenti agli arresti domiciliari. L’accusa, sostanzialmente, è di aver intralciato, mediante una mobilitazione propriamente sindacale, i progetti di ristrutturazione nei magazzini piacentini Fedex-TNT: quindi gli apparati dello Stato a difesa delle strategie di una multinazionale americana. En passant, nelle stesse ore si bastonava il presidio Cobas alla Texprint di Prato – in questo caso la Celere difendeva un’azienda di proprietà cinese, gravata da un’interdittiva antimafia, che ha tra l’altro incassato centinaia di migliaia di euro durante la prima crisi Covid producendo mascherine. Yankee o cinesi vanno bene tutti, purché siano imprenditori – i nostri questori non possono certo essere accusati di sovranismo. Cronache di un mondo rovesciato? No, È il nostro mondo. Altro che Grande Reset: siamo già stati ampiamente resettati e la nuova normalità sarà sempre più questa – banchieri al governo, detenuti morti nelle carceri, sindacalisti coraggiosi arrestati. Non si tratta di un momento di sbandamento o di una fase transitoria.

Che tipo di lettura possiamo dare, di questa nuova stagione repressiva? Innanzitutto è chiaro che si è aperto un cantiere emiliano, che affiancherà stabilmente quello già avviato in Val di Susa molti anni fa. La repressione a questi livelli non può essere dinamica improvvisata. Ha bisogno di un impianto, di metodo, di coordinamento tra apparati di polizia e apparati giudiziari, di continuità di personale, se vuole esercitare il suo fine pedagogico sulla intera società. Questo cantiere repressivo emiliano si occuperà soprattutto di lavoro ed eccedenze sindacali non concertative; le sperimentazioni sono già in corso a Modena, con i suoi maxi processi e, appunto, a Piacenza, nodo nevralgico della distribuzione merci in tutto il nord. Una eccellenza industriale e un grande polo logistico: sarà questo il campo di battaglia su cui si eserciteranno le strategie degli inquisitori. Il “modello emiliano” in decomposizione libera gas mefitici: inchieste, manganellate, arresti e procedimenti giudiziari per larghe platee operaie. È un caso che proprio l’Emilia sia al centro di questo passaggio? L’Emilia che coltiva ancora i suoi rituali fuori tempo, come una vecchia signora che ha visto tempi migliori – la regione in cui si firmano con la medesima disinvoltura, “Patti per il lavoro” e rinvii a giudizio (per chi lavora)? Il modello emiliano è stato spesso additato come modello nazionale in molte cose; perché non potrebbe diventarlo anche nel campo della gestione (repressiva) dei conflitti?

Ora sperare che la politica emiliana riesca a mettere in qualche modo un freno alle ingordigie di un colosso come Amazon non è nemmeno fantascienza ma puro fantasy. Il problema semmai è, come ricordava Francesco Massimo su Jacobin Italia, è che se la strategia dei sindacati confederali fallisse, una sconfitta con Amazon “potrebbe avere implicazioni politiche per l’intero assetto delle relazioni industriali” nel nostro paese.

Proviamo ad affermarlo senza mezzi termini, qua sopra si considera ormai definitivamente esaurita la funzione storica dei grandi partiti e dei sindacati “di sinistra” di questo paese. Non solo, dato che la funzione di un sindacato “confederale” dovrebbe essere quella di unire e di coordinare le vertenze e le rivendicazioni di tutti i lavoratori, o per lo meno della maggior parte dei lavoratori in quanto classe, compito che non viene più svolto da decenni, allora sarebbe anche ora di cominciare a considerare i tre grandi sindacati confederali, Cgil compresa, come organizzazioni alla stregua di quelli che furono i sindacati “corporativi” che andavano di moda durante il ventennio.

Un ulteriore indizio in questo senso ce lo ha fornito recentemente anche la procura di Piacenza, nella persona di Grazia Pradella, la quale, come ha giustamente notato il S.i.Cobas in questo esposto al Consiglio Superiore della Magistratura, avrebbe “espresso dei chiari favoritismi ai sindacati confederali come la Cisl”, manifestando dunque pubblicamente giudizi non giuridici ma politici piuttosto espliciti.

Giudizi politici che a Modena cominciano ad essere espressi senza remore anche dalla polizia municipale. Come abbiamo accennato all’inizio del pezzo, infatti, e come notavamo già alcuni mesi fa, il Comune di Modena sta avanzando sulla strada delle della smobilitazione e di una sotterranea privatizzazione di servizi pubblici essenziali come i nidi e le materne, che da tempo immemore errano considerati parte integrante della storia e della tradizione della città, nonché fiore all’occhiello di quel compromesso con la borghesia che, reale o fittizio che fosse, aveva portato l’Emilia-Romagna ad essere associata indiscutibilmente al frame della “buona amministrazione”.

Un processo iniziato mesi fa e che aveva ricevuto il plauso anche dei post-fascisti di FdI.

Nella Modena di fine marzo 2021, una nota congiunta e contestata dalla polizia municipale, di Modena volta Pagina, Movimento 5 Stelle, Potere al Popolo e Rifondazione comunista, coglie esattamente la questione: “Modena è una città che è stata ai vertici delle esperienze nazionali per questi servizi e le amministrazioni si sono sempre battute insieme alle associazioni femminili e sindacali, oltre che alle famiglie per assicurare le risorse umane e materiali necessarie a nidi e scuole dell’infanzia. Da alcuni anni il Comune, invece di impegnarsi e lottare per garantire questi servizi, ha scelto la strada della smobilitazione e delle privatizzazioni come è già avvenuto nelle strutture per anziani, nei centri per disabili e nelle stesse biblioteche comunali. Non riusciamo a capire perché il Comune da anni accetti, senza batter ciglio, i tagli imposti dal governo allo stesso turn-over del personale comunale. In questo modo l’amministrazione si priva di funzioni essenziali per il suo ruolo di governo e crescita della nostra comunità. Di questo passo fra pochi anni avremo un Comune fatto solo di vigili urbani. […] Non è questa la sicurezza sociale che vogliamo. Fermiamo questo percorso suicida. Salviamo e recuperiamo la qualità dei nostri servizi educativi.”

Così, mentre i servizi pubblici appassiscono progressivamente per ingrossare inevitabilmente le mani del privato, come ha sintetizzato magistralmente anche Zerocalcare nel suo bellissimo “Romanzo Sanitario, anche sul piano di un Comune di provincia, l’unico settore pubblico che non conosce tagli o spending review è quello della sicurezza, delle divise e della repressione.

Insomma, osservata da un punto di vista laterale, anche l’uscita della polizia municipale sul comunicato congiunto di partiti e associazione che in altri tempi avrebbero avuto risonanza e peso specifico politico ben maggiori (Modena volta Pagina, Movimento 5 Stelle, Potere al Popolo e Rifondazione comunista) ci pare preoccupante e sulla stessa lunghezza d’onda di un sindaco che può afferma tranquillamente sui social “che i panni sporchi si lavano in famiglia” e “che qui non ci sono panni sporchi.” Tutti segnali di un potere che non è più in grado di reggere alcuna critica, nemmeno quelle provenienti dal suo stesso interno (pena la minaccia di scomunica) o da un campo del tutto istituzionale.

Cantiere emiliano:

L’illusion de la sécurité, l’inconnu de la liberté.